AL DI LÀ DELL’ARCHITETTURA, UNA ESPERIENZA SACRA con Paolo Portoghesi

CHIESAOGGI ISSN 1125-1360 N. 110/2019

CHIESAOGGI  ISSN 1125-1360 N. 110/2019
DOI: 10.13140/RG.2.2.22200.29441

ABETI Maurizio (IT)

INTERVISTA

Nel suo studio di Calcata Vecchia (VT), un paese che si eleva su di uno sperone tufaceo sulla valle del fiume Treja, con il suo bellissimo borgo medievale, in unarea serena, Paolo Portoghesi, architetto, accademico, storico e teorico dellarchitettura, mi racconta la sua esperienza nel quadro della problematica sempre più attuale dellarchitettura sacra come linguaggio e della interpretazione della figurazione come significante di comportamenti e istituzioni.
Un particolare interessante di questa intervista evidenzia che Paolo Portoghesi ha previsto questa crisi  di comunicazione e di significazione degli spazi e degli edifici sacri e detta anche delle soluzioni per uscire da questo conservatorismo, a tal punto che il contenuto della stessa intervista diventa un saggio sull
architettura sacra, e sono certo che sarà capace di creare nel lettore una recezione inconfondibile, che si fissa nel ricordo.

La riforma liturgica, dettata dal Concilio Vaticano II, presenta, nel campo architettonico, un rinnovamento interessante per gli aspetti simbolici e semantici degli edifici, offrendo elementi estremamente interessanti per la progettazione delle chiese, ma sembra che gli architetti non riescano a cogliere questi elementi di novità.

Sull’architettura post conciliare, su cui ho scritto spesso, non posso che essere abbastanza severo. Oggi ci troviamo di fronte ad una cruciale problematica: da una parte la Chiesa cattolica che non ha avuto il coraggio di dare, dopo le aperture del Concilio Vaticano II, delle indicazioni sul rinnovamento liturgico (cosa sbagliatissima) e quindi un contributo alla progettazione delle chiese, che è molto di più che un fatto di nuove rubriche. Daltronde non è con la mera accettazione di una libertà assoluta che si può ottenere qualche risultato. La libertà assoluta dellarchitetto, ed è proprio in un certo senso il difetto dellepoca in cui viviamo, rimanda, almeno per quanto riguarda le sue proprietà formali, a uno stile personale, autoreferenziale, che riflette nei suoi lavori un modo soggettivo di intendere larchitettura sacra, in definitiva larchitetto parla solo di se stesso e delle sue idee. Tutto questo linguaggio soggettivo viene legittimato dalla critica come “dichiarazione di poetica”. Laspetto simbolico dellarchitettura si limita alla sua dimensione poetica. La Chiesa dovrebbe fare di tutto per evitare che un fenomeno come quello delledilizia religiosa diventi argomento di brillanti esercitazioni o di banalizzazioni che rappresentano delle vere perdite ( Fig. 1 e Fig, 2), fenomeno legato a delle

Figura 1 e 2. Chiesa di San Pio di San Giovanni Rotondo (FG) di Renzo Piano, interno ed esterno.

