Nella chiesa di S.Tommaso D’Aquino, Università di Tor Vergata a Roma L’opera dello scultore Roberto Scardella diventa il segno di mediazione tra il luogo di culto e il campus universitario, testimonianza dell’umanesimo cristiano. L’immagine di Cristo è risolta in modo ambivalente, corazza e trofeo funebre, ma anche vessillo e insegna di vittoria. Icona del supremo momento del “Consummatum est”. Con la sentenza N. 556/2006, depositata lunedì 13 febbraio 2006, la sesta sezione del Consiglio di Stato sentenziava per la persistenza del Crocifisso nelle aule scolastiche poiché «simbolo idoneo a esprimere l’elevato fondamento dei valori civili […] che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato». Dal culto si trasla dunque alla cultura, confermando il significato genuino di laicità e non quello spurio di laicismo. Il crescere multietnico non deve produrre un’entropia di valori religiosi, bensì confermare l’ispirazione cristiana della cultura europea, da cui tolleranza sociale e
Roberto Scardella adottando, per la fusione bronzea, la consolidata e originale tecnica fascicolare, dà vita ad una scultura di forte suggestione e di intesa sacralità. Sull’ambivalente «albero» della morte e della vita, evidenzia gli estremi dell’umiliazione e dell’innalzamento, visibilizzando la «chenosi» del Cristo nel suo significato etimologico di «svuotamento ». Da una parte, il simulacro del Cristo è a guisa di corazza: macabro trofeo di un lottatore che non è più. Dall’altra, è risolto in vessillo: gaudiosa insegna del vincitore che è per sempre.Tali interpretazioni scultoree ostentano e sublimano il sacrificio cruento del Cristo per l’altrui salvezza. La croce di Cristo non è, quindi, la soluzione al dolore del mondo, bensì la difficile via di uscita; non è il dolcificante contro le ingiustizie umane, ma l’evasione ultima. La tragica maschera facciale dà forma al Christus patiens, inducendo ad esclamare angosciosamente:«Quanta species!». Anziché attribuire all’involucro svuotato il rassegnato «cerebrum non habet», quanti l’ammirano indirizzano tale giudizio a chi ha
Scardella sollecita quanti fruiscono della sua opera ad un’attrazione spirituale, da cui l’impegno fattivo, memorando ciò che dice il Signore: «Chi vuol venire dietro di me, prenda la sua croce e mi segua» (Lc 9,23). Il Maestro, con stilemi e movimenti da epopea mitica, risolve l’eroismo del guerriero in vittoria del soprannaturale. Del resto, il cristianesimo, nel segno della croce, alle connotazioni cosmiche aggiunge il valore sacramentale. Per Scardella, se il bronzo vanta retaggi apotropaici, la croce annuncia salvezza sicura, così che la croce «disegnata» dal corpo di Cristo e dall’incrocio dei pali non è solo l’olimpica icona del congiungimento universale, ma l’obbrobrio efferato del sacerdozio perfetto. Per Scardella il Crocifisso va ammirato con sguardo di fede per provare contrizione del peccato e per accedere al dono della conversione. Il Maestro con patine e sinuosità ben temperate infonde magia sacrale all’elemento materico, affinché la bellezza dell’umano artificio evocasse lo splendore della gloria divina. L’arte di ispirazione cristiana, infatti, non è chiamata ad evocare meri eventi storici, ma a dare loro splendor formae, onde sospingere lo sguardo verso l’ineffabile che è oltre il sensibile e nel profondo del cuore. Inoltre, la bellezza artistica dà perfezione sostanziale e quindi chiarezza contenutistica, evidenziando il messaggio religioso e, nel contempo, stimolando l’ascesi mistica. Per Scardella, nella contemplazione del Crocifisso, il credente deve poter scorgere l’ingresso alla beata eternità, l’affrancamento dal dolore umano, la magnificenza della divina misericordia. Scardella iconizza il Crocifisso nell’attimo fuggente del «Consummatum est», dove seè compiuto il crimine dell’uomo, soprattutto, compiutaè la redenzione di Cristo.«Consummatum est».Titolo emblematico per denominare un bronzo di maniera e di modernità, recante fascino spirituale, citazioni sacrali, originalità formale. L’icona del Maestro non è segno di consumazione fallimentare, bensì di compimento assoluto, così che l’attrazione non è all’evento storico, ma a quello metastorico.«Consummatum est». Impresa riuscita in na soluzione aggradante e significativa che con aerei avvitamenti, annodamenti, contenimenti, evoca sacralità mitiche e chenosi cristologica. L’icona del Maestro corrisponde alle attese non solo dell’arte sacra, bensì dell’arte cultuale, personalizzata per un target giovanile e accademico. «Consummatum est». Scultura provvida, in cui l’immobilità della morte non è corruzione, in cui il movimento del panneggio non è fola; da una parte, ricorda la sofferenza placata dalla morte e l’«emisit spiritum», dall’altra, anticipa la salita aureolata al cielo e il «signum salutis». L’icona del Maestro è testimonianza attuale in forme scultoree, così da connaturalizzarsi nelle moderne architetture della cappella universitaria.«O crux ave, spes unica», inneggia il credente che contempla fiducioso la «Bellezza che salverà il mondo», cioè il Cristo Crocifisso e risorto. Infatti, come ebbe a dire l’allora card. Ratzinger, «dobbiamo imparare a vederlo. Se noi lo conosciamo non più solo a parole, ma veniamo colpiti dallo strale della sua paradossale bellezza, allora facciamo veramente la sua conoscenza e sappiamo di lui non solo per averne sentito parlare da altri. Allora abbiamo incontrato la bellezza della verità, della verità redentrice. Nulla ci può portare di più a contatto con la bellezza di Cristo stesso che il mondo del bello creato dalla fede e la luce che risplende sul volto dei santi, attraverso la quale diventa visibile la sua Rev. Prof. Carlo Chenis, SDB |