Verde urbano e continuità ambientali

Un recente studio curato dal Servizio Ambiente e Paesaggio della Regione Marche (come approfondimento al terzo rapporto sullo stato dell’ambiente, 2009) dà conto della geografia delle pressioni ambientali al fine di orientare le politiche regionali sugli obiettivi della sostenibilità e di monitorare l’efficacia e l’adeguatezza delle stesse politiche.
I differenti livelli di pressione o criticità ambientale sono identificati sia attraverso le caratteristiche delle risorse ambientali (misurate con gli indicatori di stato), che attraverso l’impatto delle attività antropiche (misurato con gli indicatori di pressione). Dallo studio emerge che, oltre alla progressiva erosione di risorse essenziali, quali aria, acqua e biodiversità, è sempre più elevato il consumo di suolo, soprattutto a causa delle principali scelte di governo urbano e territoriale. Questo preoccupante trend segna anche gli anni più recenti (2001-2006); con un incremento di popolazione del 5,8% si è registrato un aumento di consumo di suolo del 7,2%. È evidente che si è di fronte ad un fenomeno diffuso in cui l’urbanizzazione dei suoli non segue andamenti proporzionali alla situazione demografica e produttiva. Nell’ultimo mezzo secolo, alla crescita di popolazione del 37% è corrisposto un aumento di consumo di suolo del 300%. Queste dinamiche urbanizzative interessano non solo le Marche, ma l’intera città diffusa adriatica con il risultato di una sempre più estesa superficie di suolo impermeabilizzato, che diventa la sede di edifici e infrastrutture, ma perde la capacità di svolgere funzioni ecologicamente rilevanti quali la connettività biologica.
In questo quadro di crescente pressione urbana si registra un aumento significativo delle aree sottoposte a tutela che vengono escluse dai processi di trasformazione territoriale. Attualmente, nelle Marche, la superficie delle aree naturali protette rappresenta circa il 9,19% del territorio regionale, in linea con la media nazionale (9,47%), cui va aggiunto un 14,38% della Rete Natura 2000.
Il segnale è dunque evidente: al fronte dei ?consumatori di suolo’ si contrappone quello dei ?conservatori di suolo’. Un sistema di risorse naturali e culturali, visto come ?un arcipelago di isole’, è sospeso in una città diffusa e pervasiva, che cresce senza un’idea progettuale e per continue (incontrollate ed incontrollabili) addizioni o aggregazioni casuali (risultanti dalle combinazioni tra struttura della proprietà e congiunture economiche), che cerca di occupare e ?sfruttare’ tutto quello che non è tutelato. È l’urbanizzazione ?per sottrazione’ che avanza e s’impossessa di spazi ancora vuoti, aree residuali, aree dismesse considerate ?aree in attesa di essere edificate’.1
In questo quadro di ?bianchi e neri’ (in cui, come spesso si vede nei vecchi programmi di fabbricazione, il bianco rappresenta il vuoto, le aree ?poco significative in quanto non edificabili’, ed il nero, invece, le aree dove le previsioni insediative ed infrastrutturali diventano economicamente rilevanti), sembra mancare quel necessario e qualificante rapporto tra processi trasformativi e azioni di tutela, tra conservazione e innovazione, tra costruito e vuoto, tra città e natura, tra territori degradati e paesaggi cartolina, tra percorsi veloci (della logistica, della finanza …) e percorsi lenti (della fruizione turistica, naturalistica, didattica …).
Come pure appare poco esplorato dalle esperienze in corso, anche se auspicato, ai diversi livelli di governo, quel fecondo raccordo tra l’assetto dell’area vasta (dove si intravedono le grandi reti insediative, infrastrutturali, ambientali …) ed il progetto urbano, alla scala comunale.
Purtroppo, sono tutt’altro che rare le interpretazioni progettuali, anche d’autore, alla scala locale (che, talora, risultano anche vincitrici di importanti concorsi d’architettura), incapaci di cogliere le profonde interazioni con la scala delle relazioni territoriali.
