Una vera cattedrale del deserto


L’edificio di culto sta al centro di un complesso multifunzionale che include anche edifici per uffici e residenze, sorto a una decina di chilometri dalla capitale, su un lotto offerto dall’Emiro Ammad Bin Khalifa Al-Thani. Il progetto dello Studio Spatium si richiama a soluzioni tipiche della zona: un’architettura che parla il linguaggio del rispetto.

Gli edifici del deserto sono le tende dei beduini, qualche casa bassa dall’impianto molto semplice, caratterizzato da superfici esterne sabbiose e da coperture piane, qualche palazzo per i potenti in cui i portici e le corti interne assolvono la funzione di offrire ombra e di favorire la circolazione dell’aria.
La tipologia della moschea si avvicina a quella del palazzo signorile, con l’aggiunta del minareto e dei luoghi per le abluzioni. Com’è noto, oggi questa parte del mondo è attraversata dell’impetuoso incedere della globalizzazione e dagli effetti della trabocchevole ricchezza derivante dal commercio del petrolio.
Al punto che la città di Doha si sta trasformando in un luogo di grattacieli e di “resort” turistici di lusso, completa di isole artificiali.
La prospettiva è quella di trasformare alcune zone della costa del Golfo in una specie di nuovo Mar Rosso, ai fini dello sviluppo turistico. Così, tra finanza, petrolio e turismo, Doha è diventata tutto un cantiere. Il progetto e la realizzazione della prima chiesa cattolica della città è un evento dal forte valore simbolico. La sua progettazione e realizzazione è un’occasione per ripensare ai fondamenti dell’architettura: la zona assegnata alla chiesa è letteralmente in mezzo al nulla del deserto. La grande chiesa è stata pensata come un organismo composto in
pianta da un rettangolo (che costituisce il fronte verso la piazza) e un cerchio che in questo si inserisce e che si ravvisa nella copertura ad andamento conico e nel porticato che sul retro ne completa il perimetro. Gli edifici vicini definiscono il lotto rettangolare e costituiscono un piccolo centro urbano: hanno facciate caratterizzate da lesene che riprendono
il colonnato perimetrale della chiesa.

In basso, il fronte della chiesa. Nella foto, il Vescovo, Monsignor Paul Hinder, succeduto a Mons. Giovanni
Bernardo Gremoli quale Vicario Apostolico d’Arabia, attorniato dalla delegazione italiana dopo
l’inaugurazione (secondo da sinistra, si riconosce Mons. Giancarlo Santi e accanto a lui la Prof.ssa Cecilia De Carli; alle spalle del Vescovo, a destra l’Arch. Lorenzo Carmellini e, secondo continuando verso destra, il Maestro Valentino Vago). Pagina a lato, zoomata da satellite su Doha e sul cantiere della nuova chiesa nel deserto.

COMMENTO DI MONS. GIANCARLO SANTI

La situazione è decisamente eccezionale, rivelatrice di diversi aspetti di questa nostra epoca di "globalizzazione".
Il Qatar è uno dei piccoli emirati arabi – piccolo riguardo non all’estensione territoriale, ma a numero di abitanti: solo un milione.
La ricchezza derivante dal petrolio fa sì che la popolazione locale goda di livelli di vita relativamente buoni. Ma c’è anche un’altra popolazione che sta crescendo di numero: perché prima l’industria estrattiva, poi anche altre attività di rilevanza economica (in particolare la recente, rapida crescita del turismo, che comporta anche un’importante attività
edilizia) hanno attirato qui molti lavoratori stranieri, dai Paesi più lontani: dall’India, dalle Filippine, dall’America Latina.
Sono in totale circa 300 mila i lavoratori provenienti da 70 Paesi, e in grande maggioranza sono di fede cattolica. Da qui nasce la necessità di costruire una chiesa in questo lembo della penisola arabica, che è terra islamica per eccellenza.
Le Autorità della Chiesa si sono impegnate al servizio degli immigrati e l’emiro del Qatar, Ammad Bin Khalifa Al-Thani, si è mostrato sensibile alle sollecitazioni ricevute.

