Architettura – Centro Pastorale Giovanni XXIII a Seriate (Bergamo) Un edificio imponente e slanciato allo stesso tempo, questo della nuova chiesa di Seriate progettato da Mario Botta. Il disegno riconcilia la tendenza all’ascesi con il radicamento nel suolo, stabilendo una particolare tensione verticale. La elaborazione dell’architettura si traduce in forme moderne ma capaci di riecheggiare suggestioni antiche. Appare come il calice di un enorme fiore spuntato nella pianura, tra le case e i prati. Siamo nella bergamasca, a due passi dal capoluogo. Una terra che ha conosciuto lo splendore dell’arte rinascimentale e barocca, una terra ricca di industria e di agricoltura. Dove il lavoro e l’impegno sono intesi come una missione. Il progetto di questa chiesa del noto architetto ticinese risale alla prima metà degli anni Novanta. Ma la chiesa è stata completata solo a metà del 2004. E viene a collocarsi nella ormai cospicua produzione di Mario Botta per la chiesa recando in essa diversi spunti di novità. Secondo la consuetudine bottiana, il volume è disegnato partendo da un solido geometrico: il cubo.
Ma è il modo in cui la semplice geometria viene elaborata che dà il carattere proprio all’edificio e lo rende singolare e lo porta a caratterizzare con autorevolezza il sito. "Non è platonica l’architettura concepita more geometrico dal progettista svizzero – scrive Gianni Contessi – Piuttosto è realistica, e dunque anticlassica insieme, e marcatamente espressionistica, come, negli anni, testimonia la vis gestuale di tanti fogli disegnati" perché geometria vuol dire regola, semplicità, essenzialità. Ma qui abbiamo un’articolazione che si fa alquanto complessa e riesce ad assumere risonanze storiche inconsuete, sia grazie all’elaborazione della forma, sia grazie all’uso accorto dei materiali, sia grazie alla attenzione alla luce. Il cubo è intagliato agli spigoli e nella faccia superiore.
Si costituisce così un invaso in alto. Il quadrato ribassato che costituisce la copertura della chiesa è unito alle pareti verticali da vetrate inclinate. La forma si articola, ritaglia porzioni di cielo e genera ombre dalle linee nette che sottolineano il movimentarsi dei volume. La luce rimbalza e si riflette in mille bagliori sulla superficie rivestita di pietra rossa di Verona trattata a spacco, così da presentare una superficie sommamente irregolare. Nel solido geometrico si conserva l’idea di forza e di stabilità, ma ne viene cancellata l’opacità e l’uniformità. Le facce sono diventate facciate e hanno assunto una chiara caratterizzazione.
Nell’elemento che si innalza, si ravvisa l’anelito alla verticalità, sottolineato dalla presenza di una scanalatura mediana che nella facciata principale diventa croce grazie a un breve taglio orizzontale posto bene in alto. Nel vuoto ricavato agli spigoli superiori si pone una superficie che declina, quasi a unire con dinamica discesa, la copertura alla terra, radicando l’edificio nel luogo, aggrappandolo al suolo. E questi tagli e sbalzi di quota nel loro complesso riecheggiano non solo l’immagine del fiore che guarda verso il cielo, ma anche la merlatura del castello medievale. Suggestioni antiche che trasportano l’architettura in un luogo senza tempo.
La vicina chiesetta settecentesca, coi muri in mattoni e in parte in ciottoli, si pone come contrappunto e definisce lo spazio del sagrato dal lato opposto rispetto a quello dove si distende il lungo volume rettangolare dell’oratorio, sacrestia e canonica, caratterizzato dalle due serie laterali di colonne. L’antico è così cooptato nel complesso architettonico attuale, quasi a sottolineare diversità e distanza degli stili, degli approcci progettuali. Ma anche la loro contiguità e la possibilità di dialogare nel servire un unico fine. un po’ come dire: "così era la chiesa un tempo….
Ma è la luce, modellata dalle apertura e dalle schermature superiori che imprime un carattere proprio all’aula. Una luce mitigata seppure proveniente da aperture di dimensioni non piccole: soffusa e plastica che suggerisce l’alterità del luogo, e il silenzio. La vetrata opalina che inquadra l’ingresso dà il "La" ai valori cromatici riscontrabili in tutto l’interno. E permette una sintonia di tonalità che con moderazione dialogano tra le pareti.
Tra la doppia abside e il portale, tra il fonte battesimale e il tabernacolo: luoghi separati tra loro ma avvolti tutti in quell’unitaria atmosfera. E la pianta centrale dell’aula permette alla croce di manifestarsi con forza non solo nell’immagine disincarnata del Cristo nella roccia, ma anche nel poderoso intrecciarsi di setti murari che incardinano il soffitto e lo sospendono come un emblema orizzontale che sembra calare dall’alto verso i fedeli raccolti in assemblea.
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