Una chiesa al centro della città

I due periodi di S. Maria delle Grazie

La chiesa di Santa Maria delle Grazie è ricca di “miracoli” che si manifestano nel sorgere e risorgere, nel corso della storia, della sua architettura preziosa e composita. Da quando il Bramante eresse il tiburio, splendente di aerea luminosità, a completare il corpo romanico goticizzante progettato dal Soleri, vive in un equilibrio che la tragedia ha sfiorato ma non ha scalfito.

Famosa nel mondo perché l’antico refettorio dei frati ospita il “Cenacolo” vinciano, la chiesa di S. Maria delle Grazie costituisce una delle più importanti testimonianze del passaggio cruciale dal Medioevo al Rinascimento. Passaggio che racchiude nel suo stesso organismo in cui al corpo della navata, disegnato da Guiniforte Soleri con stile tipicamente romanico seppur non scevro da influenze gotiche, si accosta il tiburio bramantesco che rappresenta la prima e forse la più alta espressione architettonica del Rinascimento nel nord Italia. E’ la chiesa di un convento, le cui vicende sono strettamente legate a quella della presenza e all’opera dei frati domenicani in Milano. Oggi si stanno avviando al completamento i lavori di restauro delle superfici pittoriche interne alle navate, che restituiranno un’immagine compiuta e viva di questa chiesa. E’ un’occasione per parlare, con il priore del convento, frà Stefano Rabacchi e lo storico dello stesso, frà Venturino Alce, del significato di questa chiesa per la città di Milano. “Bisogna distinguere due periodi – spiega Venturino Alce – quello prima della soppressione napoleonica e quello successivo al ritorno dei Domenicani, nel 1904”. Nel primo periodo quello delle Grazie è un convento fuoriporta, di studio e preghiera. Da qui i frati predicatori e quaresimalisti si recavano nei diversi centri abitati della Brianza e della valle padana. Il servizio di predicazione entro la città di Milano era svolto invece dai frati domenicani a S. Maria della Rosa, chiesa da loro edificata non lontana dal Duomo attorno al 1480, quasi contemporaneamente alla costruzione di S. Maria delle Grazie. Di S. Maria della Rosa, soppressa nel 1797 e demolita nel 1829, rimangono vestigia nelle mura della Biblioteca Ambrosiana, ivi costruita. Con l’arrivo di Napoleone, S. Maria delle Grazie sarà espropriata e i frati ne verranno cacciati. La chiesa resterà attiva come sussidiaria della parrocchia di S. Vittore al Corpo, e sarà officiata da un singolo sacerdote.

Nelle foto: S. Maria delle Grazie come appare oggi.
Tiburio e parte del chiostro dopo il bombardamento del 16 agosto ’43.
Cappella di S. Caterina dopo il restauro del 1996.

Nel corso dell’800 la città conoscerà un’espansione tale che la chiesa resterà inglobata ormai entro il tessuto urbano. E quando finalmente nel 1904 i frati potranno tornarvi, sarà a tutti gli effetti una chiesa di città. Tuttavia il processo non sarà semplice. In un primo momento ai Domenicani viene consentito di officiare in chiesa, ma senza disporre del convento: fino al 1924 dovranno arrangiarsi affittando una casa vicina Nel ’24 entrarono solo nella piccola parte del convento posto al servizio della chiesa.. Fu solo nel ’34 che ai frati fu concesso in uso il convento – non in proprietà: questa resta tuttora in mano statale. Nel frattempo tuttavia l’edificio conventuale, che originariamente constava di cinque chiostri, si era ridotto. Prendendo a pretesto le necessità della nuova espansione urbana due chiostri erano stati distrutti: quello dove aveva avuto sede l’Inquisizione e quello dell’infermeria. Al loro posto venne collocato l’edificio scolastico tuttora attivo. Fu quella la prima volta che la distruzione si abbatté sul convento sfiorandone le parti più preziose: il Cenacolo, prima circondato dai chiostri, venne a trovarsi limitrofo al complesso didattico. La seconda volta fu nel 1943. Una bomba cadde nel grande chiostro a lato della chiesa, ne sventrò parzialmente mura e navate, abbatté due pareti dell’ex refettorio, ma lasciò miracolosamente intatti la tempera leonardesca e il tiburio bramantesco. Dalla fine della guerra in poi le Grazie si sono trovate in uno stato di restauro quasi continuo. Anzitutto, grazie all’intervento del Genio Civile completato dalla liberalità del sen. Ettore Conti (che già a metà degli anni ’30 aveva curato un restauro della chiesa), furono ricostruite le pareti abbattute dell’edificio di culto. Poi furono riedificate le ali distrutte del convento. Indi venne restaurata la vecchia sagrestia bramantesca. Tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 si completò il restauro strutturale del tiburio; quindi fu la volta del chiostro bramantesco e infine, a partire dalla cupola, cominciarono i restauri delle superfici interne e del coro ligneo. Quest’ultimo è già completato, mentre per le superfici pittoriche mancano ancora cinque campate della navata sinistra. Il flusso dei turisti è continuo. “Non le ostacoliamo – spiega frà Stefano Rabacchi – ma le regoliamo in modo tale da impedire che siano disturbate le messe domenicali in basilica (nei giorni feriali si officia in cappella). Ma è importante sottolineare, prima ancora che la sua importanza storico artistica, il ruolo che la chiesa svolge nel dialogo con la città. Sia attraverso la sua missione religiosa, sia attraverso le sue iniziative culturali”. Già nel dopo-guerra infatti nelle Grazie fu attivata l’Accademia Albertiana: la sagrestia bramantesca prese a essere usata per tenere conferenze. Tra gli intellettuali che la frequentavano c’era anche l’allora giovane professore Mario Luzi. Oggi il Centro Culturale Le Grazie svolge un programma annuale di convegni, conferenze e concerti.

L.Servadio

Condividi

Utilizziamo i cookie per offrirti la migliore esperienza sul nostro sito web.
Puoi scoprire di più su quali cookie stiamo utilizzando o come disattivarli nella pagine(cookie)(technical cookies) (statistics cookies)(profiling cookies)