Koinè un momento di confronto qualificato Imprese e designer, architetti e il committente ecclesiastico si ritrovano allo scopo di analizzare proposte concrete. Quest’anno una particolare attenzione è dedicata al calice e alla patena. Illustri firme del design sono state chiamate a presentare proposte e prototipi. Ne presentiamo alcuni, con l’introduzione di Mons. Giancarlo Santi che mette a fuoco l’argomento. Il calice (“bicchiere di forma più o meno simile a un cono rovesciato, fornito di un piede allungato e poggiante su una base circolare”, Dizionario della Lingua Italiana DEVOTO – OLI), così come altri tipi di bicchieri e quasi tutti gli oggetti di uso domestico, a partire dal secolo XX è stato e continua a essere progettato da un designer; diciamo meglio, ogni calice è diventato sinonimo di design. Questa sua fisionomia si può considerare una componente tipica della nostra cultura da quando i modi della produzione “industriale” sono stati utilizzati per la realizzazione degli oggetti d’uso, richiedendo una specifica capacità e filosofia progettuale. In termini generali i modi di produzione e, a monte, di ideazione “artigianale” di oggetti seriali così come i modi di produzione “artistica” di oggetti unici o di piccola serie sono stati quasi completamente sostituiti e sopravvivono in qualche nicchia protetta. Rimanendo all’esempio del calice, in qualche misura i diversi modi di ideazione, di produzione e i relativi prodotti industriali, artigianali e artistici convivono e si incontrano sulle nostre tavole; ma ormai sono i prodotti figli del disegno industriale a dominare la scena della nostra vita quotidiana. Se spostiamo l’attenzione dal “calice” al “calice rituale” e agli altri oggetti di uso “rituale” la situazione cambia notevolmente anche se non in maniera radicale. Nelle foto: Calice e patena, modello di Marco Zanini Nell’ambito della liturgia cattolica, in particolare, il “calice”, vaso sacro di importanza centrale nella celebrazione eucaristica, è ancora prevalentemente frutto di processi ideativi e produttivi di tipo artistico (che hanno come scopo di creare manufatti tendenzialmente unici, di elevato valore estetico ed espressivo, accettando anche costi molto elevati) e artigianale (che puntano a creare manufatti seriali, di buon livello estetico ed espressivo, cercando di contenere i costi), mentre i calici che sono frutto di processi riferibili, per quanto riguarda la progettazione, al mondo del design (manufatti di piccola serie, di elevata sobrietà formale molto vicina alla sensibilità contemporanea, a costi contenuti) costituiscono ancora una eccezione. Le cause di questa situazione singolare si possono ricondurre a due ordini di motivi; da una parte sono riferibili al carattere della liturgia cattolica, poco incline a brusche rotture delle forme espressive fondamentali (come la lingua, la musica e l’architettura) quanto disponibile, invece, a modifiche anche profonde purchè esse avvengano in modo lento e graduale; dall’altra dipendono dalle caratteristiche degli oggetti usati nella liturgia cattolica, in genere durevoli e quindi preziosi (preziosi e quindi durevoli), perché caricati di significati specificamente (ma anche genericamente) religiosi; di conseguenza gli oggetti per la liturgia, calice compreso, sono usati e conservati con grande cura e devozione, non sono beni di consumo e sono soggetti a processi assai lenti di sostituzione. "Ci stiamo incamminando verso un “design artigianale”? Per quanto possa sembrare Da queste considerazioni discendono almeno due criteri da tenere presenti nella progettazione di oggetti per il culto: la continuità rispetto alle forme consolidate e note e la gradualità nella introduzione di innovazioni. Altre due semplici regole sono da non dimenticare: in linea generale, il calice non può perdere i connotati specifici che lo rendono riconoscibile come “oggetto d’uso” ritualizzato; inoltre occorre tenere presente che il calice va pensato non come manufatto isolato ma come oggetto inserito in un “contesto”: il calice, infatti, deve essere capace di entrare a far parte di dinamiche celebrative, di eventi gestuali e di associazioni materiche e cromatiche che danno corpo visibile alla liturgia secondo gli attuali orientamenti ispirati piuttosto alla “nobile semplicità” che alla “sontuosità”, alla “verità del segno” piuttosto che alla “allegoria” o al “simbolo”. La domanda inevitabile che ci si impone a questo punto è se, posti questi limiti, sia possibile ricondurre il progetto del “calice” liturgico nell’area del design. In secondo luogo, in caso di risposta positiva, ci si domanda come in concreto ciò possa avvenire. Nelle foto: Calice e patena, progetto di Gianfranco Frattini. Alla prima domanda si può dare una risposta solo parzialmente positiva: il calice per la liturgia cattolica può essere ricondotto all’area progettuale del design, mentre la sua produzione pare destinata a rimanere nell’ambito dell’artigianato artistico. L’opzione positiva a favore del design, tuttavia, può scattare a condizione che si sappiano rispettare le specifiche caratteristiche che il manufatto in questione deve necessariamente possedere: si tratta cioè di progettare un “calice rituale” specificamente rife
Sarà bene inoltre non dimenticare che il calice per la liturgia deve essere dotato di requisiti dimensionali e materici specifici, frutto di esperienza secolare, ai quali è saggio attenersi. In positivo si possono dare due suggerimenti: il calice va progettato pensando al “contesto” celebrativo, ecclesiale, tradizionale. Mi fermo solo sul primo punto, il contesto “celebrativo”: credo che l’esperienza di riempire un bicchiere, di impugnarlo, di accostarlo alle labbra, nella nostra area culturale sia pressoché universale. Non lo è, invece, l’esperienza dell’uso liturgico del calice; ciò non di meno, materialmente il contesto liturgico non mura la serie delle manipolazioni e il senso ultimo dell’oggetto rimane praticamente lo stesso. Di conseguenza un designer che voglia seriamente affrontare la progettazione di un calice non potrà esimersi da una attenta e prolungata osservazione del calice “in azione” e, meglio ancora, per evitare derive soggettive o genericamente “religiose”, potrà avvalersi della consulenza di un liturgista competente. Il secondo suggerimento riguarda il processo produttivo: credo sia assodato che il processo produttivo del calice non può essere quello industriale ma quello artigianale; sarà dunque bene che il designer sia consapevole delle possibilità offerte e dei limiti imposti da tale processo. Ci stiamo incamminando verso un “design artigianale”? Per quanto possa sembrare paradossale o eretico rispetto alla storia del design credo che sia proprio questa la strada che si propone di imboccare, l’alleanza tra designer e artigiano. Mons. Arch. Giancarlo Santi |