ragioni profonde in quanto tutto il suo sistema simbolico risulta di fatto codificato dalla storia della chiesa, dalla patristica, dalla storia dellarchitettura e dellarte, si tratta di tornare a leggerlo e darci continuità storica, (e qui interviene l’insegnamento della storia perché da essa derivano la ricostruzione dell’evoluzione storica delle chiese passate e le indicazioni per gli architetti che si apprestano a progettare edifici futuri per il culto). La decodificazione del discorso storico dellarchitettura delle chiese, fatta attraverso lo studio di un sistema simbolico, consente di ricavare una serie di assunzioni estremamente stimolanti rispetto alle problematiche attuali dellarchitettura, aprendo prospettive di notevole interesse per la progettazione non solo dellistituzione chiesa.
Dallaltra parte ci troviamo di fronte ad una incoerenza: pur essendoci un ritrovato interesse per questo ritorno al linguaggio delledilizia sacra, confortato anche dagli impulsi della riforma conciliare, esso non trova riscontro nella pratica architettonica attuale. Il motivo fondamentale è dovuto al fatto che la progettazione delle chiese è realizzata da architetti che, pur essendo sensibili alla svolta linguistica dellarchitettonica, ma non avendo una sensibilità religiosa, una esperienza viva, concreta nel campo dellarchitettura cristiana, non riescono a comprendere la sua espressione simbolica e formale.
Secondo me sarebbe giusto che la Chiesa facesse o se mai tentasse, soprattutto dopo questa esperienza post conciliare, di fare critica e, soprattutto, autocritica. A questa mancata traduzione espressiva contribuisce un altro componente del sistema costruttivo: la committenza ecclesiale, l’intera comunità cristiana con i suoi eletti ai ministeri, la quale non riesce ad avere un dialogo con larchitetto, lartista, il teologo, il liturgista, questultimo, poi, già richiamato da Benedetto XVI alla fedeltà e all’esattezza nelle traduzioni liturgiche più che alla creatività, talvolta estemporanea, del liturgista in voga al momento.
La storia della architettura sacra ci insegna che dalla partecipazione attiva delle esperienze (da un lato quella simbolica-spirituale dei teologi e quella artistica-tecnica degli architetti, e dallaltro quella del popolo di Dio, come punto di partenza e di arrivo delledificio sacro in quanto la Chiesa è la comunità dei fedeli) si è pervenuti all’edificazione di opere architettoniche di grande ammirazione e di altissima espressione sacrale, ma quando questa compartecipazione si è resa difficile è stato evidente il segno di una crisi.
Sarebbe opportuno che la Chiesa si esprimesse, ma non si esprime, lascia che si faccia tutto il contrario di tutto. Purtroppo i risultati non sono eccellenti, opere di architettura sacra che non sono delle chiese che si mascherano da chiesa mettendoci un crocifisso o rimangono legati alla tradizionale progettazione dell’involucro rinviando continuamente ad altri una risposta progettuale al contenuto essenziale della chiesa.

Una esperienza viva, concreta di fede per rinnovare le chiese

Anche la progettazione delle chiese deve partire da questo spirito: non si può più fare una progettazione delle chiese che parta da studi a tavolino, da ricerche teoriche di specialisti e che poi venga applicata, più o meno forzatamente.
Tutto questo è destinato al fallimento, perché nega le promesse stesse della riforma conciliare: è quello a cui assistiamo, dopo alcuni rinnovamenti architettonici (la rotazione dellaltare “coram populo” …)  attuati, anche rarissimamente, sullo slancio delle riforme conciliari, ogni ulteriore rinnovamento si è arenato e ogni nuova proposta spaziale è ricaduta nella inerzia della ripetizione di schemi tradizionali cristallizzati. Oggi è ancora possibile constatare sistemi compositivi che presentano una distribuzione dellaula sacra sviluppata principalmente su un asse del sistema cartesiano (navata centrale), con la disposizione dei banchi «a battaglione», dove troviamo il sacerdote da una parte e i fedeli dallaltra e questi ultimi divisi in due squadre, composizione a mio parere sbagliata. Solo dove cè una decisa e profonda azione di rinnovamento dellesperienza di fede anche il rinnovamento liturgico riesce ad essere perseguito e attuato.

Figura 3. Chiesa di Dio Padre Misericordioso di Richard Meier a Tor Tre Teste (Roma).

Non come la chiesa di Dio Padre Misericordioso di Richard Meier a Tor Tre Teste (Roma), simbolo del Giubileo del 2000

(Fig. 3) Dal punto di vista liturgico è una chiesa tradizionale però non ha della chiesa tradizionale quegli elementi fondamentali come labside, la cupola… Secondo me è una chiesa conservatrice e nello stesso tempo esibizionistica.

