Da Piero della Francesca ai frattali

La geometria nell’arte e nell’architettura: in questo testo il prof. Giuseppe Arcidiacono, docente alla Facoltà di Architettura di Reggio Calabria, ripercorre l’evoluzione della comprensione scientifica dei fenomeni fisici e il modo in cui questa si riflette nel modo di progettare. Oggi ci si muove secondo un nuovo linguaggio, che consente di comporre l’immagine di un modello di ordine diverso, complesso e dinamico.

Nel 1935, il gruppo astrattista composto da Fontana, Melotti, Licini ed altri, esponendo le proprie opere a Torino, precisava cosÏ la sua poetica : La geometria, che è sempre stata la più alta aspirazione umana, Ë la chiave della nostra modernità. Con le sue leggi inflessibili e infinite essa esclude ogni arbitrio sconfinato della fantasia creativa. E’ il comune denominatore di tutta la civiltà moderna, Ë l’ asse della nostra attività di tutti i giorni in tutte le sedi. E’ cosÏ che noi intendiamo procedere con ordine al di sopra di ogni realtà visiva, apparente e ricreativa (1).
Queste affermazioni potevano, e possono ancora, esser lette come una piccola dichiarazione di guerra contro ogni comunicazione "sentimentale" dell’arte, contro ogni espressionismo, contro l’interpretazione "romantica" della Natura come Caos, contro i cascami dello Sturm und Drang.
Ma la polemica includeva soprattutto una diffida del neo-impressionismo, e del tentativo novecentista di riportare l’arte moderna dentro il campo della "realtà" visiva: di riportarla cioè all’interno di un aborrito naturalismo, e all’interno di quella costruzione visiva/prospettica che come mimesis della Natura faceva coincidere la visione del mondo ( la sua restituzione prospettica e scientifica) con l’ essenza stessa del mondo : in una parola con la Natura stessa.
Per gli antichi, infatti, la geometria discende dalla Natura, in quanto la interpreta: cosi in architettura, la gola d’una cornice può esprimere la coincidenza del profilo architettonico con quello umano; così la colonna può interpretare col dorico o il corinzio rispettivamente il maschile e il femminile; così la pianta di una basilica a croce latina del Cattaneo reca inscritta e risulta proporzionata sulla figura a braccia distese del Cristo in croce e insieme Pantocratore.

Studio geometrico sulla "Pala Montefeltro" di Piero della Francesca,
dipinto collocato nella Pinacoteca di Brera a Milano.

Perfino una città geometrica e ideale -quella di Francesco di Giorgio- finisce col disvelare sotto il suo tracciato un giovane guerriero che tiene in capo il castello, in cuore la cattedrale, in pancia la piazza col mercato, ai gomiti ed ai piedi le puntute fortificazioni.
La geometria, e con essa l’architettura che se ne giova per la costruzione dello spazio, si presenta e si rappresenta per gli antichi solo attraverso la Natura: in una parola, Piero della Francesca fa l’opposto di Cèzanne: se Cèzanne modernamente dipinge le arance come sfere, Piero al suo tempo poteva dipingere le sfere soltanto come arance.
Nella famosa lettera del 1904, Cèzanne scrive che bisogna "trattare la natura secondo il cilindro, la sfera, il cono"; al contrario, per Piero che nel 1475 dipinge la Pala di Brera il cono deve essere trattato secondo natura: e diventa il corpo stesso della Vergine.
In quella Pala, come ha giustamente notato Roberto Longhi (2), non Ë la concavità dell’aula bramantesca, prima del Bramante a produrre l’emiciclo degli astanti, ma Ë il disporsi delle membrature umane a produrre la disposizione di quelle architettoniche. Avveniva cosi anche nella prima opera di Piero: il Polittico della Misericordia (1445-1462) dove la nicchia era il manto stesso della Madonna; l’architettura e la geometria erano rinvenibili solo dentro un fatto di Natura, solo come Natura. Per questo motivo l’uovo può levitare al centro della Pala di Brera: perché miracolosamente, ma appeso a un filo, Ë figura geometrica e uovo al tempo stesso: Ë spazio reale, naturale, che genera altro spazio, architettonico e prospettico.
Invece se Cèzanne, o Casorati, o i cubisti dipingono un uovo lo fanno perché affascinati dalla geometria, dal puro volume: essi hanno trovato nella geometria quella "chiave della modernità" che sarà anche la chiave degli astrattisti Fontana, Melotti, Licini, dei quali si diceva in apertura.
E per Le Corbusier -come sappiamo- l’architettura si sostanzia in "esprit di geometria", in ordinata disposizione di solidi, in volumi puri che la luce non deforma: "L’architecture est le jeu savant, correct et magnifique des volumes assemblès sous la lumiére; les ombres et les clairs révèlent les formes; les cubes, les cones, les sphères, les cylindres ou les pyramides sont les grandes formes primaires que la lumiére révèle bien".
I moderni, dunque, rinvengono nella natura le leggi inflessibili della geometria; l’esatto contrario degli antichi che nella geometria rileggevano la natura. Faccio un ultimo esempio, per concludere: in una costellazione del cielo gli antichi possono vedere i gemelli Castore e Polluce; i moderni vi scorgono una aggregazione di figure geometriche. In realtà, le costellazioni restano le costellazioni; e non sono né gli uni né le altre. Entrambi sono, agli occhi di noi contemporanei, modi differenti di misurare la distanza dagli oggetti, dalle cose, dalle realtà che vogliamo conoscere.

