Alla ricerca dell’indipendenza

Più di tremila chiese sorgono nel piccolo territorio della Slovenia, a testimonianza di una tradizione di fede ininterrotta. Molteplici sono i problemi che si presentano per l’architettura delle chiese dopo la democratizzazione politica. Presentiamo gli estratti degli scritti di due studiosi sloveni che fanno il punto sull’architettura sacra del loro Paese.

Alla ricerca dell’indipendenza
Quando nel 1996 papa Giovanni Paolo II visitò per la prima volta la Slovenia, si accorse immediatamente che il nostro paese è consacrato da numerose chiese, cappelle ed edicole, le quali ancora oggi stanno a testimoniare che in questi luoghi vive un popolo con delle forti radici cristiane. A causa di questa particolarità, sapendo poi che all’interno di un’area abbastanza piccola sono presenti circa tremila chiese, a più di una zona della Slovenia si potrebbe affibbiare il nome di “regione sacra”. Per la maggior parte si tratta di chiese costruite negli stili storici, partendo dal gotico, passando per il barocco ed arrivando fino agli stili pseudostorici del XIX e XX secolo. Di questo tipo nelle città e nei paesi troviamo le chiese vescovili, le diocesane, le sedi secondarie e le chiese dei monasteri. Sul territorio, lungo le strade ed agli incroci, in mezzo ai campi ed ai boschi, ai bordi dei paesi e nelle piazze, nelle spianate ed in collina (vedi M. Zadnikar, Znamenja, 1970), è disseminata, oltre ad esse, una miriade di cappelle ed edicole. Tutti questi testimoni dei tempi passati, muti ma allo stesso tempo assai eloquenti, fanno parte della nostra identità popolare e culturale, sono le fondamenta, che definiscono anche il presente. Nonostante molte di queste costruzioni sacrali non abbiano un particolare valore artistico, la loro presenza nei punti chiave crea comunque un’eccezionale immagine regional – culturale del nostro paese (vedi P. Fister, 1986). Dopo la I guerra mondiale, all’interno dell’architettura slovena si inserì con le proprie opere l’architetto Plecnik. Oltre ad edificare numerose opere nel campo ecclesiale, Plecnik “formò” nella propria scuola vari architetti, che ancora nel periodo del “solo modernismo accettabile” preservarono la qualità delle creazioni architettoniche. Questa qualità è il riflesso della profonda conoscenza del patrimonio architettonico dei periodi precedenti. A causa dei suoi grandissimi risultati nell’ambito dell’arte sacra slovena, con i quali ha posto degli alti parametri, ma soprattutto per l’influsso che ha avuto su generazioni di architetti, che hanno iniziato a procreare architettura ecclesiale dopo il Concilio Vaticano secondo, nella presente disquisizione non si può non parlare di Plecnik e della sua scuola.
Plecnik e la sua scuola
Joze Plecnik è considerato il maggiore architetto sloveno. Nato a Lubiana nel 1872, studiò da falegname, continuò gli studi a Graz e finì presso l’architetto O.Wagner a Vienna. Durante il primo decennio del secolo scorso progettò già la sua prima chiesa, quella del S. Spirito a Vienna. Poi si trasferì a Praga per dieci anni, dove insegnò alla scuola d’arte ed artigianato. Dopo la prima guerra mondiale, all’età di circa 50 anni, fece ritorno a Lubiana ed accettò la nomina a professore di composizione architettonica presso la allora Facoltà tecnica dell’università di Lubiana. Esistono numerose pubblicazioni che si occupano della sua opera artistica. Il periodo della ricostruzione moderna e del dopoguerra del paese lo rifiutò completamente. Solamente la mostra delle sue opere, che si tenne a Parigi agli inizi degli anni Ottanta, gli ridiede nuovamente l’importanza, che ancora oggi detiene. Fino a quando la sua architettura non fu capita completamente, egli veniva considerato un eclettico o un classicista, il che secondo i parametri del modernismo non poteva essere accettato. In realtà uno dei punti di partenza del suo approccio era l’architettura antica (e classica), nella quale trovava una continua ispirazione. Nonostante egli abbia conservato i principi compositivi, con la sua creatività le singole forme ed i singoli elementi subirono una forte metamorfosi. Utilizzando il linguaggio classico creò la sua “architectura perennis”. A Lubiana il cimitero di Zale rappresenta un vero compendio di costruzioni che esprimono la forza creativa del loro autore. Nei giorni nostri è incomprensibile la sua maestria nel conoscere i materiali e la tecnologia della loro lavorazione. Lavorando con numerosi artigiani ed insegnando alla scuola d’arte ed artigianato di Praga perfezionò la propria formazione da falegname. Al suo ritorno in Slovenia seguì la messa in opera di numerosi suoi progetti ed in questo modo “formò” numerosi maestri, soprattutto muratori, scalpellini, falegnami e cinturai. La tradizione dell’ottima realizzazione artigianale è ancora oggi viva in Slovenia, in gran parte per merito di Plecnik. Celebre è la sua frase, che “per Iddio niente non è mai abbastanza buono”. A dimostrazione del suo elevato livello etico. Per Plecnik possiamo dire che fu un vero sacerdote dell’architettura. Dalle sue biografie e dal suo epistolario si evince quanto si dedicava ad ogni progetto. In una circostanza, quando delle persone si stavano meravigliando di uno dei suoi calici, Plecnik disse:“Così prega un architetto”.