Negli ultimi tempi, una nuova attenzione si sta affermando da parte delle pubbliche amministrazioni nei confronti dell’ambiente e, più in generale, del paesaggio.Esso viene considerato:
 un elemento fondamentale della qualità della vita dei cittadini;
 un valore culturale da contrapporre alla perdita di identità dei territori, seguita ai processi di globalizzazione;
 una risorsa economica che potrebbe produrre occupazione e reddito.
La qualità paesistica – in quanto espressione sintetica della qualità totale del territorio – conta sempre più, economicamente e socialmente.
Essa risponde a:
 nuove domande sociali, che riflettono le paure e le speranze della società contemporanea di fronte ai rischi e alle minacce di perdita di contatto con il territorio e con l’identità di un luogo;
 nuovi diritti ?di cittadinanza’, come il diritto alla natura, alla sicurezza o alla bellezza, che pretendono nuovi spazi di socializzazione e nuove opportunità di appropriazione sociale.
Si profila all’orizzonte una nuova sfida culturale in cui l’emergente interesse per la natura da parte dei cittadini va colto nella sua profondità ed in tutte le sue diverse possibili ricadute. Facilitare contatti e relazioni feconde tra natura e cittadini è il nuovo scenario in cui tenderanno a muoversi le interpretazioni progettuali orientate al riassetto del sistema di spazi aperti urbani. Nuovi orizzonti progettuali riguardano le penetrazioni del verde naturale nella trama urbana ricercando collegamenti funzionali tra gli spazi verdi della città e le grandi infrastrutture ambientali. In ogni caso, il sistema del verde conterrà i gangli di riferimento per il ridisegno complessivo dell’organizzazione urbana e territoriale.
Questo approccio presuppone un dialogo, che troppo spesso è venuto a mancare, tra:
 i diversi livelli della pianificazione,
 i molteplici saperi coinvolti,
 i principali soggetti pubblici e privati che potranno supportare i processi di trasformazione. In tal senso, l’attenzione al paesaggio, inteso come ponte tra natura e cultura, diventa passaggio ineludibile per raccordare i diversi livelli della riflessione.
È in gioco la capacità di creare nuovi paesaggi alternativi a quelli atopici della città diffusa contemporanea e due sono le prospettive:
 la separazione, che tende a mettere la parte più celebre al riparo dagli assalti urbani (?salvando il salvabile’) dividendo, spazialmente, le parti in conflitto;
 l’integrazione, che prende atto di identità diverse, ancora estremamente ricche di contraddizione, estendendo all’intero territorio le politiche di qualità ambientale e paesistiche, facendo prevalere le logiche dell’influenza su quelle dell’appartenenza. In questo secondo scenario, la città diffusa adriatica diventa importante spazio di sperimentazione dei processi di riorganizzazione urbana e territoriale.
Lavorare sulle aree di bordo tra natura e città, sugli spazi di confine, sugli ?ecotoni’, presuppone visioni sistemiche e complesse volte a fecondare corrispondenze e integrazioni tra continuità biologiche e verde urbano, cui il progettista può affacciarsi solo dopo aver superato i vanesi solipsismi autoreferenziali, cui è solito perdersi, ed aver colto il bisogno di confrontarsi con altre competenze e con il sentire delle ?popolazioni interessate’.2

note:
1. Per approfondimenti: Assessorato alla tutela e risanamento ambientale. Servizio Ambiente e paesaggio (a cura di), Ambiente e consumo di suolo nelle aree urbane funzionali delle Marche, Errebi Grafiche Pesaresi, Falconara Marittima, 2009.
2. Cfr: art. 6, comma c, Convenzione Europea del Paesaggio (ratificata dallo Stato Italiano con legge n. 14 del 09/01/2006) in cui si parla di valutazione dei paesaggi individuati, tenendo conto dei valori specifici che sono loro attribuitidai soggetti e dalle popolazioni interessate.

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