Alberto Sposito


Il paesaggio urbano è stato segnato da fenomeni complessi, legati all’antropizzazione che in vari millenni ha trasformato il territorio e, recentemente e sempre di più, alla globalizzazione. In altri termini, in un continuo divenire, il paesaggio urbano si forma, si colora, si trasforma, talvolta in modo singolare e imprevedibile, talaltra in modo plurale
e incontrollabile. Questo mio contributo, dopo un rapido excursus storico, vuole indagare sulle trasformazioni urbane, presentando alcune considerazioni antropologiche che a mio avviso sono utili alla ricerca e alla qualità dell’architettura.

Città antiche
Sul Monte Olimpo era la dimora degli déi. La loro città era così organizzata: al centro era la casa di Zeus, dove il padre degli déi amministrava la giustizia divina, dove si banchettava, si cantava e si danzava; a fianco erano le dimore degli altri déi. Così ci fa intendere Omero, quando parla nei suoi Poemi della città degli uomini, costruita secondo il modello olimpico. Ma se la dimora degli déi, così come ci viene tramandata dal mito, è monocentrica, anche la città degli
uomini, quella storicamente determinata, è monocentrica.
Tra quelle greche, Mileto è per antonomasia la città più famosa. Aristotele ricorda che Ippodamo da Mileto immaginò una città di diecimila abitanti, divisa in tre classi, l’una composta di artigiani, l’altra di agricoltori, la terza di guerrieri; il territorio sarebbe dovuto esser diviso ugualmente in tre parti, una consacrata agli dèi, una pubblica e una riservata alle proprietà individuali; il filosofo parla di lui come dell’inventore della ‘divisione regolare della città’.1 Ad Ippodamo sono attribuiti la nuova sistemazione del Pireo, e forse i piani di Mileto e di Rodi.
Il perimetro della città non segue una figura regolare, e i lotti finiscono irregolarmente vicino agli ostacoli naturali come i monti e le coste.
‘La sostanza della griglia, fissata dalle esigenze delle case, non da quelle eccezionali dei templi e dei palazzi, conferma – per il Benevolo – l’unità dell’organismo urbano e l’uguaglianza di tutte le aree e le proprietà private di fronte alla regola comune, imposta dal potere pubblico.
L’elasticità del rapporto fra i lati dei lotti rettangolari permette che ogni città sia diversa dalle altre, non vincolata ad un modello unico. La complicazione del perimetro e il distacco delle mura dagli isolati rispettano l’equilibrio fra la natura e l’opera dell’uomo, e diminuiscono, nella grande scala, il contrasto fra la città e il paesaggio’.2
In Sicilia tra le città è Megara Iblea: fondata nella seconda metà del sec. VIII a.C. da coloni megaresi, la città sorse su una bassa terrazza in prossimità del mare, nell’attuale golfo di Augusta. Grazie agli scavi della Missione Archeologica della Scuola Francese di Roma, Megara Iblea è oggi senza dubbio uno dei rari esempi di città greco-arcaica.
Fu impiantata su una terrazza costiera a circa dieci metri sul livello del mare, distinta nella parte occidentale in due plateaux (uno a nord e uno a sud); essa così veniva a trovarsi ai margini della piana, che si estende ad est dei Monti Iblei, in uno spazio non eccessivamente grande, limitato a nord dal territorio di Leontini e a sud da quello di Siracusa. L’impianto urbano si organizza secondo alcune direttrici fondamentali: due platéiai est-ovest ed una nord-sud si distinguono nettamente dalle altre per la loro maggiore larghezza, che varia tra m 5,30 e m 5,80. Gli isolati ad ovest di questa strada sono orientati in modo differente da quelli ad est; la rotazione è di ventuno gradi e, nel punto di convergenza, si trova l’ agorà della città.
Ancora in Sicilia è Morgantina. In base agli scavi archeologici sappiamo che Morgantina possedeva una delle piante ortogonali della Sicilia interna e che, al momento di maggiore splendore nel sec. III a.C., la città fu uno dei più grandi centri interni della Sicilia. A Morgantina sono individuabili due aree distinte, che corrispondono alle due fasi principali della storia della città. L’insediamento più antico, sul cocuzzolo denominato la Cittadella, ha le sue origini nella tarda età
del bronzo e sopravvive per circa cinquecento anni. Gli scavi sul pianoro di Serra Orlando hanno portato alla luce edifici e materiale archeologico databile allo stesso periodo, in quantità sufficiente per indicare che la seconda città di Morgantina, sul sito nuovo, è stata fondata nello stesso periodo dell’abbandono della Cittadella, verso la metà del sec. V a.C. La nuova città occupa un lungo e stretto pianoro ondulato, ben difeso da pendenze ripide. Nel sec. IV a.C. tutto il pianoro fu circondato da una cinta muraria; alla città si accedeva da quattro porte principali. Lo sviluppo della città entro le mura fu condizionato sempre dalla pianta ortogonale, come le sue insulae rettangolari, destinate alle case private, e con le sue strade che s’incrociano ad angolo retto. Le due strade principali in senso est-ovest sono nominate platéia(o viale) Ae platéia B, mentre le strade più strette, perpendicolari a queste, sono numerate da 1 a 15 ad ovest dell’agorà, e da 1 a circa 10 ad est. Una vasta zona, corrispondente a sei insulae, fu lasciata vuota per l’agorà che si trova ora nel cuore della zona archeologica. 3
In tutte queste città, in tutte le città greche, l’ agoràcostituisce il centro della città; essa è tópose nómos : tóposin quanto luogo pubblico, punto di riferimento collettivo, parte di un tutto e spazio privilegiato; nómosin quanto principio generatore e direttivo, regola generale, uso e consuetudine per tutti i cittadini, prescrizione o modello di riferimento,
precetto, casa di Zeus, tant’è che questi è nume tutelare dell’agorà.
4 Nella città greca non c’era una periferia, così come noi la concepiamo.
Per esempio a Morgantina, ad oggi, non è stata trovata nessuna costruzione al margine, decentrata, che può raffigurare una casa
di periferia; anzi a distanza dell’agorà troviamo la Casa del Magistratodi periodo romano-repubblicano, estesa ben mq 800 e che, a detta degli archeologi, forse aveva due piani; tale domusoccupa un margine
del centro urbano, a ridosso delle mura meridionali.5
Il mondo romano raccoglie l’eredità greca con la centralità del Forum, ma la complessità sociale, politica, economica e culturale determina un centro molto articolato, che rimane anche nella città medioevale: murata, il suo centrismo articola la forma urbana in tre unità, quella civile con il palazzo della Signoria, quella religiosa con la cattedrale e quella commerciale con il mercato; ma rimane sempre la caratteristica spaziale della centralità ad improntare la vita sociale, la
località, i rapporti di vicinato tra i cittadini. L’esempio più tipico di policentrismolo troviamo a Gardhaja, in Algeria: attorno ad un’oasi, ricca di flora ed acqua, cinque città murate, da oltre un millennio, vivono autonomamente su cinque colline; ciascuna città al tramonto del sole chiude le porte urbane. Sulla sesta collina è lo spazio comune, quasi la casa di Zeus, dove si seppelliscono i morti, si amministra la giustizia e si ripartiscono le elemosine. Esemplari sia le località che tutto il
contesto, ma questo è il prodotto di una forma medioevale, che ancora mantiene gerarchie, rapporti, vicinati, attività.6