Il Moderno e la sua crisi

Voglio dire con questo che per noi contemporanei gli strumenti del Moderno, le sue geometrie, le sue astrazioni, sono egualmente consumati e lontani quanto quelli del Classico.
La geometria, come struttura che ordina e regola, ci interessa sempre meno. E’ che noi contemporanei preferiamo indagare le trasformazioni geometriche, la dinamica piuttosto che la statica, e inesorabilmente trapassiamo ai territori della fisica ove agiscono traslazione e rotazione e inclinazione e oscillazione e fluttuazione e turbolenza: perché "la fisica dei sistemi dissipativi, vicini all’equilibrio" come ha scritto Gaspare Polizzi- "ci fornisce chiavi di lettura per decifrare il declino e la deriva del mondo e dei corpi, il loro continuo formarsi e disfarsi in un universo sempre più multiverso" (3).
E’ la fisica delle "singolarità" contro quella delle generalità: quella che per il filosofo Michel Serres assume le forme di un sapere meteorologico: "le cui figure (nube, temperatura, turbolenza) descrivono piuttosto una distribuzione di situazioni possibili (nel variare delle perturbazioni) che non un catalogo o un repertorio (come per le stelle o i punti astronomici fissi). Come accadde per il Classico, anche lo sguardo che il Moderno posava sulle cose ha perso la sua luminosa chiarezza e precisione, agli occhi di noi contemporanei: rovesciando, e avveran
do come profezia, la celebre iscrizione su gli "occhi che non vedono" che Le Corbusier premetteva a Vers une architecture, il suo libro-manifesto pubblicato nel 1923 contro gli armamentari di un deteriore e deteriorato classicismo.

Giuseppe Arcidiacono, "Da Vignola a Le Corbusier:
la conchiglia e il modulor" (collage, 1997).
"La basilica e il corpo umano",
disegno di Cataneo (sec. XV).

