Certificazione Energetica: costi e benefici, una questione di “forma”?

L’ITER LEGISLATIVO
La legge 10 del 1991 dettava le modalità di calcolo e gli adempimenti per effettuare la verifica alle dispersioni termiche degli edifici. Il Dlgs 192 del 2005, quale applicazione in Italia della direttiva europea 91 del 2002, sostituiva di fatto le precedenti modalità di calcolo a verifica delle dispersioni energetiche fissando nuovi limiti sulle strutture per l’isolamento termico e sui rendimenti degli impianti scaglionate negli anni dal 2006 al 2010.
All’interno del decreto si definiva l’obbligatorietà della redazione dell’attestato di certificazione energetica per la compravendita degli immobili. Venendo a mancare le linee
guida fino al luglio 2009, l’ACE venne provvisoriamente sostituito da una dichiarazione “gratuita” redatta dal Direttore dei Lavori definito Attestato di Qualificazione energetica. Successivamente venne aggiornato il Dlgs 192 con il Dlgs 311 del 2006 (in risposta alla nuova direttiva europea per il risparmio energetico dettato dal protocollo di Kyoto) con nuovi limiti e dettagli da rispettare; fino alla situazione attuale dove, con l’entrata in vigore dei Decreti Ministeriali 26/06/09: “Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici” e con la Legge 99 23/07/09 n. 99: “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”, gli obblighi sono: redazione dell’ACE per l’ottenimento del Permesso di Costruire (attualmente obbligo sospeso annualmente dal 2005 dai vari decreti “mille proroghe); redazione dell’attestato di qualificazione energetica per l’ottenimento del certificato di agibilità (assurdamente obbligo non decaduto con l’entrata in vigore delle linee guida per l’ACE); redazione dell’ACE obbligatorio per le compravendite degli immobili ma non da allegare all’atto di proprietà (cosa per la quale l’Italia è stata messa sotto inchiesta dalla CEE).
Essendo passati cinque anni dal Dlgs 192 a quando sono giunte le linee guida, nel frattempo varie regioni d’Italia hanno adottato delle proprie norme regionali come attuazione per la redazione dell’ACE, creando confusione e diversità dell’operato dei certificatori in base alle regioni.
Creando ulteriore confusione, attualmente le regioni dovrebbero adeguarsi alle nuove linee guida nazionali portando nuove normative e successivi aggiornamenti che diversificano ancora di più l’applicazione della norma nel territorio italiano rispetto a quello già legiferato: dal Veneto privo di norme al riguardo, alla Lombardia, con l’istituzione di una procedura ad hoc con la creazione di un catasto energetico, al Trentino, con l’ambiguità di una norma regionale non ancora definitivamente entrata in vigore e l’ente CasaClima per la provincia di Bolzano quale promotrice della norma nazionale stessa e più volte ivi citata.
La stessa procedura di certificazione prevede due diverse strade da adottare, la procedura completa definita dalle UNI 11300 alla procedura semplificata adottata nel software Docet, rilasciato gratuitamente dall’ENEA a cui fanno riferimento le stesse linee guida.
Ora, tralasciando tutte le possibili interpretazioni e applicazioni causate dalla burocrazia, al fatto che il certificatore per essere qualificato secondo la norma nazionale vigente basta che sia iscritto a un ordine professionale, che il certificatore debba essere estraneo alla progettazione e realizzazione dell’edificio quale progettista, direttore dei lavori, collaudatore; la cosa da chiedersi è: che cosa vuol dire per il semplice acquirente di una abitazione se fuori dal cantiere è esposto un cartello con scritto “edificio in classe B”?CAMPI DI APPLICAZIONE
Alla luce di una corretta logica progettuale, le diverse tecnologie costruttive devono necessariamente essere applicate considerando le condizioni climatiche locali.
Se l’inerzia termica è una risposta efficace per difendersi dal caldo, in climi freddi viene spesso fatto uso di partizioni con bassa inerzia.