Città contemporanee
Negli anni Sessanta Kevin Lynch, docente di urbanistica al Massachusetts Institute of Technology, pubblica The Image
of the City ad Harvard nel 1960 e in Italia nel 1964, parla della città come forma, come immagine che l’urbanistica può rendere più viva e memorabile.
Sulla base di studi condotti su tre città americane (Boston, Jersey City e Los Angeles, di cui criticamente analizza la forma urbana), Lynch formula il criterio della figurabilità come base per la costruzione e la ricostruzione della città.7 In quel clima di crescita urbana, mentre l’utopia giapponese avanzava proposte metaboliche e macrostrutturali (si
ricordino le elaborazioni di Kenzo Tange per la Baia di Tokyo e per Boston), l’ipotesi di Lynch mira a creare un ordine nel disordine, a conferire un ordine formale alla crescita metropolitana, a conferire alla città una forma visiva, a creare un paesaggio urbano che ha anche il ruolo di essere visto, ricordato, goduto.8
Questa sua teoria nasce nel clima di quel disordine che la crescita incontrollata, dagli anni del secondo dopoguerra, ha segnato, compromettendo il territorio e la città, con lo scopo di riassettare il disordine spontaneo. Così anche per la sua teoria di distribuzione di un’energia inesauribile e dovunque disponibile, l’urbanista americano aveva ipotizzato una texitureterritoriale, determinata da reti d’energia e nodi in cui le città potevano insediarsi e svilupparsi. Ma la crisi energetica degli anni Settanta ha reso insignificante e secondario il criterio della figurabilità, come ha reso impossibile il principio della texitureterritoriale, causa l’esauribilità delle fonti energetiche. Con il nuovo Millennio, una nuova cultura dell’abitare ha seminato diversi germogli, che stanno trasformando il modo di stare nel nostro pianeta, una cultura
urbana prodotta, affinata, generata da vari contributi disciplinari, quali l’antropologia, la tecnologia, l’economia…