Il Moderno, infatti, presuppone un universo ordinato dalle leggi inflessibili della fisica, della geometria, della matematica: il suo riferimento Ë ancora il mondo di Newton dove tutto Ë determinato: dove -come suggerisce criticamente Ilya Prigogine- "le leggi di natura enunciate dalla fisica discendono da una conoscenza ideale che raggiunge la certezza" ; dove "la natura Ë un automa che possiamo controllare, almeno in linea di principio" (4).
A questo proposito Prigogine -Nobel per la chimica nel í77- cita la legge di Newton che lega forza ed accelerazione come perfetto esempio di una legge che Ë deterministica e reversibile al tempo stesso: Conoscendo le condizioni iniziali di un sistema soggetto ad essa -ossia il suo stato in un istante qualsiasi- possiamo calcolare tutti gli stati seguenti altrettanto bene che tutti gli stati precedenti. Non solo, ma passato e futuro svolgono lo stesso ruolo, dato che la legge Ë invariante rispetto all’inversione del tempo. La legge di Newton giustifica dunque molto bene l’ipotetico demone di Laplace, capace di prevedere tutta l’evoluzione futura dell’universo a partire dalla conoscenza del suo stato in un istante dato. Tutti sanno che la fisica newtoniana Ë stata detronizzata nel Novecento dalla meccanica quantistica e dalla relatività, ma i caratteri fondamentali della legge di Newton – il determinismo e la simmetria temporale- sono sopravvissuti. Ne segue un confermarsi del Moderno entro una condizione di ordine e di razionalità: un attardarsi in territori del sapere fondati e circoscritti da razionalismi "di garanzia". Questa visione razionalista della realtà ha col Moderno le sue ricadute pratiche nel campo dell’architettura: dopo Cèzanne le architetture diventano "cubiste" e si compongono per volumi e piani geometrici; punto linea e superficie acquistano significato estetico; si organizzano funzioni inflessibili che interpretano le architetture come "macchine per abitare".
Insomma, le strutture conoscitive/costruttive del Moderno, e la sua razionalità "razionalista", sono profondamente associate alle "leggi fondamentali della fisica, della dinamica newtoniana che fino alla relatività e alla fisica quantistica non autorizzano alcuna distinzione tra passato e futuro" (5) : Ë l’Eterno Presente di Giedion ; Ë la tabula rasa della storia e degli stili, in una parola del Tempo (e d’ altra parte lo stesso Einstein affermava che "il tempo Ë un’ illusione" ). Questa condizione di sincronicità spazio-temporale, di equilibrio formale -pur non necessariamente "simmetrico"- e di controllo/certezza razionale si invera e si protrae a lungo nel campo dell’architettura attraverso la felice stagione del Movimento Moderno: del quale sentiamo la nostalgia ora che ne mettiamo in discussione l’eredità; ma la crisi delle certezze travagliava da tempo arti quali la pittura o la letteratura: l’una esplorando -dal tardo Monet a Pollock- i caos dell’informale, l’altra sondando -con Proust, Joyce, Robbe Grillet- le derive del Tempo.
L’invenzione della fisica del non-equilibrio e la formulazione di una scienza dei sistemi dinamici instabili associati all’idea di caos ci costringono a ripensare il concetto di Tempo.
La fisica del non-equilibrio studia i processi dissipativi, concepiti e possibili solo all’interno di un Tempo Unidirezionale: e -aggiunge Prigogine- "conferisce in tal modo significato all’irreversibilità", che in un primo momento era stata associata a processi semplici, quali la diffusione, l’attrito, la viscosità: Oggi non Ë più così. L’ irreversibilità non compare più solo in fenomeni così semplici. Essa Ë alla base di una quantità di fenomeni, come la formazione dei vortici, delle oscillazioni chimiche o del raggio laser. Tutti questi fenomeni illustrano il ruolo costruttivo fondamentale della freccia del tempo. L’ irreversibilità non può più essere considerata una semplice apparenza destinata a sparire qualora potessimo accedere a una conoscenza perfetta(6). Essa Ë una condizione essenziale alla coerenza del comportamento di popolazioni di miliardi e miliardi di molecole .

Le ordinate strutture del Caos.

