Editoriale – Contesto e modernità

Ricordiamo quanto l’Architetto Gjlla Giani nell’introduzione dell’edizione scorsa sottolineava: “Bisogna riconoscere che l’architetto Giovanni Marucci ormai da tanti anni riesce con qualità professionale e capacità organizzativa a mantenere vivacissimo l’incontro “Architettura e Città “che trova Docenti Universitari, studenti, architetti, Consiglieri e Presidenti degli Ordini Provinciali […]”
“La professione dell’architetto sia nel campo dell’urbanistica, che nella progettazione architettonica, che nell’architettura dei giardini, del restauro e della conservazione esige un grande senso di responsabilità e di amore verso le generazioni future…”…

In questa nuova edizione rinnoviamo un manifesto elogio a Giovanni Marucci perché ne riconosciamo i meriti e ci sentiamo di condividerne le sue meritorie iniziative perché hanno obiettivi che nella ricerca della qualità dell’architettura presentano valori che premiano la convivenza, la pace e il rispetto alle nostre tradizioni.

Come ha sottolineato Massimo Gallione, Presidente del Consiglio Nazionale Architetti (CNAPPC), nella sua introduzione al Trattato di Architettura del Filarete che recentemente abbiamo editato e riproposto in occasione dell’incontro a Milano di tutti i Presidenti degli Ordini degli Architetti Italiani: Averlino, detto il Filarete (Firenze 1400 – Roma 1469), teorico nonché progettista rinascimentale, considera il Committente come “padre” dell’edificio, mentre l’Architetto è assimilato alla “madre”.

La metafora classicheggiante e certo non lontana dalla nostra sensibilità attuale, immagina l’edificio come un organismo vivente che viene generato grazie a un incontro fecondo tra Committente e Progettista, questa metafora ci dà da pensare: la troviamo non solo proficua, ma anche profondamente vera.
Non solo, nel farla nostra – da sempre siamo convinti che il dialogo a tutto campo sia alla base di ogni progetto ben riuscito – desideriamo portarla un passo più avanti.

Il Filarete coniò l’immagine in un’epoca in cui parlare di architettura equivaleva a parlare di nuove opere: ma già proponeva il concetto di conservazione e restauro.

L’architetto infatti è chiamato a migliorare l’esistente.
Nell’opera del Filarete c’è un chiaro intento che oggi potremmo definire “ecologico”, ma che è più semplicemente esteticamente fondato: sia nelle realizzazioni progettuali, sia nell’elaborazione teorica. Tale approccio estetico ed etico assieme deriva dall’attenzione che rivolge al rapporto tra spazio costruito ed essere umano e, contestualmente, al rapporto tra spazio costruito e assetto naturale.
La bellezza, da questo punto di vista, è intesa non come frutto della mera creatività, bensì come espressione di una coerenza già insita nell’esistente che va mantenuta pur nelle trasformazioni apportate.
Nel tratteggiare la sua “città ideale” Filarete la intende non come contrapposizione all’assetto geologico e naturale del territorio, bensì come un suo completamento: come un’aggiunta armonica che rende abitabile la natura.
Oggi, e tanto più in un territorio densamente costruito come quello italiano, dove si trovano, diffuse per ogni dove, altissime testimonianze delle epoche passate, si richiede un sovrappiù di attenzione e di qualità professionale, per conservare quanto di meglio abbiamo e per migliorare, riproporre e rivivere la ricchezza che le generazioni di ieri ci hanno lasciato.

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