Monocentrismoo Policentrismo?
Città monocentrica o città policentrica? Un tale interrogativo considera la città nei suoi parametri dimensionali, scalari o spaziali; inoltre l’idea di un centro o di più centri in una stessa città comporta l’esistenza di una periferia o di più periferie, richiamando una, due, infinite località. Dobbiamo ricordare che, dopo la crisi energetica dei primi anni Settanta, la dimensione sociologica, che già aveva seguito la crescita urbana negli anni Sessanta, e più recentemente la dimensione antropologica, sembrano in grado di analizzare e di valutare i fenomeni urbani, regionali, nazionali ed oltre. Nel momento in cui la città contemporanea è soggetta a spinte centrifughe e tende ad assumere forme metropolitane, gli stati nazionali sono di fronte a forme specifiche di destabilizzazione transnazionale, anche a seguito di un incalzante
processo di globalizzazione; l’analisi antropologica può supportare notevolmente il progetto e la gestione del territorio.
In un suo recente libro Arjun Appadurai si chiede: ‘Che ruolo riveste la località negli schemi dei flussi culturali globali? L’antropologia ha ancora qualche specifico privilegio retorico in un mondo in cui la località sembra aver perduto i suoi ormeggi ontologici? Può continuare a sussistere la relazione reciprocamente costitutiva tra antropologia e località in un mondo radicalmente delocalizzato?’ E ancora: ‘Che cosa significa la località in un mondo in cui la localizzazione spaziale, l’interazione quotidiana e la scala di queste interazioni non sono sempre isomorfiche? Cosa sta succedendo alla produzione della località nel mondo contemporaneo?’.9

L’approccio antropologico
L’antropologo Appadurai, che insegna all’Università di Chicago, analizza la dimensione culturale e la complessità del processo di globalizzazione, che sta fortemente condizionando il modo in cui pensiamo alla nostra comunità: sempre più svincolata dai confini nazionali, a causa del duplice ed incontrollabile flusso planetario dell’informazione e dei poli migranti, la comunità, che aveva trovato nello spazio nazionale un nido sicuro, deve oggi inventarsi nuove forme e nuovi linguaggi.
Tre nuovi caratteri, tre forme nuove dell’antropologia, tre nuove proprietà fenomenologiche della vita sociale sono oggi rilevabili: la località, il vicinato, il contesto.
‘La località, nei suoi aspetti relazionali e contestuali, piuttosto che scalari o spaziali, è una complessa qualità o proprietà fenomenologia della vita sociale, costituita da una serie di legami tra la sensazione d’immediatezza sociale, le tecnologie dell’interattività e la relatività dei contesti’. Il vicinatosi riferisce invece ‘alle forme sociali effettivamente esistenti in cui una località, come dimensione o valore, si realizza in misura variabile’; in altri termini il vicinato è una comunità effettiva
‘caratterizzata dalla sua concretezza, spaziale o virtuale, e dal loro potenziale di riproduzione sociale’. Il cont
esto‘è ciò da cui, contro cui, nonostante cui e in relazione a cui un vicinato viene prodotto’. I vicinati ‘sono contesti e insieme richiedono e producono contesti’, sono contesti ‘nel senso che forniscono la cornice entro cui diverse forme di azione (produttiva, riproduttiva, interpretativa e performativa) possono avere inizio ed essere intraprese mantenendo un loro significato (…) Vista altrimenti, un vicinato è un contesto, o un gruppo di contesti, all’interno del quale si può generare e interpretare azione sociale dotata di significato. In questo senso i vicinati sono contesti, e i contesti sono vicinati: un vicinato è un sito interpretativo multiforme’.10