Come tutti sappiamo la materia Ë composta da atomi e molecole, il più delle volte disposti in maniera complicata e "disordinata": se, infatti, nel caso di un cristallo perfetto possiamo rinvenire una perfetta struttura geometrica; al contrario, fenomeni naturali complessi come l’andamento di un fluido che filtra attraverso un corpo solido, i depositi elettrolitici, le scariche elettriche, la formazione dei crepacci o delle coste, sono di difficile comprensione.
Un contributo essenziale alla interpretazione e rappresentazione di questi fenomeni si Ë avuto con l’impiego del frattale: un concetto-modello proposto nel 1975 da Benoit Mandelbrot.
Il frattale – secondo la divulgazione che ne ha dato il fisico Leonard Sander (7)- "è un oggetto con una complessa struttura sottilmente ramificata. Ingrandendo gradualmente una parte della struttura, vengono alla luce dettagli che si ripetono identici a tutte le scale d’ ingrandimento. Un frattale appare quindi identico se lo si osserva a grande, piccola o piccolissima scala, per esempio con lato di un metro, un millimetro o un micrometro ( un milionesimo di metro ). Mandelbrot ha osservato che molti oggetti naturali, apparentemente disordinati, godono di questa proprietà.
Questi frattali potremmo intenderli, dunque, come le strutture ordinate del Caos ; poiché -come ha dimostrato, già nel 1928, il matematico filosofo Frank Ramsey- il disordine completo non può esistere, e qualunque insieme di enti sufficientemente grande finisce col contenere una configurazione regolare (8). Il frattale, quindi, ci permette di affrontare la complessità, altrimenti non analizzabile, dei fenomeni complessi perché rappresenta il loro disordine: non come un anti-ordine, ma come un ordine "differente" che impregna di sé e si distribuisce in un universo, non più equilibrato ma turbolento, multi-verso.
"Che il cosmo ci sembri, oggi, turbolento, mi sembra fedele, inevitabilmente, allo stato delle cose, che sia frattale, intermittente, mi sembra altrettanto pertinente." -scrive Serres (9)- "Cos’è la turbolenza? E’ uno stadio intermedio, è anche un insieme miscelato. Supponendo che noi distinguiamo lo stato disordinato dallo stato ordinato, la turbolenza è mediana tra questi due stati, è uno stato difficil
e da pensare, difficile da studiare scientificamente, ma a un tempo comune, sparso dappertutto, squisito, dove si trova un ordine, incoativo o finale, dove si trovano anche disordine e caos. Il caos vi appare, spontaneamente, nell’ordine, l’ordine vi appare in seno al disordine".
Il frattale, con la sua struttura ramificata seriale geometrica, tende oggi a presentarsi sempre più quale modello per l’indagine scientifica; ed a configurarsi in definitiva come la "nuova geometria della Natura" (10). Tutto questo ripropone alcuni problemi fondamentali; ed ha ricadute inevitabili, se non immediate, nel campo dell’ architettura.
Lontano dalle leggi deterministiche della fisica classica, lontano dall’equilibrio sia statico che dinamico, lontano dalle geometrie e dalle leggi ordinate dello spazio, il Caos associato al Tempo crea nuove forme di coerenza: "oggi possiamo affermare che la natura realizza le strutture più delicate e più complesse proprio grazie ai processi irreversibili associati alla freccia del tempo"(11).
L’architettura comincia ad occuparsi di queste strutture più delicate e più complesse: può abbandonare alcune certezze "compositive" per addentrarsi nei territori sconosciuti del Caos, per cercare di misurare la distanza tra ordine e disordine.

Fiocco di neve-frattale di Helge Von Koch.
Coralli-frattali.

La Chiesa del Duemila

Il progetto di Peter Eisenman per la Chiesa del Duemila a Roma prende a modello l’ordinato disordine del frattale. Questa architettura addensa il ventaglio delle "stecche" residenziali a Tor Tre Teste e si presenta come un affascinante paesaggio, plasticamente configurato da libere geometrie; sperimentando nella composizione urbana un uso dei frattali che già la cinematografia ha acquisito per simulare situazioni naturalistiche o scenari fantascientifici. I frattali, infatti, si descrivono per mezzo di algoritmi, che il compiuter riesce a "tradurre" in immagini: "gli algoritmi" -spiega Giuseppe Arcidiacono, un fisico mio omonimo – "ci dicono come ingrandire, impicciolire o spostare la figura iniziale, che rimane sempre autosimile"(12) al modo di un "irregolare" tratto costiero o di un canyon, i quali ci appaiono sempre più frastagliati col precisarsi e l’ingrandirsi della scala cartografica; o come accade anche delle "perfette" geometrie frattali di un fiocco di neve, il cui perimetro – osservato con microscopi sempre più potenti- tende all’infinito benché la sua area resti sempre eguale e piccolissima.
Allo stesso modo, la Chiesa di Eisenman è insieme un "perfetto" cristallo minerale ed il "capriccioso" crepaccio urbano che -come si addice alla natura del frattale- potrebbe contenerlo: la forma dell’edificio appare il risultato di un gigantesco movimento di suolo, generato dalla collisione delle "stecche" residenziali di Tor Tre Teste nell’area dove il loro movimento a ventaglio si conclude.
L’idea di una architettura che scaturisce dalla terra non è certo nuova, ed Ë stata esplorata tanto dall’architettura "classica" (il basamento, l’ordine rustico, etc.) quanto dal Moderno (si pensi a certe opere di Wright o del movimento organico); ma -come ha scritto Marcello SÈstito (13)- appartiene alla sperimentazione contemporanea la sua accezione geologica: che Ë stata indagata, e talvolta addirittura anticipata, "anche" da contributi italiani -trascurati da una critica smemorata- come il progetto per la mostra Roma interrotta di Portoghesi (1978), o le riflessioni di Purini sulla topografia come "antidoto" alla tipologia imperante durante gli anni ’70.
In questo progetto per Tor Tre Teste, l’architettura di P. Eisenman "evolves out of the grond"(14) con una nuova convincente "necessità": conferitagli dalla capacità di reinterpretare -per mezzo della geometria frattale- il tema simbolico della costruzione sacra che si solleva dalla terra per slanciarsi verso il cielo; l’opera tuttavia, proprio per l’originalità figurativa con cui i frattali rinnovano la iconografia religiosa, è stata severamente giudicata come "un groviglio espressionistico di volumi distorti"(15) cui si Ë rimproverato di non soddisfare le esigenze liturgiche.

