Chiesa di Riverbend ad Austin (Texas)

Un auditorium per celebrare
Prof. Don Pierangelo Sequeri Teologo

L’anfiteatro che si richiama all’antica tradizione del teatro greco costituisce il motivo ispiratore di questa chiesa battista del Texas. Considerazioni di carattere acustico e visivo hanno avuto peso prevalente nelle scelte progettuali. L’edificio si sviluppa in forma di arco che si tende tra due torri campanarie, quasi fari eretti sull’intorno campestre.

Le celebrazioni battiste sono incernierate sull’espressione musicale corale. Ma oltre a questo, alla base del concetto architettonico che si manifesta in questo progetto di Overland Partners c’è anche il desiderio di un edificio dalle qualità teatrali, adatto all’uso come sala polivalente. Il complesso sorge sul declivio di una collina e guarda verso l’ansa di un corso d’acqua. L’ambiente circostante è campestre. Nell’atmosfera arcadica, l’edificio si pone come netto contrappunto che cerca di riassumere nel gesto progettuale una gran parte della storia dell’architettura. La struttura ad arco ribassato che informa il disegno rimanda all’antichità, come la scelta della pietra a vista. Ma il modo in cui le croci si sporgono all’infuori sulle torri e l’acciaio e il vetro abbondanti alla sommità di queste hanno il sapore della citazione “hi-tech”. Impressionante è l’accuratezza del progetto dell’aula-auditorium, che consente al più lontano degli astanti di non distare più di 30 metri dal palco.

Nelle foto: L’ambiente naturale di grande suggestività ha favorito la scelta di materiali “senza tempo” quali la pietra.
La planimetria della chiesa-auditorium.

Il commento
Suggestioni e interrogativi di un’ipotesi
di architettura musicale

Non c’è dubbio: questa chiesa è un anfiteatro, non gli assomiglia soltanto. Il simbolismo qui, tuttavia, non dipende in primo luogo da un’intenzione formale che ha come termine l’estetica dell’oggetto architettonico (come nel caso delle chiese-tenda, chiese-arca, e simili). L’idea di concepire l’architettura funzionale di uno spazio sacro specificamente dedicata alla performance drammatica e musicale della celebrazione è originaria ed esplicita. La logica della composizione si muove però, complessivamente, su un doppio registro, che ha piuttosto a che fare con la relazione simbolica dell’esterno e dell’interno, rispetto a quella istruita dalla specificazione funzionale che è connessa al multiuso. Ed è perciò di qui che deve incominciare l’analisi. L’interno attinge al modello arcaico del teatro greco-romano all’aperto. La disposizione è intenzionalmente studiata per l’obiettivo di una congregazione religiosa, di origine riformata, che mira al coinvolgimento del territorio e della comunità locale. Dal punto di vista spirituale, l’immensa aula semicircolare con la tipica disposizione semicircolare di sedili digradanti, sezionati da comodi raggi di scorrimento, è destinata a favorire una certa intimità dei partecipanti, che va a compensare l’enorme superficie occupata dal totale dell’assemblea. La distribuzione dei posti in senso orizzontale è calcolata in modo da favorire il contenimento della profondità del raggio e privilegiare così un contatto più avvolgente e diretto dei singoli con l’area centrale della scena: dove appunto si svolgono le performance drammatiche, musicali e rituali. La parete absidale risulta di due semicerchi sovrapposti: il cerchio interno, che forma la parete, e quello più esterno, costituito da un grande arco, sono collegati da una vetrata trasparente sull’esterno, con telaio a finestre congiunte: la corona circolare che ne risulta evoca il motivo del chiostro a colonne proiettato sul piano. Lo sfondo riprende vistosamente, sulla verticale, il motivo semicircolare della platea, a sua volta divisa in due sezioni concentriche da un largo corridoio, riproposto anche nel proscenio. L’esterno invece, è di tutt’altra matrice tipologica. Il suo modello arcaico è quello del tempio-monumento rigorosamente chiuso (dalla piramide – ziqurrat al castello – convento). Il simbolo del sacro, qui, è giocato sull’imponenza del rilievo e sulla compattezza dei volumi.

"Il suo modello arcaico è quello del tempio-monumento rigorosamente
chiuso (dalla piramide-ziqurrat al castello-convento)"

La chiesa di Riverbend a Austin,Texas.

Indirizzo: 4214 Capital of Texas Highway North, Austin,Texas
Progetto: Overland Partners, Inc., San Antonio, Texas; direttore del progetto:Timothy B. Blonkvist, AIA
Calcoli Strutture: Lundy & Associates, San Antonio, Texas Foto: Paul Bardagjy Photography; Atelier Wong Photography, Austin,Texas.

Nelle foto: La chiesa-auditorium si trova al culmine di una collina che guarda verso l’ansa di un fiume. In questa foto vediamo l’accesso.
Una delle due torri-campanile. Una camicia esterna in pietra avvolge la struttura interna di acciaio e vetro. La croce si protende in fuori con monumentale dimensionamento.