Chiesa di S. Michele a Barje,
arch. J. Plecnik, 1937-38
Chiesa di S. Lorenzo a Kokrica,
arch.T. Bitenc, 1975-76
Arco di trionfo a Ljubljana,
arch. J. Plecnik, 1938-40

Dopo il Concilio Vaticano secondo
I fattori che influenzano l’arte sacra contemporanea in Slovenia sono diversi. Cercheremo di considerare alcuni di questi. L’ubicazione, che rappresentava nel passato una componente importante, determinando la scelta, l’esclusività, l’eccezionalità della chiesa come edificio sacro, ha perso il suo valore nella società contemporanea e secolarizzata. Se nel periodo totalitario che andava fino al 1990 era difficile trovare un posto adatto per una nuova chiesa, è nella Slovenia democratica ancor più difficile. L’ostilità generalizzata nei confronti della Chiesa come istituzione si manifesta con l’avversione per le sue necessità di costruire ambienti di cul
to. Benché la Chiesa non occupa più quella posizione nella società che le era propria in passato, i suoi edifici hanno sempre avuto in Slovenia una grande importanza nello spazio, che contrassegnavano in modo particolare con la loro presenza. È quindi difficile capire che per un nuovo edificio sacro venga assegnato a volte anche dopo 10 anni un appezzamento di terreno marginale. Il piano per ogni tipo di costruzione è preparato dal committente oppure viene assunto per questo scopo un esperto. Quando, trent’anni fa, si incominciarono a costruire delle nuove chiese, non erano preparati in materia né i committenti né gli architetti. Perfino al giorno d’oggi accade solo di rado che l’architetto incominci il proprio lavoro sulla base di un piano ben delineato.
Per quanto riguarda i contenuti, le nuove costruzioni della Chiesa in Slovenia sono diverse. Le prime tra le nuove chiese erano state ideate come classici luoghi di culto, la casa parrocchiale con gli ambienti destinati al catechismo si trovava in un edificio particolare. Negli anni 70 incominciammo a costruire dei centri parrocchiali, dove l’intero piano si trova “sotto un unico tetto”, come era d’uso già da diverso tempo nell’Occidente. Nel primo periodo era evidente la tendenza verso ambienti polifunzionali, dove si svolgevano messe, conferenze e rappresentazioni varie. Attualmente vengono utilizzati per attività paraliturgiche degli ambienti particolari in modo che il luogo di culto conservi la propria funzione primaria. Per la maggior parte venivano costruite chiese parrocchiali nei nuovi quartieri sul bordo delle città più grandi, ma anche sedi distaccate, monasteri, cappelle e segnacoli lungo le strade. La scelta dell’architetto è divenuta un problema negli ultimi 10 anni. Precedentemente questi compiti venivano svolti da architetti che si erano formati presso Plecnik, o da una generazione più giovane che non aveva paura di lavorare per la Chiesa anche nei tempi difficili. L’architettura sacra, che rappresentava il tema centrale in tutti i periodi storici, con l’avvento della democrazia divenne interessante per un’ampia cerchia di architetti, anche per quelli che ancora 15 anni fa dubitavano della moralità di un architetto che progetta un edificio per la Chiesa.A causa del crescente desiderio degli architetti di progettare entità sacre – molti ancora non hanno interesse per compiti minori – si sono create delle pressioni sulla Chiesa affinché organizzi concorsi pubblici. Benché questo sia l’approccio più democratico, si è dimostrato che la maggior parte dei partecipanti ai concorsi non conosce le esigenze specifiche del luogo sacro. Per questo motivo la Chiesa in Slovenia bandisce di regola concorsi interni ai quali convoca architetti con particolari referenze. In alcuni casi commissiona il lavoro anche direttamente ad un determinato architetto. Con una semplificazione si potrebbe dividere l’architettura sacra in Slovenia in due filoni, benché ci è noto, che in ogni opera artistica è più o meno presente un numero maggiore di influssi. Nel primo filone le chiese sono situate in un ambiente urbano ed hanno come comune idea di origine i modelli della moderna architettura mondiale, che vengono in alcuni casi copiati senza alcun senso critico. Anche in questo campo è presente la tendenza alla globalizzazione. Il luogo sacro non è più legato ad uno spazio concreto, ad una cultura e ad un determinata religione,ma secondo quest’idea diventa universale, destinato piuttosto alla meditazione o al ritrovo che alla celebrazione dei “misteri eucaristici”. Al secondo filone appartengono le chiese delle zone rurali o al limite tra lo spazio rurale e quello urbano le cui idee d’origine derivano dalla conservazione dell’identità di questo ambiente. La loro espressione plastico-spaziale tende ad accordarsi con la natura e le costruzioni dell’ambiente circostante, dove cerca delle soluzioni specifiche. L’eterogeneità della Slovenia ed il desiderio di poter conservare le caratteristiche delle singole regioni rendono comprensibile questo approccio, che è in particolar modo giustificato nei posti in cui troviamo ancora conservato il lascito della natura o della storia (ad es. la cappella sotto il Tricorno).
Prof. dr. Joze Marinko, Facoltà di Architettura dell’Università di Ljubljana