Lei ha realizzato nel campo dell’architettura sacra sia chiese cattoliche che moschee, ci può illustrare l’introduzione metodologica per quanto riguarda il loro aspetto architettonico.

Inizio affermando che non è difficile per chi crede costruire una chiesa, una moschea, una sinagoga o se vogliamo un tempio buddista, perché cè qualcosa di nascosto, di misterioso che unisce tutti gli uomini e che diventa consapevole nel cristianesimo, ma che, in qualche modo, attraverso scintille, attraverso frammenti, entri anche nelle altre religioni: è lesperienza del sacro.
Credo che il “sacro” sia un aspetto dellumanità che esiste da sempre o comunque dai primordi dellumanità e che ha perso evidenza, ma non profondità, nel senso che tutti gli uomini respirano nella loro vita il “sacro”, spesso senza accorgersene. Esiste perciò un “luogo dello spirito” come ambiente, con particolari caratteristiche architettoniche di misticismo, di silenzio di ascensionalità o simili, in cui debba avvenire questo incontro tra luomo e Dio. Quando si discute di progettazione e ci si riferisce all’architettura del sacro, bisogna distinguere di quale concezione religiosa si intende parlare perché non tutte pongono i medesimi problemi. Un aspetto che la Chiesa non dovrebbe accettare è il fatto che fondamentalmente si affermi una iconoclastia reale allinterno di una tolleranza per qualche immagine, soprattutto per la croce intesa solo come elemento geometrico. La croce è il primario simbolo cristiano e commemora la crocifissione di Gesù, riconosciuto in tutto il mondo: è il simbolo dellAmore di Dio. Credo che un aspetto fondamentale del cristianesimo, che lo contraddistingue proprio dall’islam e dallebraismo, è quello di aver conosciuto Dio personalmente. Quindi bisogna tenere conto di questo fatto, che Dio è sceso sulla terra e ha assunto, sia pure provvisoriamente, ma sempre come elemento salvifico, la forma e le caratteristiche delluomo. Concezione opposta nella moschea in quanto per la dottrina islamica Gesù non è morto in croce e perciò la stessa non è un simbolo dellIslam.
Questo ovviamente fa riflettere anche sul senso delluguaglianza, che non può essere una uguaglianza di diritti, ma è un’uguaglianza sostanziale, unuguaglianza di possibilità, che non sempre si realizza, ma che esiste in nuce e quindi va rispettata, a cui deve rispondere la progettazione.

Figura 4. Moschea di Roma, sala principale, ©it.wikipedia.org.

Prima di progettare la moschea  (Fig. 4) sono stato diversi anni a Khartum, capitale del Sudan, dove ho conosciuto persone di religione islamica. Ho osservato dallesterno la moschea, perché non si poteva entrare, come veniva utilizzata, cosa succedeva e da questo ho capito che, diversamente dalledificio chiesa, la moschea non ha il compito di evocare l’eternità e la divinità, ma è, soprattutto, un luogo di preghiera che appartiene sostanzialmente agli uomini che sentono talmente lesigenza di avvicinarsi alla loro divinità da cercare nelle forme una metafora della divinità.
Successivamente, interpretando larchitettura sacra come sistema figurativo, la diversità delle pratiche progettuali diventa meglio riconoscibile. Mentre nelle chiese cattoliche lelemento figurativo è fondamentale e ne segna la distanza, nella cultura islamica troviamo la presenza di una geometria insistente, che cerca Dio attraverso la perfezione della forma e nello stesso tempo con limperfezione. Cioè la geometria islamica è un tentativo di rappresentare la divinità e molto spesso, nel simboleggiarla, introduce degli errori in quanto la perfezione è solo divina, particolarmente secondo la teoria islamica.
Nelle mie moschee ho cercato di fare entrambe le cose: ho rievocato contemporaneamente questa geometria sia attraverso le decorazioni e sia nella mia geometria, arrendendomi tuttavia alla necessaria imperfezione. Per cui ho cercato di far vivere insieme il cerchio, il quadrato e anche lottagono, ma ci sono dei punti in cui questa figure geometriche, che rappresentano lo stato della sostanza primordiale, entrano in frizione tra loro, soprattutto, nellattacco dei capitelli sotto la cupola. In definitiva risulta che ho seguito il senso di questa grande intuizione islamica, se vogliamo della perfezione, ma senza raggiungerla.

