Il fenomeno della carbonatazione del calcestruzzo armato Servizio di: Caterina Parrello, architetto
Il calcestruzzo armato, fino a qualche anno fa, veniva considerato un materiale estremamente affidabile e durevole, supponendo la perfetta contrapposizione fra acciaio (materiale non durevole pertanto soggetto ad opportuni cicli di protezione) e il cemento, materiale ritenuto eterno. Le modificazioni subite dall’ambiente, divenuto sempre più aggressivo nei confronti delle strutture, hanno evidenziato che anche il cemento armato ha un suo ciclo di vita, e che in alcuni casi deve essere protetto già sul nascere o comunque non appena costruito. Ad avvalorare quanto sopra, la normativa ENV 206 stabilisce che il degrado delle strutture in cemento armato è dovuto principalmente a due fenomeni: 1. cause oggettive della struttura (errata progettazione, inadeguatezza dei materiali e scarsa cura della loro posa); 2. influenze ed azioni dell’ambiente esterno, (azioni di tipo chimico, fisico e meccanico). Quando nei manufatti in calcestruzzo armato si nota un degrado con conseguente affioramento dei ferri d’armatura, ci troviamo molto spesso di fronte al fenomeno della carbonatazione. Il problema è particolarmente sentito perché il fenomeno pone rilevanti inconvenienze tecniche sull’efficacia del ripristino, poiché i tradizionali tipi di interventi sono destinati quasi sempre a fallire dal momento che non riescono né a bloccare né a ritardare la corrosione.
Da qui la necessità a ricorrere a metodi di protezione e realizzazione di interventi durevoli, prima che il degrado possa compromettere la stabilità strutturale dell’edificio. Per il ripristino e la protezione del calcestruzzo si deve procedere in questo modo: a) asportare selettivamente le porzioni di calcestruzzo ammalorato mediante idrodemolizione, o sabbiatura per la completa rimozione di ogni parte in fase di distacco, e comunque non dotata di sufficiente resistenza e coesione. b) preparare le superfici interessate con accurata pulizia dalle sostanze o depositi estranei, (ovvero elementi che possono pregiudicare l’adesione, quale ruggine, olio, grassi, pellicole superficiali o sfarinati), il tutto al fine di ottenere una superficie di aggrappo sana, e resistente. L’intervento meglio se seguito con mezzi manuali, o comunque tali da non danneggiare lo strato sano di calcestruzzo sottostante evitando eccessive vibrazioni. c) bonificare i ferri ossidati scoprendoli e pulendoli con robusta spazzolatura o sabbiatura, applicando in seguito uno specifico protettivo ad effetto passivante e inibitivo alla corrosione. Tutto ciò avrà effetto migratorio per la protezione non solo della zona a diretto contatto, ma anche nella parte retrostante il ferro d’armatura stesso. d) reintegrare i volumi con composto di malta antiritiro fibrorinforzata, a basso modulo elastico, elevata resistenza meccanica, buona permeabilità al vapore, elevata resistenza ai cicli di gelo e disgelo. e) ultimare la superficie trattata mediante rasatura con malta premiscelata a base di cemento, inerti selezionati e additivi per contrastare il formarsi di fessurazioni dovute al ritiro plastico, e per garantire una buona resistenza meccanica. L’intera struttura dovrà essere protetta contro futuri fenomeni di ossidazione e di carbonatazione mediante l’applicazione di opportuno rivestimento fotostabile e resistente a sollecitazioni dinamiche e piogge acide. Il sistema Antol Ripristino dell’azienda Torggler Chimica, opera un ripristino conservativo del calcestruzzo armato, creando: 1. un ambiente basico per i ferri d’armatura, che rappresenta la migliore protezione contro la corrosione; 2. un ripristino volumetrico impermeabile dell’acqua, resistente alla diffusione dell’anidride carbonica e solforosa, permeabile al vapore acqueo e con ridotto modulo elastico. |