Zone a clima freddo
In materia di risparmio energetico degli edifici, le esperienze e le sperimentazioni del Nord Europa hanno prodotto risultati di eccellenza nella misura in cui l’adozione di tecnologie costruttive con inerzia termica trascurabile, basate per lo più su sistemi leggeri tipo struttura – rivestimento, trova applicazione in climi freddi, nei quali la protezione dalle basse temperature è stata in passato e resta tuttora la sfida tecnologica più importante.
Lavorare con sistemi leggeri dotati di grande isolamento termico ma di massa esigua, se da un lato consente di ottenere temperature interne confortevoli con una ridotta spesa energetica, dall’altro non offre alcuno sfasamento temporale della potenza termica scambiata rispetto all’andamento della temperatura.
Ai fini pratici l’effetto volano fornito dall’inerzia termica perde gran parte del suo significato, in quanto il minimo di temperatura esterna lo si ha di notte, quando è accettabile un certo livello di raffreddamento dell’ambiente interno.
Di giorno, quando la temperatura esterna assume valori più alti, la minore differenza tra ambiente interno ed esterno favorisce di per sè una minore dispersione di potenza termica. In un clima freddo è dunque possibile ottenere ottime performance energetiche anche con tecnologie a basso contenuto inerziale, a patto di utilizzare sistemi dotati di bassa trasmittanza.Zone a clima caldo
Nelle zone a clima caldo, differentemente, anche a causa dei fenomeni di irraggiamento tra il sole e le superfici esterne, l’escursione termica elevata tra il giorno e la notte rende le tecnologie inerziali fortemente vantaggiose rispetto alle più semplici strutture leggere.
Lo sfasamento e lo smorzamento offerti dalle partizioni a grande capacità termica rendono possibile l’esercizio più confortevole degli ambienti interni nelle ore più calde della giornata (per le ragioni espresse nel precedente paragrafo).
Se nell’architettura storica si è soliti interfacciarsi con strutture dotate di alta capacità termica (ampie partizioni murarie in mattone o pietra), attualmente è possibile conseguire buone prestazioni dimensionando opportunamente le partizioni, accoppiando elementi isolanti (leggeri) a elementi dotati di massa (es. calcestruzzi o mattoni), eventualmente utilizzando materiali isolanti dotati di discreta inerzia, quali i moderni isolanti in fibra di legno; questi ultimi, pur possedendo una conducibilità bassa, sono dotati di una massa volumica molto superiore rispetto ai più tradizionali isolanti in fibra minerale o in materiale polimerico.
Comunque sia, in un edificio, il componente che possiede le maggiori proprietà inerziali è il terreno.
Esso risulta essere una sorgente di calore calda durante il periodo invernale e una sorgente di calore fredda durante i mesi estivi.
Se opportunamente sfruttato, il terreno rappresenta dunque un’importantissima risorsa per il raffrescamento passivo dell’edificio.
Dal punto di vista tecnologico è possibile utilizzare il terreno in molti modi, a cominciare dal potervi alloggiare l’unità di condensazione di un impianto di raffrescamento per aumentarne il rendimento, fino a pensare a soluzioni termodinamicamente raffinate che prevedono nell’ambiente un ricircolo di aria (magari in movimento per convezione naturale) che, prima di esservi immessa, viene raffreddata in uno scambiatore di calore posto a una certa profondità nel terreno stesso.
Una nuova opportunità tecnologica proviene dalle ricerche nel campo dei materiali a cambiamento di fase, i PCM (phase change materials); con questi ultimi è possibile contenereil carico termico pur lavorando con sistemi dotati di massa esigua. Il funzionamento dei PCM si basa su principi fisici differenti da quelli menzionati in questo articolo, per cui se ne rimanda l’approfondimento.

CONCLU
SIONI

A monte di un qualsiasi intervento di condizionamento il raffrescamento passivo costituisce una reale e attuale opportunità per il comfort termico e per il risparmio energetico nei climi caldi.
Le recenti tecniche di analisi e simulazione consentono di comprendere e prevedere la risposta di ciascuna tecnologia costruttiva in relazione alle condizioni climatiche e all’utilizzo specifico di un ambiente.
È dunque auspicabile che alle competenze progettuali vengano affiancate le competenze necessarie a supportare la soluzione di problemi termodinamici complessi, in un’ottica interdisciplinare capace di sostenere elevate esigenze prestazionali in relazione alle specifiche condizioni climatiche dei siti di intervento.

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