Sempre dall’ottica metodologica, come è nata la chiesa della Sacra Famiglia di Salerno

Erano gli anni immediatamente dopo le riforme conciliari (1970 – 1971) e la Chiesa viveva un momento di profonda trasformazione. E suquesto sfondo mi si pose il problema di costruire un edificio ecclesiale, che era una delle mie aspirazioni da sempre, da quando ero ragazzo, era il cimento mio più desiderato, avendo studiato Francesco Borromini.

Figura 5. Lo spazio sacro definito dalla centralità spaziale intorno all’Altare.

L’idea era di creare uno spazio per l’ascolto con una dinamicità spaziale cristocentrica (centralità dell’altare) (Fig. 5) e dove non ci fosse più una separazione tra celebrante e comunità, ma una unità di partecipazione, e che lo stesso spazio avesse una qualità simbolica di trascendenza, quest’ultima riassunta da sei grandi cerchi che, connettendosi tra di loro, rappresentassero l’unità all’interno della Trinità. Un altro componente metaforico di questi cerchi che navigano tutti in orizzontale, paralleli alla terra è che solo nel momento in cui si incrociano nella cupola scendono degli elementi verticali, il tutto a rappresentare il saldo rapporto dell’uomo con la divinità.

Figura 6. Schema geometrico chiesa di Salerno + chiesa di sant’Ivo, ©Archivio Storico Portoghesi.

I sei cerchi derivano (Fig. 6), con una sostanziale variazione, dalla chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza. Vale a dire, che nella chiesa del Borromini la figura spaziale di partenza è basata sul triangolo equilatero ed è il risultato di uno schema geometrico in cui i sei cerchi si incrociano con il triangolo, mentre nella chiesa delle Fratte i sei cerchi, invece di essere combinati secondo una regola statica, quella del triangolo equilatero, sono combinati secondo un principio di rotazione che cerca di interpretare geometricamente la crescita. Quindi, continuità ed organicità per esprimere nell’architettura i processi della creazione della vita, che rappresenta, fondamentalmente, il risultato più profondo.
Progettando questa chiesa, ho “vissuto” per la prima volta l’esperienza del sacro e ho compreso che la vera dinamicità del grande Mistero liturgico e la sua qualità simbolica e formale della centralità del suo spazio sacro, va oltre l’invenzione individualistica del fare architettonico; ho compreso che il significato simbolico di ogni elemento costruttivo deve evocare non solo una qualità comunicativa (riuscire a parlare ai fedeli che partecipano al rito), ma soprattutto una rivelazione. E su questi aspetti si è concretizzata l’idea che il Concilio Vaticano II è un’occasione per ripensarla sotto questo aspetto, partendo non dalle tipologie esistenti o dalla tipica “iconicità spaziale” (i banchi a battaglione), spesso realizzate con sistemi compositivi astratti e velleitari, ma capovolgendo radicalmente il concetto progettuale, basandolo sulla qualità simbolica, in modo da ridare all’edificio-chiesa la sua vera significazione di messaggio cristiano.