Costruire la località
Com’è stato per le città di periodo classico e oltre, la località può essere costruita. L’esempio più tipico è dato nella fondazione di una città, che implica ‘una fase di colonizzazione, un momento assieme storico e cronotipico in cui vi è l’esplicito riconoscimento che la produzione di un vicinato richiede una fase d’azione intenzionale, rischiosa e persino violenta nei confronti del suolo, delle foreste, degli animali e di altri esseri umani. Buona parte della violenza, associata ai rituali di fondazione è il riconoscimento della forza necessaria per sottrarre una località al potere di persone e luoghi fino allora incontrollabili’.11 In altri termini la produzione di un vicinato e la costruzione di una località sono attività intrinsecamente colonizzanti, in quanto implicano l’affermarsi di un potere organizzato su contesti caotici o disordinati.

Località temporanea
Soffermiamoci sui due termini di località e di vicinato. La località, secondo l’aspetto spaziale ed amministrativo, secondo la scala, presenta diversi livelli: edilizio, urbano, regionale, nazionale …; anche il vicinato presenta delle differenti caratteristiche, diversi gradi: contiguo, staccato, distante, irrilevante, inesistente. Inoltre localitàe vicinato, rispetto al tempo, alla durata, possono essere continui o permanenti, discontinui o momentanei, casuali, temporanei o duraturi.
Recentemente Max Gallo, scrittore e storico francese, guardando le piazze in festa e leggendo i giornali europei, ha commentato che i Mondiali di Calcio 2006 hanno risvegliato ‘le nazionalità, non come sentimento antieuropeo, ma come fattore principale dell’identità’. Il fatto è che il gioco del calcio è la forma più avanzata, più completa e più attuale delle attività sportive, in quanto esige lucidità, disciplina, costrizione, libertà, gioco individuale e di squadra. Quel sentimento
d’identità, dal punto di vista antropologico, nasce dall’occasione di una festa, una partita internazionale, da una voglia di ritrovarsi di molti cittadini di una nazione in un’altra nazione, voglia di localizzarsi, anche se temporaneamente, in uno stadio e di vivere, anche se per poche ore o per qualche giorno, un rapporto di vicinato.

