Celebrazioni d’eccezione in un centro sportivo


Il 18 novembre 2007 si è svolta a Novara la cerimonia per la beatificazione di Antonio Rosmini. Don Carlo Maria Scaciga, direttore dell’Ufficio per i Beni Culturali Ecclesiastici, ha curato l’allestimento dello spazio per la celebrazione, entro lo "Sporting Palace" della città. Così gli impianti diventano aspetto sostanziale dell’ambiente liturgico.

Nel rispondere alle domande di CHIESA OGGI architettura e comunicazione, Don Carlo Maria Scaciga delinea anche alcune questioni che concorrono al giudizio sull’uso della tecnologia entro lo spazio di culto.

Come si trasforma un ambiente sportivo in luogo per la celebrazione?
È un passaggio difficile, che richiede un’attenta calibratura di tutti gli elementi che concorrono a definire lo spazio per la celebrazione. Lo Sporting Palace novarese è una struttura molto grande, capace di circa 5.000 spettatori (basti pensare che al suo interno trovano spazio quattro campi di pallavolo separabili da paratie mobili così che si possano svolgere competizioni in contemporanea in ognuno di essi).
L’evento era eccezionale: per celebrare la beatificazione di Antonio Rosmini, che in questa Diocesi visse a lungo, fondò le sue Famiglie religiose e morì, ci si attendeva la presenza di oltre ottomila persone.
La Cattedrale non sarebbe stata adeguata a contenerle.
Era quindi inevitabile ricorrere a un altro ambiente, l’unico in città adatto per dimensioni, anche se di per sé non sufficiente (abbiamo dovuto infatti aggiungere una tensostruttura, collegata con apparati audiovisivi, per assicurare a tutti i presenti la partecipazione all’evento). Ciò premesso, il compito affidatoci, e il vero problema, era trasformare una struttura sportiva in un luogo di preghiera e di celebrazione, ridefinendo l’ambiente con strutture ed elementi
temporanei ma non banali, che avessero la qualità estetica necessaria per essere eloquenti sul piano evocativo e suggerissero un clima appropriato.

Da che cosa siete partiti?
Siamo partiti da due intuizioni spirituali di Antonio Rosmini: "Luce di Verità" e "Fuoco di Carità", espressioni cariche di suggestioni e di impalpabilità materiale.
È stata questa la difficoltà e la scommessa maggiore: rendere materiale l’immateriale, rendere concreto un concetto astratto, senza cadere nel retorico o nel banale. Su questo tema si è cimentato Francesco Gonzales, collaboratore dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi e progettista dell’allestimento. Egli ha seguito un percorso originale: prima la scelta dei materiali e poi la forma, prima la ricerca, attraverso le mille possibilità esistenti, di superfici che meglio esprimessero il concetto rosminiano e, solo in un secondo momento, lo studio della forma ideale che avrebbe
tenuto in piedi tutto il discorso progettuale. Dopo vari studi e ipotesi, si è presentato un bozzetto dell’area celebrativa prettamente simbolico, dove l’altare si caratterizzava per uno squarcio diagonale in oro ("Fuoco di Carità") e l’ambone per l’apertura dei due battenti in pietra del Sepolcro che lasciano intravedere una banda dorata, indizio
del Risorto (“Luce di Verità").
In questo percorso di progettazione, la fantasia e la creatività sono sempre state accompagnate dalla necessità di rendere il tutto estremamente duttile, leggero e di facile assemblaggio, proprio perché si trattava di un apparato effimero che sarebbe durato solo una giornata, ma che al tempo stesso fosse pregnante di significati (in effetti, e questo ci sembra molto bello, altare e ambone saranno riutilizzati nell’adeguamento liturgico della Cappella maggiore del Seminario teologico di Novara). L’attenzione del progettista è quindi caduta su un materiale quasi sconosciuto, o comunque non più in uso da tempo: il finto marmo di Rima San Giuseppe, località valsesiana che vanta un’antica tradizione nella lavorazione della scagliola e del finto marmo in pasta (solo per fare un esempio, la realizzazione, tra ‘700 e ‘800, a San Pietroburgo, dei colonnati in finta malachite del Palazzo d’Inverno).
La scelta testimonia non solo un dato puramente estetico ma anche la volontà di legare il territorio e l’eccellenza artigiana della terra novarese con l’importante evento rosminiano. Oltre alla scagliola, l’inserto d’oro zecchino è stato realizzato da un blocco unico di legno di cirmolo e lavorato a sgorbia per rendere la superficie mossa e irregolare.
Punto focale dell’apparato, il Crocifisso, copia della Croce trecentesca conservata nel Duomo di Novara.
Come ha scritto Gonzales: "Dalla Croce parte il nostro percorso…. Brilla di luce dorata, come gli altri luoghi protagonisti
della cerimonia".
Ai lati, il grande ritratto di Rosmini di Francesco Hayez e il logo rosminiano del pellicano, simbolo di Cristo, che dona il suo corpo, realizzato a stampa con inserti di pietre semipreziose, a rendere la superficie mossa e riflettente. Lo stesso simbolo era stato riprodotto sulle 500 casule che abbiamo fatto realizzare ad hoc per tutti i concelebranti dalla ditta Bianchetti, perché abbiamo ritenuto importante creare armonia anche nelle vesti liturgiche.