E il concetto di luce nell’architettura di questo edificio cattolico

La luce è un elemento fondamentale; è sostanzialmente l’architettura, la quale è soprattutto spazio interno. Il volume esterno è un modo per trasformare il paesaggio che deve dialogare con il paesaggio, mentre all’interno l’architetto crea il suo paesaggio e che ne diventa il suo sistema d’identità, realtà straordinaria e affascinante. La luce non è più il lume universale che sorge la mattina e tramonta la sera, ma è nelle mani dell’architetto, il quale la può guidare ed utilizzare facendola divenire la parte costitutiva dello spazio; un elemento architettonico costruttivo capace di organizzare e temprare, nel contrasto netto di essa con la materia, il «vuoto» di questa chiesa. Negli altri edifici che ho realizzato e anche nella moschea la luce è riflessa, mentre nel caso della chiesa della Sacra Famiglia la luce, invece, è una luce incidente che rasenta le superfici e mette in risalto gli spigoli esaltandone la natura geometrica e quindi il cerchio, che ne è il protagonista.
Nella chiesa di Salerno, come materiale costruttivo, il gradino è una “trappola” per la luce, in quanto proveniente dall’alto colpisce proprio il punto in cui si incrociano le due superfici illuminandolo e lascia invece il resto di queste superfici nell’ombra, del resto c’è sempre un dietro luminoso e un dietro oscuro, cosa affascinante perché poi in fondo non c’è luce senza oscurità. La cosa difficile è far dialogare il contrasto ombra-luce ed in questo, prendo come esempio, Caravaggio che è stato bravissimo a far dialogare la luce e le tenebre, dando alla luce il senso della grazia, la luce come espressione della grazia.
Nella mia ricerca progettuale ho perseguito sempre questa idea, in particolare nelle chiese cattoliche, dove la grazia è qualcosa di personale, un dialogo tra Gesù e il fedele. Il mio compito è stato quello di assoggettare i particolari di questo edificio cristiano alla luce in modo che subissero una “liberazione” dalla loro realtà materiale (sensibilità della forma) e non contrastassero più a quel senso del percepire trascendentale. Mentre nella moschea la luce è assolutamente astratta, non ha queste caratteristiche di dialogo diretto.

In ultimo, una sua analisi sull’attuazione del Concilio Vaticano II e quale pontefice ha apportato indirizzi pastorali utili all’architettura delle chiese cattoliche

Inizierei nel dire che l’apporto più significativo l’ha dato Benedetto XVI perché è un grande teologo, perché ha parlato molto di liturgia ed ha considerato il Concilio Vaticano II sotto due aspetti: da una parte come un grande programma di rinnovamento e dall’altra un invito alla liberazione per rimuovere dei vincoli ed agire autonomamente.
Benedetto XVI diceva che il Concilio non ha ancora raggiunto i suoi risultati, inverosimilmente è così e per questo affermo che bisogna continuare ad adottarlo ed utilizzarlo per ottenere risultati universalmente validi.
Ma nello stesso tempo sono profondamente convinto che il Concilio non è un invito alla libertà, che è una conquista che arriva dopo un lungo travaglio di liberazione, basta leggere i documenti della riforma conciliare per capire che la prudenza è eccessiva. Questa tela interpretativa ha una motivazione laica, nel senso deteriore del termine: non siamo più qui per attuare un disegno del Signore, ma fare quello che ci piace.
a qui la necessità di una sua corretta esegesi, di una ermeneutica autentica per rompere il “silenzio conciliare” all’interno della Chiesa, dove molti personaggi hanno abbracciato in pieno questa interpretazione laica, e dove io sia visto come un conservatore.
Comunque, sono sicuro che Papa Francesco sia ben consapevole di questo fatto anche se non si interessa direttamente di questi problemi “costruttivi”. 

 
Indirizzo corrente:
 
Maurizio Abeti
Professore del Corso di Storia dell'Arte Contemporanea e delle Arti applicate
Universitas Mercatorum 
Piazza Mattei, 10  
00186 Roma (Italia)
e-mail: maurizio.abeti@unimercatorum.it
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