Località globale e nazionale
I temi del nazionalismo e dello stato nazionale oggi costituiscono il nucleo problematico delle scienze sociali; lo dimostra il crescente interesse degli antropologi, manifestato in contributi sempre più numerosi. Produrre località nel mondo d’oggi è un compito sempre più arduo per tre differenti difficoltà: 1) per i tentativi sempre più frequenti, da parte del moderno stato nazionale, di definire tutti i vicinati secondo le sue regole (fedeltà, affiliazione …); 2) per la crescente sconnessione fra territorio, soggettività e movimenti sociali; 3) per l’indebolimento costante del rapporto fra vicinati spaziali e vicinati virtuali, dovuto principalmente alla forza della mediazione elettronica, di cui si parlerà in seguito.
Lo stato nazionale basa la sua legittimazione sull’intensità della sua presenza entro uno spazio continuo di territorio confinato e quindi funziona attraverso il controllo dei confini, la costruzione dei cittadini, la definizione delle città e delle acque, la costruzione dei luoghi della memoria … ‘Lo stato nazionale persegue attraverso i suoi domini il contraddittorio progetto di creare lo spazio piatto, uniforme ed omogeneo della nazionalità e di dar vita ad una serie di luoghi e spazi concepiti per costituire le distinzioni e le divisioni interne necessarie al rituale statale, alla sorveglianza, alla disciplina e alla mobilitazione, e per perpetuare la differenza tra chi governa e chi è governato, tra criminali e funzionari, tra folle e capi, tra attori e spettatori’. Dal punto di vista del moderno nazionalismo, i vicinati – secondo Appadurai – esistono
prima di tutto per riprodurre cittadini docili a livelli nazionale e autonomi a livello locale: ‘I vicinati in quanto formazioni sociali sono una fonte di insicurezza per lo stato nazionale, perché di solito contengono spazi in cui è possibile che le tecniche del processo nazionale non trovino modo di applicarsi o vengano direttamente contestate.
Allo stesso tempo però i vicinati sono la riserva cui attingere per la produzione di lavoratori e funzionari di partito, insegnanti e soldati, tecnici della televisione e agricoltori: i vicinati sono quindi indispensabili, anche se potenzialmente infidi’.12 Così i moderni stati nazionali sono minacciati dalle tipiche forme di circolazione di uomini nel mondo contemporaneo, sia per motivi tipici della vita sociale, come il lavoro, il turismo o gli scambi culturali, sia per eventi eccezionali, come la migrazione forzosa, la xenofobia, la pulizia etnica, la siccità, le carestie.

Località urbana
Ma cosa avviene ad una scala più piccola, a quella urbana? ‘Nelle condizioni di scontro etnico e guerra urbana che caratterizzano città come Belfast e Los Angeles, Ahmedabad e Sarajevo, Mogadiscio e Johannesburg, le zone urbane stanno diventando campi armati, controllati da forze implosiveche fanno risuonare nei vicinati le ripercussioni più drammatiche e violenti di processi regionali, nazionali e globali’. Evidentemente ‘ci sono molte differenze significative tra queste città (…) ma prese assieme configurano una nuova fase della storia delle città, in cui l’assembramento di gruppi etnici, la facile reperibilità di armamenti e le condizioni di sovraffollamento della vita civile creano futuristici scenari di guerra e in cui la generale desolazione del panorama nazionale e globale ha trasformato molte inimicizie razziali, religiose e linguistiche in uno scenario di continuo terrore urbano’.13 È però
da dire che l&#821
7;estrema ostilità presentata da tali assetti urbani è una delle ragioni di spinta dei cittadini verso località più tranquille, in cui possano mettere a frutto la loro intelligenza e le loro capacità creative.

Vicinati virtuali
I mass media, soprattutto quelli elettronici, giocano un ruolo determinante, creando una separazione tra vicinati spaziali e virtuali, disgiuntura che possiede potenzialità assieme, che in qualche modo, ma sempre di più, influenzerà la produzione della località: l’industria cinematografica, il cinema artistico, la televisione, le videocassette, le tecnologie per la produzione di video, i fax, la posta elettronica e tutte le altre forme di comunicazione telematica ‘hanno aperto nuove
possibilità per forme transnazionali di comunicazione che spesso eludono il controllo degli stati nazionali e delle grandi compagnie di produzione mediatica’. Ciascun settore interagisce con gli altri e così crea forti dipendenze tra le produzioni e il pubblico ed inedite connessioni fra le comunità locali con quelle nazionali, fra le comunità stanziali
e quelle diasporiche. Ne risulta che è praticamente impossibile avere un quadro strutturato dei molteplici mutamenti massmediatici che circondano la produzione dei vicinati; ma si possono comunque individuare nuove forme di comunità e di comunicazione che influenzano la capacità dei vicinati di essere produttori di contesto, e non solo condizionati dal contesto.
‘Queste forme originali di comunicazione elettronica stanno ora creando vicinati virtualinon più legati a territori, passaporti, tasse, elezioni, o altre forme convenzionali dell’appartenenza politica, ma dipendenti esclusivamente dall’accesso al software e all’ hardware necessari a collegarsi a queste vaste reti internazionali di computer.
Per ora, l’accesso a questi vicinati virtuali di tipo elettronico tende ad essere limitato agli intellettuali transnazionali, che possono costituire progetti sociali e politici sulla base delle tecnologie informatiche di cui dispongono nelle università, nei laboratori e nelle biblioteche’. È da osservare che tali vicinati virtualinon consentono un contatto faccia a faccia, non sono contigui spazialmente e non consentono quelle molteplici interazioni sociali che sono essenziali nell’idea di vicinato; ma è da dire che ‘questi vicinati virtuali sono in grado di mobilitare idee, opinioni, ricchezza e legami sociali che spesso rifluiscono direttamente nei vicinati reali in forma di flussi di denaro, di armi per i nazionalismi locali e di supporto per diverse posizioni politiche entro sfere pubbliche altamente localizzate’.14
In questa compresenza di vicinati spaziali e virtuali, emerge un nuovo e significativo elemento nella produzione della località: ‘il flusso globale d’immagini, notizie e opinioni fornisce oggi parte di quell’alfabetizzazione culturale e politica che gli individui diasporici innestano nei loro vicinati spaziali. In un certo senso, questi flussi globali si aggiungono al tremendo potere implosivo sotto cui si producono i vicinati spaziali’.