Nelle foto:La pianta dell’aula, e la porta-finestra ad arco dell’entrata principale.

L’esterno del tempio è l’espansione della pietra sacra che esibisce il luogo dell’impatto del divino. Per sino le rade finestre rettangolari, inserite come occasionale decoro, non interrompono l’effetto. Le enormi croci esterne apposte alle grandi spaccature verticalidelle torri laterali, sono inferriate che chiudono implacabilmente il varco: un segno monumentale esso stesso, che sbarra l’accesso dell’i
nterno più che proiettarne il significato all’esterno. Il totalmente aperto all’interno, mediante l’evocazione di un sacro pervasivo e dinamico che agisce nel sacro recinto di pietre (la forma più arcaica del tempio). Il totalmente chiuso all’esterno, mediante l’evocazione di un sacro segreto e inaccessibile (il sepolcro del faraone, la sala delle colonne). L’effetto di soglia è tendenzialmente azzerato, con opposti vettori simbolici, in entrambe le dimensioni. Ecco dove sta il punto difficile, prima ancora che nella questione del rapporto fra il rito sacro e la performance estetica. Chi celebra, qui, quella voluta integrazione e intimità dei partecipanti, che si vogliono ampiamente raccogliere dalla comunità dell’intero luogo-habitat? E quale celebrazione si consuma qui, nel luogo esteriormente inaccessibile e indecifrabile che – esclusivamente al suo interno – si popola di luci, di suoni, di emozioni e rappresentazioni profondamente condivise?

Nella foto: l’auditorium-sala polivalente. I rivestimenti lignei sono studiati in funzione acustica.

"Il sacro cristiano coincide forse, qui, con una comunità separata che celebra se stessa? "

Il sacro cristiano coincide forse, qui, con una comunità separata che celebra se stessa? Il contrasto che in tal modo ci interpella architettonicamente non è senza significato per rapporto all’intenzionale polarizzazione “musicale” dell’intera aula “sacra”. Nel cristianesimo occidentale, il rapporto della musica col sacro, a mano a mano che si è sviluppata una significativa osmosi fra l’intimità della liturgia monastica e la condivisione del tempo civile, si è dotata delle necessarie scansioni dell’effetto di soglia, che crea separazione nel momento stesso in cui propizia la connessione e il passaggio: dall’altare al coro, dal coro all’aula, dall’aula al sagrato, dal sagrato alla piazza. Dal canto della parola, al dramma liturgico, alla sacra rappresentazione davanti al tempio, alla lauda itinerante nelle piazze – simbolo della città. La congiunturale fusione del tempio della celebrazione collettiva con l’aula di uno scenario corale che entra totalmente in vibrazione non è affatto ignota alla tradizione cristiana. Un’efficacissima “icona” altomedievale dell’effetto di macchina della lode che risulta dalla perfetta fusione delle strutture del tempio con la performance spettacolare – sonora del rito, si può leggere ad esempio nel resoconto della seconda consacrazione della Cattedrale di Wincester nell’anno 994 (cfr. P. Williams, The Organ in Western Culture, 750- 1250, Cambridge University Press 1993, pp. 125ss): “La voce delle campane si fonde con quella delle canne, la linea del canto si intreccia con le sue elaborazioni variate, tutto l’ambiente è pervaso dal canto delle voci dei chierici, degli infanti e dell’assemblea: il triplice congegno musicale esalta la lode divina (dei-tatis opem machina trina tonat)”. La densità simbolica riconosciuta nell’azione di quel triplice congegno che rende strumento musicale l’intero edificio sacro è raffinatissima.Tre sono le strutture sonore (campane e organo o strumenti a fiato; le composizioni liturgiche sapientemente elaborate dai tropi; le parti musicali degli attori significativi dell’assemblea, che comprendono prevedibilmente i vocalizzi festosi degli infanti). Triplice (trina) è anche la struttura – tipo che identifica la comunità che si raduna per la celebrazione (clero regolare, laici adulti, i bambini). Però, all’epoca, machina era anche la denominazione corrente delle tre strutture della cattedrale destinate a contenere i soggetti delle celebrazioni: il coro, la navata, la cripta (solo più tardi verrà indicata così anche la torre o campanile). L’elaborazione di un rapporto di fusione fra metafora musicale e architettura sacra, nei suoi elementi strutturali e nella sua dimensione liturgica, va dunque certamente incoraggiato. La confusione, invece, può addirittura introdurre effetti di azzeramento dei valori simbolici pur intenzionalmente voluti. L’esito va scongiurato già in sede di progettazione estetico – architettonica, mediante l’elaborazione di un’idea compositiva opportunamente articolata del templum-ecclesiae: tale cioè da incoraggiare già strutturalmente un’accorta regia dei suoi necessari effetti di soglia e dei suoi specifici spazi transizionali.

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