Dall’alto: prospetto posteriore, sul portale è raffigurata la Madonna del Rosario; la pianta del complesso parrocchiale,
con la chiesa al centro; il disegno della struttura di copertura.
Pagina a lato: due rendering del complesso parrocchiale.

Del resto la sua larghezza di vedute è anche testimoniata dal fatto che la sua sposa è stata educata in una scuola cattolica. Così alcuni anni or sono, l’Emiro ha deciso di dare in comodato alla Chiesa cattolica, come anche a ciascuna delle altre Chiese presenti nella zona, un terreno su cui costruire il loro luogo di culto.
Il lotto assegnato alla Chiesa Cattolica si trova in pieno deserto, a una decina di chilometri da Doha, la capitale dell’emirato.
Una zona spoglia e brulla: il deserto archetipico, un piano di terra arida sconfinato, privo di vegetazione, ricco di silenzio, torrido di giorno, gelido di notte: il nulla, se paragonato al panorama di qualsiasi Paese europeo.
La notizia della donazione del terreno è stata accolta con gioia dai tanti cattolici che, pur venendo da Paesi poverissimi e lavorando per stipendi miseri che in Europa farebbero gridare allo scandalo, esattamente come avveniva nel lontano Medioevo, si sono autotassati per finanziare la costruzione della chiesache li unisce e nella quale si sentono fratelli.

Si prepara l’aula per l’inaugurazione: risalta il passaggio cromatico dall’azzurro al giallo oro nella lanterna. Per la chiesa di Doha, CALOI Industria ha realizzato un nuovo banco, mod. MODERNO, versione curva in legno di faggio massiccio, e ha fornito l’intero arredamento: i banchi nell’aula semicircolare e le poltroncine ribaltabili nella loggia superiore.
La pedana presbiterale.

L’opera è stata colossale: la sua importanza va valutata tenendo conto dei molteplici aspetti coinvolti.
Anzitutto: si tratta della prima chiesa cattolica in questa regione musulmana, la prima vera "chiesa nel deserto" di epoca contemporanea.
Il secondo aspetto: di un’opera compiuta con un afflato corale che rimanda a epoche lontane. Si è vista la piena, appassionata partecipazione della variegata comunità cattolica, composta esclusivamente da lavoratori stranieri.
Il terzo: parte di questa coralità è stata anche l’inconsueto coordinamento professionale che si è attivato.
Il costruttore, che da tempo opera in zona, ha chiamato lo Studio di architettura Spatium di Rocco Magnoli e Lorenzo Carmellini (ma il primo è sfortunatamente morto prima che l’opera fosse compiuta) e questi a loro volta hanno coinvolto nel progetto – sin dall’inizio – l’artista Valentino Vago.
Così a Doha, a 5 mila chilometri dal nostro territorio, si è potuto attuare qualcosa che tanto ci piacerebbe compiere anche in Italia: costruire una chiesa alla cui realizzazione partecipa con entusiasmo la comunità dei fedeli e al cui progetto cooperano i committenti, gli architetti, l’artista.
Il giorno dell’inaugurazione è stata festa grande: la ricchezza e varietà dei costumi presenti testimoniava le molteplici tradizioni popolari di appartenenza.
Si sono visti colori sgargianti e balli e musiche le più diverse. Accanto al parroco, un padre francescano filippino, hanno celebrato i diversi sacerdoti che si occuperanno di questo centro ecclesiale e che, a loro volta, sono di nazionalità diverse.
Il concetto architettonico è semplice e articolato a un tempo: i progettisti hanno tenuto conto della tradizione costruttiva dei Paesi arabi e hanno realizzato un complesso quadrangolare chiuso sul perimetro da edifici che ospitano diversi servizi comunitari.
All’interno dell’ampio cortile-sagrato, la chiesa si eleva con una struttura a cono che resta ben visibile sullo sconfinato piano del deserto.
Per rispetto alla religione tradizione del luogo, i segni caratteristici del cristianesimo non si apprezzano che da vicino. Così, chi si approssima al sito vede da lontano ergersi maestoso il profilo dell’edificio, ma comprende che è una chiesa solo dopo essere entrato nell’ampia corte entro la quale essa sorge.
Lo spazio interno è reso luminoso e unitario dall’intervento pittorico: l’azzurro si diffonde sulle superfici conferendo loro una pacata luminosità celestiale che sembra smaterializzarne i confini.

