Arch. Giacomo Beverati

Nel secondo numero di MASTER vengono presentati i primi tre progetti segnalati dalla commissione giudicatrice del laboratorio progettuale tenuto dal prof. arch. Giuseppe Mongelli, durante la prima annualità del MASTER post-laurea organizzato congiuntamente dall’Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana e la Facoltà di Architettura di “Valle Giulia” de “La Sapienza” di Roma. Per l’esercitazione pratica si diede agli iscritti l’opzione di poter scegliere un’area fra cinque diverse proposte. Esse vennero selezionate dagli organizzatori di concerto con l’Ufficio Tecnico del Vicariato di Roma, tra quelle sulle quali saranno realizzati i nuovi centri parrocchiali del programma di edilizia per il culto dell’Opera Romana per la Preservazione della Fede e la Provvista di Nuove Chiese. Aree per lo più di risulta e dislocate in estrema periferia, o in zone di urbanizzazione consolidata, ma ancora prive di un centro parrocchiale. In particolare si scelsero i siti per le costruende chiese di S. Patrizio al Colle della Mintuccia in zona Prenestina e S. Cirillo a Tor Sapienza, che compaiono in questa prima selezione di progetti ad opera dei colleghi Beverati, Cornacchia, Lilli; quindi S. Massimiliano Kolbe in via della Magliana, S. Maria delle Grazie in via di Casal Boccone (zona Bufalotta) e un’area nei pressi di Prato Fiorito, ancora in zona Prenestina. Le zone per le quali sono pensati i tre progetti che presentiamo sono vicine, ma tuttavia diverse. La prima, sul crinale di un altopiano, ai margini dell’edificato in zona “O”, prospetta sull’Agro ed affaccia sui resti di una cava di pozzolana, oggi trasformata in discarica. Più centrale l’altra in zona “167”, in prossimità quindi di interventi per edilizia residenziale di tipo convenzionato, ad alta densità abitativa.

Architetto Maria Cornacchia – La Regola del Doppio

Compatibilmente con le opzioni previste dal Laboratorio di progettazione, che offriva ai colleghi impegnati nel MASTER ben 4 diverse ubicazioni per il centro parrocchiale, e diversamente dai progetti fin qui mostrati, che si pongono in una periferia non ancora strutturata, all’interno di un lotto al margine del costruito, il progetto dell’architetto Maria Cornacchia occupa un’area a ridosso di un intervento «ex-167», in un’area urbana densamente abitata, caratterizzata da un’edilizia ben progettata e da una tettonica particolare che dispone l’abitato ad una quota più elevata del realizzando complesso parrocchiale, sito, questo, a ridosso di un capannone ed in prossimità di un piccolo giardino di quartiere. Un progetto assai ideologizzato, che sviluppa il tema del recinto e, conseguentemente, delle proporzioni e della duplicità, relegando la liturgia a servizio dell’architettura, in un connubio al passo di certa moda di stampo inglese – ad esempio, Chipperfield – o svizzero – ad esempio, Herzog & De Meuron – che privilegiano un minimalismo «di facciata», il quale più che svelare, nasconde. Alla scala dell’intero complesso, un recinto squarciato mediante un viale dà luogo a due piazze: quella antistante i servizi parrocchiali e quella costituente il sagrato, che si gioca nella contrapposizione fra la porta ed il campanile, creando un disassamento, un «delirare» che pure non produce visioni, in un sistema di rimandi dove vige la regola che «tutto è», perché altro da qualcosa. Ed a fissare le proporzioni, ovunque ridonda il quadrato e la semplice «tabellina del due».

Vista Complessiva
Aula Liturgica
Pianta

Il volume della chiesa è caratterizzato dall’essere composto da due involucri – quello esterno realizzato in travertino e vetro e quello interno in legno a lamelle – che si configurano come due ulteriori recinti che delimitano lo spazio per il culto. Due percorsi assiali – est-ovest, nord-sud – coincidono con i due poli liturgici principali. «L’impianto liturgico è caratterizzato da due direzioni: una principale che è orientata verso est e porta all’altare, un’altra, ortogonale alla prima che direziona ‘la parola’ verso il centro della chiesa. Nella loro disposizione i fedeli rispettano questa doppia direzionalità» (dalla Relazione di progetto dell’Autore). «L’ingresso alla chiesa avviene attraverso un taglio, un vuoto che introduce e prepara alla spazialità della chiesa. Questo taglio si estende anche in copertura segnando con la proiezione della luce dall’alto il percorso liturgico che si conclude al centro della chiesa. Un’altra apertura proietta luce solo sull’altare rendendo così la sua presenza e importanza» (ibidem). Unica eccezione alla regola, «il fonte battesimale è posto in un volume sospeso sullo specchio d’acqua (esterno n. d r.) visibile dall’interno della chiesa grazie ad una lastra di vetro che garantisce la trasparenza del pavimento del luogo del battesimo» (ibidem). L’assoluta estraneità al contesto è fatta salva dalla coincidenza del nome – viale De Chirico – che rimanda immediatamente ad una «metafisica», qui però in versione autunnale. Il cielo rosso, la scomparsa della chiesa «sub specie hominis », lasciano infatti un segno di inquietudine, ulteriormente corroborato da un senso di presenza-assenza che ci lascia perplessi, pur se di fronte ad un’esercitazione per così dire ineccepibile dal punto di vista dell’architettura.

Arch. Stefano Mavilio

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