RESPONSABILITÀ DEL COMMITTENTE

L’articolato incontro formativo consiste in lezioni a cura di esperti e consta di due parti: la prima “Dal progetto al cantiere”; la seconda “Dalla gestione alla manutenzione”. L’ideatore, Mons. Giuseppe Russo, spiega le ragioni di questo Corso che mira a formare persone capaci di gestire con competenza i rapporti con architetti e artisti.

Da molti anni la Chiesa italiana ha attivato corsi a livello nazionale e locale, volti alla formazione di architetti per la progettazione e l’adeguamento delle chiese. Per la prima volta nel novembre 2011 il Servizio Nazionale per l’Edilizia di Culto della CEI ha aperto un corso per la formazione del Committente: colui che, secondo la nota definizione del Filarete, è “padre” del progetto mentre l’architetto è “madre”.Chiediamo a Monsignor Giuseppe Russo: quali considerazioni hanno portato a tale decisione?
Si tratta di una vera e propria svolta. Per la prima volta una proposta formativa si rivolge in modo esclusivo alle committenze diocesane, sui temi relativi alla programmazione, alla costruzione e alla gestione del patrimonio chiesastico. Ed è davvero molto positivo che al Corso prenderanno parte non solo gli incaricati diocesani per l’edilizia di culto, ma anche economi e vicari generali: perché queste ultime figure sono ancora più ‘vicine’ alla funzione di committenza.

Nelle Diocesi collaborano laici specializzati in campo artistico, architettonico o tecnico: non è sufficiente per attivare committenze ben articolate?
Occorre essere precisi e franchi. È vero che in quasi tutte le Diocesi italiane è possibile trovare persone impegnate nel settore dell’arte e dell’architettura, che collaborano con i responsabili degli uffici competenti, tuttavia non si può non riconoscere che vi sono reali criticità nel sistema, condensate intorno a due problemi: non sempre le persone coinvolte sembrano all’altezza dei compiti assunti e non sempre la committenza interpreta al meglio il proprio ruolo. Purtroppo spesso è ancora debole o addirittura assente al momento di definire con gli operatori le soluzioni in campo architettonico ma anche artistico. C’è insomma un’eccessiva tendenza a delegare a priori, rinunciando alla funzione di guida che dev’essere propria del committente. Di qui l’utilità dei numerosi momenti formativi offerti negli ultimi anni, e in particolare del primo Corso per il committente.

Quando si parla di committente ci si riferisce a una pluralità di soggetti: la Chiesa è “naturaliter” un soggetto comunitario. Ma vi è anche disparità di opinioni circa l’arte, l’espressione simbolica, il linguaggio formale, l’architettura. Un tema sentito all’interno della Chiesa e da qualunque cittadino, dato il retaggio dell’architettura ecclesiastica come fondativa della città. Il percorso di formazione del committente che oggi la CEI apre, mira anche a sintonizzare i tanti linguaggi che si registrano in campo artistico e architettonico?
Credo che non bisogna stupirsi più di tanto, né allarmarsi della diversità di opinioni registrate nel mondo ecclesiale riguardo all’arte e all’architettura: vescovi, sacerdoti e laici, ciascuno in base alla propria formazione e storia, e secondo la propria sensibilità, hanno elaborato uno specifico parere e manifestano una peculiare reazione di fronte a un’opera d’arte o a un nuovo edificio destinati al culto. Entro questa normale varietà di pareri e percorsi estetici personali, è importante convergere su alcuni principi generali, che devono poi trovare specificazione nei casi concreti. Anzitutto, ogni forma d’arte, in quanto momento espressivo dell’autore, ha la sua ragion d’essere, e ogni epoca è caratterizzata da diversi linguaggi, tra i quali tuttavia sinora, nei vari momenti storici, si è imposto come prevalente uno solo di essi. Certamente l’epoca contemporanea è connotata da un multilinguismo o, per meglio dire, da una multiformità linguistico-espressiva, conseguente alla scomparsa dei canoni che hanno accompagnato sinora il cammino della cultura. In questa cornice non ha senso contestare tout court, come avviene in certi casi sino all’eccesso del rifiuto sistematico, l’arte e l’architettura contemporanee, anche perché, se si accettasse tale logica, si interromperebbe bruscamente il quasi bimillenario percorso che la Chiesa ha condotto sin qui, di trasmissione del vangelo e di attuazione della liturgia, proprio attraverso l’arte del tempo corrente, cioè quella che è “contemporanea” nei vari momenti storici. Due sono gli obiettivi non solo del Corso, ma di tutto lo sforzo formativo di questi anni. L’intento è di condividere la disponibilità a porsi in atteggiamento di ascolto, dialogo e comprensione delle forme d’arte contemporanea. Naturalmente, ciò non significa necessariamente approvarle o condividere i risultati di determinate tendenze stilistiche.
In secondo luogo, si vuole provare a promuovere e animare in tutto il territorio la conoscenza dell’arte e dell’architettura per la liturgia, così da ricreare una specie di movimento di interesse, fino quasi all’istituzione di un laboratorio di pensiero. La speranza è che, nel concreto della realizzazione di nuove chiese, i committenti possano convintamente interrompere la prassi di affidarsi a pseudo artisti o, peggio, alla produzione di serie, per attivare invece una nuova alleanza con artisti riconosciuti, che dovranno essere selezionati in base al contesto e a una sensibilità informata e competente.


