Cappella di Cristo Risorto a Novaglie di Verona

Il senso del raccoglimento espresso in un insieme di vetrate, pareti, segni che compongono uno spazio di eterea levità. Il suo progetto si muove secondo la trama sottile del simbolo, con studiata attenzione alle proporzioni geometriche e una particolare sensibilità per la luce, dove un liquido scorrere di cromie delicate parla del silenzio e del raccoglimento.

Uno spazio “avvolto attorno a chi prega, raccolto, che vibri appena della luce radente sui muri” : così Andrea Loi, il progettista della cappella dedicata a Cristo Risorto, nella Casa di Spiritualità San Fidenzio, presso Novaglie di Verona, riassume il concetto di questa chiesa. In essa si percepisce il disegno di uno spazio “altro”, in cui regna un’atmosfera angelica, quasi di astrazione dalle fatiche del mondo, un luogo di pace e di silenzio. Sviluppo architettonico, cromie e
immagini delle vetrate contribuiscono con singolare sintesi al raggiungimento di questa alterità. Del resto la cappella nasce proprio in risposta alla necessità di dotare la Casa di Spiritualità di un luogo separato e usufruibile anche dall’esterno, quindi autonomo ma allo stesso tempo collegato.

La vetrata che sovrasta il presbiterio si riflette sulla parete dell’abside.

Separatezza e connessione sono state alla radice di questo progetto e sembrano quasi presentarsi come aspetti assoluti: non solo legati alla collocazione fisica della cappella nel contesto della esistente architettura della Casa di Spiritualità, ma come qualcosa che ha a che fare in senso più intimo e assoluto con lo spazio della preghiera, che è sempre e comunque contiguo alla vita di tutti i giorni, ma allo stesso tempo da questa differenziato, nel suo dispiegarsi verso altre dimensioni. Nella definizione architettonica dello spazio, concorrono due aspetti: le linee curve che, in particolare nella zona presbiteriale, dicono amplitudine e accoglienza, e lo slancio della copertura, grazie alle travi curvilinee in pendenza, incernierate a ventaglio sulla parete laterale. Il presbiterio è unitario, con altare, ambone e mensa che si pongono in continuità materica e formale, mentre nell’abside – con leggera grafia, quasi di filigrana – si staglia un’interpretazione del Crocifisso, ai limiti dell’astrazione.

Non c’è fonte battesimale, ma il suo segno, nella roccia
e nella vetrata che ricorda lo sgorgare dell’acqua.
Il presbiterio e, al suo lato, la custodia eucaristica:
una colonna imponente che regge una preziosa porta.

La vetrata che lo illumina dall’alto – come tutte altre vetrate opera di Albano Poli – anima il biancore delle superfici con cenni cromatici, azzurri e giallo-oro. In continuità col presbiterio, alla sua destra, è collocato il tabernacolo: grande colonna, pura, priva di ornamento, il cui disegno, spiega Loi,“è stato emozionante sotto il profilo numerologico (simbologia numerica e cromatica presa dall’Apocalisse): il diametro è sette decimetri, l’altezza sette volte il diametro…” e si staglia contro una vetrata che crea una cesura nel perimetro della cappella.

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