Ilona Nèmeth e Jirì Suruvka: la prima Slovacca, il secondo Ceco. Quest’anno rappresentano, riunita in un unico padiglione, una Cecoslovacchia ricostituita in piccolo, dopo la divisione seguita ai fatti del 1989. Una ricomposizione nel segno della cratività, non dell’ideologia, della libertà, non del regime Ecco la stanza dei ragazzi; e poi la cucina, il soggiorno, la camera da letto. Non è finta: è quella di Ilona Németh, artista versata nelle “installazioni” dal sapore postfemminista, postmoderno, venate da una pacata critica nella quale appare ormai sopita la rabbia dell’agone. “Al centro della mia ispirazione -spiega la Németh- sta la relazione tra pubblico e privato. Io, come le persone attorno a me, coltivo un interesse sempre maggiore per il mio ambiente, ed è per questo che propongo questa stilizzazione e presento la mia casa, il mio privato – è come una riproduzione, una traccia di me stessa, della nostra vita privata… Quelli che di solito determinano le linee di tendenza nell’arte contemporanea sono americani. Danno risposte semplici e domande semplici… Il pensiero europeo si fonda su una tradizione diversa…” Anche al costo di essere compresa solo dagli Slovacchi e dai Cechi, la Németh intende esprimere il nocciolo del suo pensiero. Il recupero orgoglioso del privato, la riscoperta delle piccole cose, segnano la riconquista della libertà dalle ideologie. Non si tratta soltanto di un’esposizione in una stanza. Per merito delle opere di Suruvka, il nostro appartamento si trasforma in un medium. La critica ai mass-media costituisce un importante complemento alla mia nuda intimità. Un pittore che si trova a suo agio nella creazione di immagini ibride al computer, Jirí Suruvka mira alla demistificazione dell’autorità costituita, così come del pensiero preconcetto. Nelle sue opere si ritrovano i modi della pop art, ma senza la smaccata tendenza commerciale che l’ha caratterizzata. Una pop art senza “moda”. E condita col gusto della denuncia esplicita, senza mezzi termini, a volta forse un po’ scontata, di certi “muralistas” latinoamericani. È qui che alla dimensione privata della “casa” si aggiunge quella “pubblica”, o, se vogliamo “politica”. L’installazione domestica può essere visitata, come farebbe un inquilino o un ospite: può anche essere osservata dall’alto. Ecco allora che della casa si ha un concetto, alla sua fruizione normale si aggiunge il problema: che c’è nella casa, e perché con essa dobbiamo confrontarci? “Cerco di comunicare con il metodo della libera parafrasi, delle metafore ambivalenti” spiega Suruvka. Vediamo allora che le immagini di stile vagamente “pop”, non sono poi così rassicuranti. “L’urlo” di Munch diventa un fantoccio hollywoodiano, stilizzato, privo di emozione vera, spaventato da un cagnolino. Le zucche volanti digrignano denti in espressioni che variano dal feroce allo stupido, al malvagio… Finita l’ideologia opprimente, nel privato si riscopre una più tranquilla verità, ma anche il dramma dell’ambiguità dell’umano: forse accettabile, quando si sta mollemente sdraiati sul divano…
|