Lo spazio architettonico si compone per strati differenti, e indifferenti alla nozione classica di interno e di esterno, perché la fabbrica Ë stata pensata come Chiesa dei pellegrini, come una faglia che produce dentro di sé l’esperienza del pellegrinaggio. La navata centrale che espone le reliquie dei Santi, e forse per questo rimane scoperta ed "esterna", si ramifica per così dire nelle due navate laterali: ciascuna delle quali si configura come "a pilgrimage space of comunion", uno spazio errante per la comunione e la comunicazione, dove può svolgersi la Santa Messa insieme con la sua presentazione mediatica su grandi pareti a cristalli liquidi (concepite come una moderna versione delle antiche vetrate istoriate delle cattedrali).
Giuseppe Arcidiacono, "Francesco di Giorgio a
Grammichele" (disegno, 1997).

Il progetto affascina e sconcerta, dunque, perché utilizza la configurazione di passaggio-crepaccio-pietra minerale come metafora della condizione orante, sospesa tra vicinanza e distanza dal Sacro. Ancora una volta, per Eisenman il "between" -la condizione di sospensione e di attraversamento- non costituisce solo un percorso concettuale, ma una precisa tecnica compositiva che produce l’architettura come percorrenza fisica, come esperienza concreta della sospensione tra stadi fisici differenti: una condizione che "in natura Ë quella di un cristallo liquido, cioè una sospensione tra il cristallo statico e lo stato di liquido in sospensione" (16).
Questa architettura porge l’equivalente di una composizione che misura la distanza tra l’ordinata geometria statica (del cristallo) e l’ordinato caos del frattale (liquido in sospensione o crepaccio che sia); ed usa questa tensione per esprimere simbolicamente l’Ecclesia: "questa tensione" -scrive ancora Eisenman- "tra distanza e prossimità", accuratamente mantenuta, assicura l’ esperienza della praesentia, la presenza fisica del Sacroî.
Questo progetto prova a indicare una nuova possibile "misura" dello spazio: che Ë solo distanza tra Ordine e Caos, alla ricerca di un nuovo rapporto tra l’uomo e Dio attraverso la natura (incoesa, frattale); e non Ë affatto casuale che il tema simbolico della Nuova Chiesa per il Nuovo Millennio ne costituisca il catalizzatore archite
ttonico.
Le g
eometrie del frattale sembrano – anche per un solo momento- saper riconciliare les frères ennemis: Parmenide ed Eraclito, l’essere e il divenire. Ma Platone, nel Sofista, già ce l’aveva detto: che abbiamo bisogno di entrambi: perché se la verità ammette soltanto la stabile realtà dell’essere, tuttavia non possiamo neppure concepire la vita e il pensiero senza il divenire. Or dunque nella teoria dei frattali c’è inscritta un’antica sapienza, ed una possibile nuova alleanza con la Natura. E, d’altra parte, quella loro stessa caratteristica di autosomiglianza: la perfetta identicità della parte con il tutto: non sembra metterci sotto il naso quella corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo, che si profetizzava ai tempi di Piero della Francesca, per lasciarci con un palmo di naso?
Certo nel frattempo le cose sono cambiate: l’universo non Ë statico e nemmeno tanto equilibrato: Ë diventato un multi-verso, agito dalla turbolenza: Sì, la turbolenza Ë sparsa quasi dappertutto, nell’inerte e nel vivente, nel naturale e nel tecnico, nell’infinitesimale e nel cosmologico, e, forse, il mio corpo, il mio corpo ordine, il mio corpo disordine, vita e morte, non Ë dopo tutto anch’esso, se non una turbolenza temporanea che concatena turbolenze più piccole" (17). E tuttavia proprio la turbolenza, proprio la teoria dei sistemi dissipativi di Prigogine (18) ci permette di intuire un ordine nelle fluttazioni che caratterizzano le strutture e i sistemi complessi: dalle reazioni chimiche periodiche agli organismi viventi: "in tal modo, nella sintesi del semplice e del complesso si ricostituisce quella alleanza tra uomo e natura che rende possibile una scienza unificata dei sistemi reali" (19).
Tra Ordine e Caos Ë questo difficile percorso che anche noi, come architetti, dobbiamo imparare a praticare.