Chiesa dell’Incarnazione, Dravlje, Ljubljana,
arch. M Music, ’83-’85.
Madonna del Rosario a Portorose,
arch. I. Bregant, J. Marinko, M. Sorn,
S. Keiser, 1982-84
Madonna delle Nevi sulla Kredarica sotto il Tricorno,
arch J. Marinko, 1992

Appunti sugli esiti teorici dell’architettura sacra slovena
Situazione all’indomani delle trasformazioni democratiche ai primi degli anni novanta Con le trasformazioni democratiche, gli anni novanta comportarono anche maggiori possibilità di eliminare gradualmente gli ostacoli ideologici che paralizzavano, e in certa misura tuttora paralizzano, un costruttivo lavoro professionale e di ricerca nel settore dell’architettura sacra. Così già nel 1990 il committente della nuova chiesa di Stozice poteva menar vanto (!) del fatto che al concorso per la chiesa avevano partecipato architetti ormai affermati che però non avevano fino allora operato nel settore (cfr. Marinko 1990, 30). Nel 1992 venne aperta a Maribor la galleria “Ars sacra” col preciso scopo di creare un ambiente che aiutasse gli artefici d’arte sacra ad affermare la loro opera e a confrontarsi con la restante produzione artistica. Già l’anno seguente la Galleria organizzava un convegno sul tema “Il ruolo dell’arte nello spazio liturgico”. Grazie a simposi analoghi (1994 – La contemporanea architettura sacra in Slovenia, 1995 – Problemi dell’architettura sacra in Slovenia, 1996 – Il sacro in architettura) e a singole conferenze sul tema, tali sviluppi possono definirsi come ripresa dell’attività di ricerca nel campo dell’architettura sacra ovvero dell’arte sacra in genere. Mutamenti si verificarono nella Facoltà stessa quando nel programma di studio fu inserita la materia facoltativa dell’ “Arredamento dei vani di culto” (1996) e nei corsi postlaurea, sempre come materia facoltativa, l’ “architettura sacra”.
In tal modo furono assicurate anche a livello istituzionale le condizioni per un’approfondita ricerca applicativa, indispensabile presupp
osto a un’attività di buon livello nel settore. Il risultato oltre che la prova concreta di un meno prevenuto rapporto della società civile nei confronti della produzione nel campo dell’architettura sacra, che ha nell’Università uno dei sostegni più importanti, fu la prima tesi di dottorato incentrata sui problemi del riassetto e della costruzione degli edifici di culto in Slovenia nonché il convegno internazionale tenutosi a Tinje sul tema dell’Architettura sacra in Slovenia – oggi che ebbe come coorganizzatrice la Facoltà lubianese.
Come ultimo dei successi nell’impegno a creare in Slovenia, anche a livello teorico, un ambiente in cui l’attenzione tecnico-applicativa e di ricerca sia incentrata nell’edificio di culto va rilevata la creazione di un Istituto di architettura sacra, privato, sorto come logica conseguenza dei pluriennali sforzi, sia in sede teorica che pratica, mirati al miglioramento della qualità nella gestione degli edifici di culto sloveni. Lo status di ente privato del nostro istituto è legittimato da due fondamentali punti di partenza sulla scorta dei quali sono state impostate anche le direttive programmatiche della sua attività. Il primo punto è l’intenzione di sgravare finanziariamente la Chiesa slovena che, se dovesse fondare in proprio un ente del genere, causerebbe ulteriori gravami sulla propria situazione finanziaria; pertanto la creazione del nostro istituto è da intendersi anzi tutto come libera proposta e non come creazione di una struttura parallela e avversa alla Chiesa. Come secondo potrebbe definirsi l’intenzione, che anche l’appena iniziato Sinodo sloveno ha messo tra i suoi principali obiettivi, di instaurare un dialogo costruttivo tra Chiesa e società civile. Nelle odierne condizioni politicamente e ideologicamente arroventate tale status, proprio per la sua autonomia e apertura a una costruttivamente indirizzata diversità, permette di creare un ambiente in cui è possibile coltivare valori quali il dialogo, la professionalità, l’obiettività e l’integrità. L’Istituto di architettura sacra si colloca nel punto in cui vengono a contatto le strutture organizzative della Chiesa e dello Stato.
Dr. Arch. Leon Debevec Facoltà di Architettura dell’Università di Ljubljana

 

Condividi

Utilizziamo i cookie per offrirti la migliore esperienza sul nostro sito web.
Puoi scoprire di più su quali cookie stiamo utilizzando o come disattivarli nella pagine(cookie)(technical cookies) (statistics cookies)(profiling cookies)