Un Palazzo dello Sport richiama anche un contenuto tecnologico importante…
La liturgia richiede, anzi impone anche apparati tecnologici.
Anzitutto gli impianti di diffusione e di illuminazione: importantissimi per il corretto svolgimento della liturgia e anche per esaltarne la valenza simbolica. L’apparato acustico, in particolare, deve essere sempre calibrato in modo tale che le diverse voci che concorrono alla celebrazione (parole, canti, suoni) siano equilibrate e ben udibili in tutti i luoghi.
Nel nostro caso il problema si presentava in termini quasi drammatici: essendo lo Sporting Palace di recentissima costruzione, non eravamo in grado di conoscerne con esattezza in anticipo gli eventuali problemi acustici e avevamo 36 ore utili per gli allestimenti.
Analoghi problemi comportava l’illuminazione. Al committente spetta il compito di avere le idee chiare sul piano liturgico ed estetico: ai tecnici di trovare le specifiche soluzioni.
Ci siamo perciò affidati a tecnici altamente specializzati che hanno curato la progettazione, il coordinamento tecnico e lo start up
dei sistemi audio utilizzati per l’evento.
Niente "fai da te", dunque, e risultati davvero eccellenti, sia all’interno dello Sporting Palace, sia nella tensostruttura
esterna, dotata di sistema video a Led.

In alto: prospettiva dello Sporting Palace duante la celebrazione. In basso: ambone e altare, realizzati
in scagliola con inserti in foglia d’oro. Un particolare della elaborazione dell’altare.

Al proposito, si può quindi parlare di uso "buono" o "cattivo" della tecnica?
Direi proprio di sì. Ho visto chiese buie come l’antro della Sibilla e chiese illuminate come fossero il salone da ballo del castello di Stupinigi.
In questi casi la luce, o la sua mancanza, appiattisce lo spazio e non consente di comprenderne l’articolazione
necessaria perché si esprima il valore simbolico del rito.
È sorprendente che ancora oggi avvengano interventi tecnici insipienti.
Ripenso invece, solo per fare un esempio, alla suggestione provata più di trent’anni fa a Taizé, nella chiesa della Riconciliazione, ove l’illuminazione era usata con somma sapienza.
Ricordo l’aula avvolta nella penombra, con un solo cono di luce che calava verticalmente sull’ambone: questo stesso fatto, la sola organizzazione dell’illuminazione, ne faceva l’onfalos, il centro assoluto della Liturgia della Parola, per spostarsi poi sull’altare al momento della Liturgia Eucaristica.
La luce è un elemento costitutivo dello spazio e contribuisce a disegnare lo spazio liturgico.

Ma se la liturgia richiede autenticità, come può un apparato tecnologico essere autentico?
Lo può, a misura che è conforme alla finalità dell’azione liturgica. Di qui la necessità di un’attentissima e competente
calibratura di luce e suono.

Pagina a lato: S.E. Mons. Renato Corti, Vescovo di Novara, mostra il decreto di beatificazione;
accanto a lui, Don Carlo Maria Scaciga. Nell’altra foto, il momento in cui sono portate all’altare
le reliquie di Rosmini mentre se ne svela il ritratto sul drappeggio che fa da fondale.

E quando si può parlare di tecnologia mal usata?
È sempre male usata quando gli impianti sono progettati in modo incompetente: la tecnologia di per sé è uno
strumento, né buono né cattivo.
Bisogna rifuggire dai due estremi del minimalismo e dell’esibizionismo, ma anche va evitato il mimetismo.

Alcuni esempi?

Le candele votive elettriche, ad esempio, sono una mimesi assurda: altro è la candela, altro l’illuminazione elettrica. I cosiddetti "animatori liturgici": specie di robot in cui le registrazioni sostituiscono il canto dell’assemblea. In qualche misura anche il suono delle campane registrato va evitato, anche se in questo caso si capisce che in una chiesa nuova, in attesa di vere campane, si usino diffusori di suono. Il principio resta quello della "verità" delle cose: una
candela è e deve essere una candela e non una pila, il cero pasquale non può essere un tubo di plastica. Il discorso, come si vede, può diventare più ampio e andare al di là del rapporto liturgia – tecnologia (qualità degli arredi liturgici, dei paramenti, uso di nuovi materiali, ecc.). Ma per rimanere al tema, c’è un ampio ambito di interesse che riguarda, ad esempio, le nuove tecnologie per l’uso dell’energia solare per il riscaldamento e l’elettricità (pannelli solari, impianti fotovoltaici).
Rappresentano un interessante banco di prova per tutti, liturgisti, pastori, tecnici, organi di tutela, soprattutto per quanto riguarda le chiese vincolate.
Importante è lo studio, la sperimentazione e il dialogo, perché si evitino sia le ubriacature da tecnologia avanzata sia i preconcetti reazionari. E si raggiunga nel celebrare quella nobile semplicità che è lo stile di chi adora Dio "in spirito e verità".

Leonardo Servadio

La pedana con ambone e altare.
In alto: l’aula preparata per la cerimonia, col
crocifisso che riproduce quello della cattedrale
contro il drappeggio di sfondo.

 

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