Prof. Giuseppe Arcidiacono

NOTE:

(1) Brano riportato da E. Crispolti nella introduzione a La pittura del XX 8 secolo di W. Hofmann – Cappelli, S. Casciano 1963, pag.43.
(2) R. Longhi – Piero della Francesca – Valori Plastici, Roma 1927; ristampato in Da Cimabue a Morandi – Mondadori, Milano 1973.
(3) Questo passo di Polizzi sullíuniverso multiverso e quello seguente sul sapere metereologico commentano espressioni coniate dal filosofo Michel Serres in GenËse – Grasset, Paris 1985; traduzione italiana e saggio introduttivo a cura di Gaspare Polizzi, editore Il Melangolo, Genova 1988, pag.36.
(4) I. Prigogine – La fin des certitudes – Jacob, Paris 1996 ; ed. it. La fine delle certezze. Il tempo, il caos e le leggi della natura – Bollati Boringhieri, Torino 1997, pag.19.
(5) I. Prigogine – op. cit. – pagg.11-12.
(6) ìLa natura ci presenta sia processi irreversibili sia processi reversibili, ma i primi sono la regola e i secondi l’eccezione. I processi macroscopici, come le reazioni chimiche e i fenomeni di trasporto, sono irreversibili. L’irraggiamento solare Ë il risultato di processi nucleari irreversibili. Sarebbe del tutto impossibile descrivere l’ ecosfera senza considerare gli innumerevoli processi irreversibili che vi si svolgono. I processi reversibili, per contro, corrispondono sempre a idealizzazioni: noi dobbiamo ignorare l’ attrito per attribuire al pendolo un comportamento reversibile, cosa che vale come un’approssimazioneî. I. Prigogine – op. cit. – pag.24.
(7) L.M. Sander – L’accrescimento dei frattali – in Le Scienze n.67/1992, pag.49.
(8) R. Graham, J. Spencer – La teoria di Ramsey – in Le Scienze n.67/1992, pagg.56-61.
(9) M. Serres – op. cit. – pag.196.
(10) P. L. Capucci – Modelli del mondo – in Domus n. 781/1996, pag.98.
(11) I. Prigogine – op. cit. – pag.29.
(12) G. Arcidiacono – Spazio, Iperspazi, Frattali – Di Renzo, Roma 1993, pag.155.
(13) M. SÈstito – Líarchi-corpo introflesso. Lettera a distanza a Peter Eisenman ñ in DíARS 1992, pagg.37-46.
(14) Dalla relazione del gruppo di progettazione Eisenman Architects per la Chiesa del Duemila a Roma.
(15) A. Castellano -La Chiesa del 2000- in Ecclesia n.6/1996, pag.59.
(16) Eisenman Architects -Una chiesa per il Duemila a Roma- in Paesaggio urbano n.4-5/1997, pag.121.
(17) M. Serres – op. cit. – pag.198.
(18) I. Prigogine – La nuova alleanza.Uomo e natura in una scienza unificata – Longanesi, Milano 1979.
(19) G. Polizzi – op. cit. – pag.48.

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