Fattori che producono località
Nel mondo attuale, i fattori che più direttamente influenzano la produzione della località, sono lo stato nazionale, i flussi diasporici, gli apparati elettronici e le comunità virtuali; tali fattori si articolano fra loro in forme variabili, scompaginate e spesso contraddittorie, dipendendo dagli ambienti culturali, storici, economici ed ecologici in cui s’incontrano. Pertanto, la località per Appadurai presenta una duplice fragilità: ‘Un tipo di fragilità deriva dal fatto che la riproduzione materiale di vicinati effettivi deve sempre battersi contro la corrosione del contesto, almeno nel senso che deve opporsi alla tendenza del mondo materiale a resistere ai progetti standardizzanti dell’azione umana.
Il secondo tipo di fragilità emerge quando i vicinati sono sottoposti alle spinte produttrici di contesto generate da organizzazioni gerarchiche più complesse, soprattutto quelle del moderno stato nazionale. Il rapporto tra questi due tipi di fragilità è in sé storico, dato che è l’interazione di lungo termine tra vicinati a creare queste complesse relazioni storiche, un processo che di solito descriviamo come formazione dello stato’.15

Conclusioni
Da qui e per quanto detto, città monocentrica e città policentrica, sono termini che considerano aspetti dimensionali, spaziali, scalari e strutturali, che non tengono conto della complessa fenomenologia della vita sociale. Così anche i termini di centro urbano e periferia urbana, limitano la questione ad aspetti formali ed esteriori, che non sono più rispondenti alla complessità rilevata da sociologi ed antropologi di nuova generazione. Innanzitutto non soltanto la periferia urbana può risultare degradata, ma anche il centro urbano; il degrado risulta là dove non esiste la località come dimensione e valore, non esiste il vicinato come comunità effettiva, che può generare azioni sociali dotate di significato. L’azione instancabile di Antonio Presti, artista e mecenate noto per la ‘Fiumara d’Arte’, nel quartiere dormitorio di San Berillo a Catania, progettato da Kenzo Tange negli anni Settanta, mira a coinvolgere i 100.000 abitanti in un progetto-bellezza, che possiede un grande potenziale di rigenerazione sociale, intende cioè creare località e vicinato, in un contesto considerato, periferico, caotico, disordinato, degradato, socialmente più che fisicamente.
Così anche i centri urbani, diversi loro quartieri, sono abbandonati dagli abitanti per i noti motivi, sono degradati ed abitati da persone, anche clandestine, che sono deterritorializzate, spaesate.16 Ma una considerazione ancora va fatta: mentre nella città antica località e vicinato erano grandezze reali, che coesistevano, essendo fortemente interrelate, nella città d’oggi, con il processo di globalizzazione e i mass-media le due grandezze tendono sempre più a dissociarsi; in altri termini ad una località non corrisponde più un vicinato, ma tanti e possibili vicinati virtuali. Pertanto localitàe vicinatisono divenuti fragili e variabili: la globalizzazione, i flussi diasporici, l’elettronica, le comunità virtuali hanno scompaginato i tradizionali ambienti culturali, economici ed ambientali. Oggi nuove forme di comunicazione determinano
nuove forme di comunità, slegate dal territorio e dipendenti dalle reti internazionali internet: la nuova città non è più né monocentrica, né policentrica. L
a nuova città
sarà globale.