Tre immagini del complesso il giorno dell’inaugurazione. Dall’alto: la folla assiepata sul sagrato prima che si aprano le porte; un momento della celebrazione; la sosta di fronte agli edifici di servizio sul perimetro dell’area.

Chiesa di Nostra Signora del Rosario
a Doha (Qatar)

Progetto: Arch. Rocco Magnoli e Arch. Lorenzo Carmellini, Studio Spatium
Pitture murali: M° Valentino Vago
Banchi, sedute zona matroneo, arredi presbiterio: Caloi Industria, Susegana (Treviso)

E trasforma pareti e soffitto in una porzione di cielo ove galleggiano segni che rimandano alla tradizione iconografica cristiana: a partire dall’immagine della Madonna del Rosario, cui è dedicata la chiesa.
Sopra il luogo dell’altare, l’architettura sale inoltrandosi verso la luce e, coerentemente, le tonalità della pittura murale virano verso un giallo oro sempre più intenso. L’aula è raccolta entro una geometria semicircolare attorno all’altare che resta eminente al centro della pedana presbiterale. Il grande semicerchio che la abbraccia è evidenziato lungo il
perimetro da un matroneo-coro sul quale possono trovare posto diverse centinaia di cantori.
La capienza totale dell’aula è di oltre 5000 persone – per inciso va notato che il giorno dell’inaugurazione la partecipazione è stata tale che i fedeli riempivano anche tutto il sagrato. Lungo la parete semicircolare si aprono diverse cappelle: una per il tabernacolo, una col battistero, una per la penitenzieria, e ognuna è segnata da una particolare accentuazione cromatico-simbolica.
L’unitarietà della stesura pittorica si integra perfettamente con l’architettura: del resto sono pensate l’una per l’altra. L’articolazione dei luoghi liturgici consegue da questa unitarietà generale, sono emergenze in cui spazio e colore formano le diverse proposizioni che compongono un unico discorso.
La forma generale e l’elaborazione del colore parietale accentuano il raccogliersi dell’assemblea attorno all’altare: gradazione tonale e conformazione spaziale concorrono a ricondurre lo spazio al luogo eminenziale. Sulla parete di fondo alcuni tagli verticali racchiudono vetrate di stampo romantico provenienti da una cappella francese; viste da lontano sono macchie di colore e luce, e da vicino offrono con esplicitezza il loro discorso figurativo.
Una valutazione globale? Questa chiesa è un piccolo grande miracolo. Una chiesa italiana ma frutto di un impegno decisamente internazionale, realizzata su suolo arabo grazie alla magnanimità di un emiro illuminato.
Una chiesa piena di luce, di colore, di gioia e intrisa della fede di
chi lavora per poche centinaia di dollari al mese, ma ciò nonostante trova la forza di donare una parte del suo stipendio pur di averla.
Una chiesa che si fonda sul dialogo tra le più diverse nazionalità, sulla tolleranza reciproca e sul rispetto tra le religioni. Per tanti aspetti, una novità assoluta e un auspicio per un’epoca nuova.

Monsignor Giancarlo Santi

 

Condividi

Utilizziamo i cookie per offrirti la migliore esperienza sul nostro sito web.
Puoi scoprire di più su quali cookie stiamo utilizzando o come disattivarli nella pagine(cookie)(technical cookies) (statistics cookies)(profiling cookies)