Complesso Parrocchiale Maria Regina a Varedo, Milano

Il disegno si fonda su giochi di incastri rigorosamente controllati che aprono varchi di luce capaci di organizzare lo spazio con plastica coerenza. La chiesa si manifesta come luogo di riferimento per il nuovo quartiere Valera.

Questo progetto di Marco Contini è il primo a essere stato realizzato tra quelli che vinsero il concorso, istituito nel 1989 dall’Arcidiocesi di Milano, “Tre chiese per il 2000”. Varedo si trova una quindicina di chilometri a nord di Milano: un paese per tradizione legato all’industria tessile che, come tutti gli insediamenti della cintura milanese, ha conosciuto una notevole espansione. Il quartiere Valera si caratterizza per i suoi edifici bassi e ordinatamente disposti.

La configurazione degli edifici (chiesa e tre corpi a questa collegati) riecheggia un poco la disposizione dei fabbricati del quartiere. La strada (via Padova) lungo la quale si sviluppa il lato maggiore del complesso, definisce un grande spiazzo antistante che consente alla chiesa di acquisire preminenza, isolandosi dal tessuto urbano, mentre sul lato opposto del complesso vi sono i campi di gioco oltre i quali la vista si apre sulla campagna. La libertà che l’ampiezza dello spazio disponibile ha lasciato al progettista si è tradotta in un disegno che per controllo e misura si manifesta sobrio quanto basta per inserirsi amichevolmente nell’intorno urbano, mentre allo stesso tempo si distacca chiaramente da questo grazie alle due emergenze caratterizzanti: il cilindro del battistero, in cui si apre un taglio di luce a croce, e il campanile. Nell’insieme si tratta di un esercizio di ragionevolezza progettuale che propone elementi funzionalmente importanti, interpretati in modo tale da esaltarne l’eloquenza. Nell’ambiente interno si rivela la maestria del progetto: entro un unico ampio spazio a base quadrata si distacca un corridoio perimetrale come zona di passaggio, come ambito aperto. E senza interposizione di pareti un “velabro” ligneo raccoglie sotto di sé il vero e proprio spazio della celebrazione, quasi custodendone la voce, le vibrazioni, il respiro. Così l’assemblea liturgica si presenta trasparente seppure separata, aperta eppure ben definita. E la luce che filtra da tagli orizzontali superiori e verticali agli spigoli è usata con sapienza per alleggerire e quasi smaterializzare i volumi; è graduata con particolare intensità da un lucernario schermato che inquadra il luogo dell’altare. La luce è intesa come manifestazione autentica dello spazio che così, pur nella sua schematica chiarezza, acquista un sapore metafisico. Chi siede entro il perimetro dell’aula celebrativa esperimenta la potenza suggestiva del “velabro”: una moderna cupola squadrata dalle pareti leggere ma solide su cui scorre una luce della quale resta ignota l’origine, quasi a voler comunicare il mistero che ci sovrasta.

 

Il complesso parrocchiale visto dalla piazza Il campanile, che segna lo spazio di accesso Un passaggio coperto tra due corpi di fabbrica
Interno del battistero Vista dell’aula verso l’altare Vista laterale dell’aula

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