1. Cfr. Aristotele, Politica, II, 1267b. Ma studi recenti hanno rilevato che in alcune città di Sicilia una tale divisione regolare era stata realizzata già dalla seconda metà del sec. VII a.C.
2. Cfr. Benevolo L., Storia della Città, Laterza, Roma – Bari 1975, p. 61.
3. Sulla città greca, cfr. Cultrera G., Architettura Ippodamea, Reale Acc. Naz. dei Lincei – Roma, 1964; Gabba E., G. Vallet, Storia della Sicilia antica, Ed. Storia di Napoli e della Sicilia – Napoli, 1970; Greco E., Toselli M., Storia dell’Urbanistica: il Mondo Greco, Ed. Laterza – Milano. 1983; Pace B., Arte e Civiltà della Sicilia Antica, Soc. Editrice Dante Alighieri – Milano, 1938; Roland M., Architettura Greca, Ed. Il Parnaso – Svizzera, 1967; L’Urbanisme dans la Gréce Antique – Parigi, 1974; La Grecia Ellenistica, Ed. Electa – Milano, 1971. In particolare sul sito di Morgantina, cfr. Sposito A. e AA.
VV., Morgantina, Architettura e Città ellenistiche, Alloro, Palermo 1995.
4. Cfr. Sposito A., Le Agorài ellenistiche di Morgantina e Solunto come spazio di connessione, in ‘Architettura Città’, Paesaggi d’Architettura mediterranea, nn. 7-8, Agorà Edizioni 2003, pp. 63-69.
5. Non così a Pompei, dove la periferia, con le case a schiera, documenta uno status sociale differente.
6. Cfr. Sposito A., Strutture e Processi: loro conflittualità in Algeria, in R. Palumbo e AA. VV., ‘Cronaca di un Corso Coordinato’, Multistampa, Roma 1974, pp. 117-138.
7. Cfr. Lynch K., L’immagine della Città, Marsilio Editori, Venezia 1964.
8. Cfr. Sposito A., Architettura ed Industria in Giappone, Morara, Roma 1975.
9. Cfr. Arjun Appadurai, Modernità in Polvere: Dimensioni Culturali della Globalizzazione, trad. di Piero Vereni, Meltemi ed., Roma 2001, pp. 231-232.
10. Cfr. Appadurai A., op. cit., pp. 231, 232 e 239.
11. Cfr. Appadurai A., op. cit., pp. 238-239.
12. Cfr. Appadurai A., op. cit., pp. 245, 248-249.
13. Cfr. Appadurai A., op. cit., pp. 250-251-252-253.
14. Cfr. Appadurai A., op. cit., pp. 252-253.
15. Cfr. Appadurai A., op. cit., pp. 255-257.
16. Le popolazioni in movimento, anche quelle clandestine, si ritrovano spaesate, deterritorializzate e sono impegnate nella costruzione della località, dovendo far fronte all’erosione, alla dispersione e all’implosione dei vicinati come formazioni sociali coerenti.
‘Questa disgiuntura tra vicinati (come formazioni sociali) e località (come proprietà della vita sociale) non è un evento privo di antecedenti storici (vedi migrazioni forzate e fughe per ragioni politiche). Ma quel che è nuovo è la disgiuntura tra questi processi e i discorsi e le pratiche veicolate dai mass media che circondano lo stato nazionale (sulla liberalizzazione economica, il multiculturalismo, i diritti umani, il diritto d’asilo). Questa disgiuntura, come ogni altra, ci spinge a guardare verso una prossima ricomposizione, e il compito di teorizzare la relazione tra queste disgiunture e le
ricomposizioni che possano dar conto della produzione globalizzata di differenza sembra oggi più urgente e difficile che mai’.

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