Ai margini della città, un centro di culto ausiliario nasce come possibile sintesi anche delle necessità di socializzazione e luogo sportivo. Un edificio aperto che il progetto dello Studio Nemesi di Michele Molè interpreta con puntualità, dando vita a un’architettura di grande complessità e suggestione. La periferia è luogo dove si manifesta non solo il grigiore dell’uniformità ripetitiva da edilizia popolare massificata. Ma a volte, e con crescente intensità in anni recenti, è luogo di sperimentazione. Vi si trovano a volte episodi di rara intensità, come questo edificio progettato dallo Studio Nemesi dell’architetto Michele Molè. L’edificio è stato concepito
Oggi, nella realtà dei fatti, l’aula “polifunzionale” realizzata viene utilizzata solo per la celebrazione eucaristica. Ma l’idea di partenza ne ha informato definitivamente e irrimediabilmente il cammino progettuale. L’architettura che ne è risultata, infatti, riflette quell’impulso originario, di inconsueto impegno alla polivalenza. La grande copertura che si dilata orizzontalmente in alto, a proteggere uno spazio più vasto del volume chiuso sottostante, comunica proprio l’idea della piazza aperta ma protetta. L’altezza e la trasparenza del volume al cui interno si intravede la scala, pone
Di quella che era la facciata nelle chiese storiche, resta memoria nella grata sospesa a mezz’aria nella parte che dà verso la “piazza” bassa, sul lato opposto della strada dalla quale si raggiunge il luogo. Perché la chiesa sorge su un declivio, che dalla quota alta, verso la strada, scende verso una zona a prato, ampia vallata dove il sobborgo romano guarda verso la campagna. L’aula grande si apre al livello basso. Accanto a questa un altro volume sferoidale racchiude la cappella feriale. E’ questa il cuore dell’edificio. E’ di impressionante modernità l’arredo liturgico, frutto di un gesto che richiama l’idea di movimento e di meccanicità, di rapidità e di energia. Il susseguirsi di superfici che con ritmo incalzante erompono in varie direzioni non risulterebbero estranee in un centro sportivo. Qui si raccolgono attorno all’altare, coronandolo di uno scenario di stringente quanto astratta drammaticità. Il significato del luogo si raccoglie nella croce: un semplice profilo metallico il quale, contro le pareti chiare e i tagli di luce che misteriosamente si fanno strada nelle masse, si riveste di una presenza di particolare valore.
E diventa punto focale, luogo di attenzione, ancoraggio di significato; evidenza di un messaggio che permane pur nel tumultuoso mutare della storia. Il presbiterio nel suo complesso risulta non estraneo a una rivisitazione in chiave “hi-tech” di un certo brutalismo. Si tratta di un’interpretazione che esprime compiutamente il compito che all’origine era stato prefisso per questa architettura. Una parete mobile può calare e separare il presbiterio dal resto dell’aula:
La stessa forma sferoidale, che come immagine geometrica si contrappone nettamente alle altre superfici e agli altri volumi dilatantisi secondo linee rette, mette in evidenza la centralità e allo stesso tempo l’eccezionale importanza della cappella. Qui l’edificio si ricapitola e tutto quel che altrove sembrava disperdersi in tensioni e in contrasti, qui giunge al suo ricongiungimento. L’architettura non è frutto soltanto di un gesto artistico del progettista, nasce piuttosto dalla percezione di uno stato di necessità da risolvere. Qui molti problemi si accavallano e trovano un’efficace espressione. Nella cappella se ne incontra la risolutiva sintesi. (Leonardo Servadio)
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