La CEI diffuse nel 1993 e 1996 le Note pastorali sulla costruzione di nuove chiese e sull’adeguamento di quelle esistenti. Quelle indicazioni sono sufficienti oggi oppure vanno integrate con altri contributi?
Se per ‘ulteriori contributi’ si intendono nuovi approfondimenti o letture sempre più analitiche sul piano delle ragioni di fondo, allora sì, ce ne sarà sempre bisogno. Non ritengo, invece, che le Note pastorali in questione abbiano bisogno di aggiornamento
o riscrittura. L’esperienza di questi anni ha dimostrato che si tratta di documenti molto utili, capaci di orientare efficacemente la riflessione, prima ancora che il progetto dello spazio per la liturgia. Almeno quando le Note sono lette con intelligenza e attenzione. Non dimentichiamo che in esse sono contenuti in sintesi i principi che devono di volta in volta trovare applicazione secondo il caso concreto.

Pensando alla committenza ecclesiastica, ai grandi esempi storici: Giulio II, Sisto IV, o a noi vicini, i vescovi Giovanni Battista Montini a Milano o Giacomo Lercaro a Bologna, oggi in che cosa il committente si distingue o assomiglia a questi?
Tra l’oggi e i secoli precedenti al XX sec. le differenze sono molte, soprattutto relativamente al contesto ecclesiale ‘politico’. Tuttavia, ritengo che tali distanze non siano sufficienti a spiegare la minore efficienza delle committenze ecclesiastiche attuali. Forse, ciò che ha determinato una sensibile e diffusa disattenzione alla qualità del processo produttivo artistico è stata l’improvvisa impennata di ‘domanda’ in termini di nuove strutture di culto e pastorali, a seguito del boom demografico nelle periferie delle città. Questo non giustifica, ma spiega, almeno parzialmente, la scelta dei committenti di puntare all’economicità a scapito della qualità, con conseguenze pesanti sul piano della manutenzione e gestione degli edifici. Così, in realtà il problema di una spesa maggiore non è stato risolto, ma solo rimandato dalla fase costruttiva a quella manutentiva. Altra differenza, in negativo, è stata lo svilupparsi di una prassi al ribasso nell’ambito dell’individuazione dei progettisti e anche delle imprese costruttrici: la scelta e l’affidamento degli incarichi a volte non è avvenuta sulla base delle reali capacità dell’interlocutore, bensì per rapporti di amicizia o per ragioni di praticità, comodità o pigrizia.
Per questo il Corso è inteso anche a fornire la competenza adeguata per riconoscere e selezionare anche sul piano della capacità tecnica e operativa i tanti che concorrono all’edificazione o alla conservazione di chiese e centri parrocchiali. I casi delle tante chiese costruite a Bologna e a Milano negli anni ’60 e ’70 sono esempi importanti, da studiare, da tenere a mente. Ma si riferiscono a un’epoca in cui vigeva l’edificazione di massa, spesso imposta dall’urgenza. Oggi è tempo di più approfonditi ripensamenti e si richiede una nuova attenzione alla qualità. Il tutto alla luce di una matura riflessione sul legato del Concilio.

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