Casa Generalizia Suore Maestre di Santa Dorotea a Vicenza

Nella sua singolare cifra stilistica, in equilibrio tra modernità e tradizione, Paolo Portoghesi ha realizzato ambienti nuovi per la preghiera, percorsi di luce, spazi di riunione densi di significato. L’antico convento ha recuperato il suo spirito di servizio ecclesiale, attraverso soluzioni inedite, ma radicate nella storia, negli affetti, nelle consuetudini. Non è solo questione di ripristinare ambienti esistenti, ma di riattivare quella vita segreta dell’edificio che lo mette in sintonia con la sua finalità oggettiva e gli permette di essere degno ricetto per le emozioni e i desideri di chi lo abita. E in questo caso si trattava di ritrovare le condizioni per le quali le suore potessero sentirsi veramente a “casa”, col conforto della loro storia, con la presenza del fondatore, Mons. Giovanni Antonio Farina. Nel 1936, Mons. Farina costituì la Congregazione delle “Suore Maestre di Santa Dorotea – Figlie dei Sacri Cuori”, dedite all’educazione, in particolare delle giovani povere con una specifica vocazione per l’aiuto alle giovani sorde, mute e non vedenti. La comunità delle suore, per la loro Casa Generalizia ha richiesto che venisse ripristinato il carattere monastico del complesso, che aveva subito interventi e trasformazioni invadenti nel corso della seconda metà del ‘900. In specifico le richieste erano: ampliare la chiesa principale dell’edificio; migliorare la luminosità nella cappella di santa Bertilla; riordinare il sistema distributivo interno reso confuso dalle molteplici modifiche apportate negli anni; individuare un percorso di collegamento tra le cappelle di santa Bertilla, del Santissimo e la chiesa principale, che fosse anche accessibile ai visitatori; ricavare una nuova cappella, una nuova sala per conferenze e cerimonie nel locale del vecchio refettorio, una nuova aula magna e una sala riunioni nell’altana che sovrasta il complesso. Infine si richiedeva un’opera di risistemazione per il cortile interno, dove alcuni glicini centenari sono inestricabilmente avvinghiati ai chioschi in ghisa ottocenteschi: il luogo avrebbe dovuto divenire un ampio chiostro a giardino, arricchito dal gorgoglio dell’acqua che sgorga da una fonte. I lavori sono durati 3 anni, dal 2001 al 2003 e hanno comportato un autentico “restyling” dell’edificio, riconoscibile all’esterno soprattutto per l’avveniristica fontana, le cui linee, coerenti con la dinamica dei getti d’acqua, realizza un punto di incontro estetico tra arte contemporanea ed elemento naturale. All’interno vi sono soluzioni di inconsueta arditezza tecnologica inserite entro un disegno generale attento al dettaglio, rifinito al punto da acquisire un valore ornamentale.

Il corridoio: immagine tipica da convento. Il pavimento in seminato, le aperture elaborate agli angoli, le panche lo rivestono di una atmosfera dolce e pacata. A destra, dall’alto: la sala riunioni nell’altana; l’aula magna o sala capitolare. La pedana semicircolare trova un riscontro nella controsoffittatura: in basso il semicerchio delle poltroncine dal raffinato disegno, in alto la modanatura a spighe che si irraggiano dal centro.

Il giardino è stato totalmente risistemato, con i glicini cresciuti attorno ai chioschi ottocenteschi e i vialetti tra la aiuole ortogonali. La fontana, realizzata su disegno, sorge da uno specchio d’acqua circolare con i suoi bracci modellati in forma di getto idrico. Nella foto piccola, l’ingresso dal chiostro al convento. In particolare i soffitti degli spazi più significativi sono elaborati con modanature che ne alleggeriscono la presenza e che ricordano ora il barocco, ora motivi organici vegetali. Il cuore del complesso è la chiesa principale: spazio articolato in cui all’ambiente assembleare si accosta una cappella ove in una teca sono conservate le spoglie del Fondatore; sopra di questa è posto il Coro. Le finestre sono conformate come le aperture del corridoio verso il chiostro: tagliando obliquamente gli spigoli in alto, due bacchette disegnano una cuspide che si inserisce con grazia nella varietà di fregi che popolano l’ambiente.

Casa Generalizia delle Suore Maestre
di Santa Dorotea a Vicenza

Progetto architettonico:
Prof. Arch. 

Paolo Portoghesi
Collaborazione:

Arch. Antonio Posabella
Confessionali e panche:
Genuflex,

Maser (Treviso)

Le modanature del soffitto uniscono per linee oblique i punti di appoggio delle colonne, così tracciando una rete di linee di forza che definiscono un ovale centrale: questo, in forza del trompel’oeil che automaticamente si realizza, rievoca l’immagine della cupola. Trafori in legno e lavori in ferro battuto completano l’assieme, la cui forma generale è in gran parte definita dal pavimento, in cui l’alternarsi di marmo nero, bianco e rosso, offre un’immagine centrifuga che fa da corrispettivo al decoro del soffitto. Le finiture si uniscono al prezioso disegno del mobilio, e riducono la corporeità della materia opaca offrendo le superfici come luogo in cui si manifestano eventi e si rivelano ordinate tensioni, coerenti con le attività delle quali la Casa è ostello.

Nel silenzio della chiesa

L’altare ottocentesco resta addossato alla parete di fondo con le due colonne che inquadrano il crocifisso e il tabernacolo. Le cornici delle vicine porte, a cuspide, offrono una variazione segnica che insieme con le nervature del
soffitto riconducono a unitarietà tutto l’ambiente, mentre una mensa in marmo bianco, a “U” rovesciata, è sia solida nella sua marmorea presenza, sia trasparente.
Si pone in assoluta continuità con l’altare preesistente mentre diventa il nuovo centro di attenzione, poiché a esso riconducono gli eventi che hanno luogo nella chiesa.
Sulla destra dell’assemblea, il colonnato distingue lo spazio dedicato alla teca del Fondatore e, sopra questo, nel coro possono prendere posto altri partecipanti alle funzioni. Con soluzione inconsueta, data l’impossibilità di mantenere una vicinanza fisica con il presidente della celebrazione, è stato scelto di porre uno schermo che consente di seguire il rito attraverso le immagini, riprese da angolatura simile al punto visuale di chi sta sul coro stesso. In questo modo la vicinanza visiva aiuta a partecipare con la voce e con il canto.

La nuova cappella
Il profilo del soffitto, in sezione si presenta come una “esse” reclinata a spiovente, con andamento protettivo verso la piccola assemblea. Nell’ambiente bianco, risaltano il paliotto dorato dell’altare, il crocifisso centrale e soprattutto il nuovo tabernacolo variopinto in un’esplosione di colori che ne fanno una fiamma viva, un piccolo sole dotato di luce propria che risalta a conclusione della parete laterale più scura. È una cappella composta con delicati accenni, brevi tocchi, contenuta spazialità. Ma il tabernacolo vi rifulge con dimensioni e forza inconsuete.

La vista dall’alto: l’organizzazione cromatica della pavimentazione a rombi marmorei. I pilastri sulla destra sono posti in luogo delle lesene preesistenti.

 

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