Ufficio fabbrica creativa generare innovazione


Lo spazio di lavoro come risorsa

Un convegno promosso da Assufficio, Associazione di Federlegno-Arredo, mette in evidenza l’incidenza dello spazio sul lavoro e sul lavoratore. Nel forum multidisciplinare si è discusso sui contesti, gli spazi e le relazioni in cui nasce l’innovazione.

a cura del Dott. Arch. Giacomo Cornelio
dal documento di studio per il convegno Ufficio Fabbrica Creativa di Enrico Cietta, Diomedea.

Lo spazio di lavoro è una componente importante nella soddisfazione del lavoratore oltre ad essere un elemento essenziale per stimolare la produttività. Assufficio, l’Associazione di Federlegno-Arredo che riunisce le industrie dei mobili e degli elementi di arredo per l’ufficio, ha promosso il progetto Ufficio Fabbrica Creativa che vuole mettere in luce le influenze che lo spazio lavorativo, in particolare l’ufficio, esercita sul lavoro e sul lavoratore.
Ha avviato ufficialmente il progetto un forum in cui sono intervenuti come relatori professionisti provenienti da campi diversi.
Moderatore era il giornalista e conduttore televisivo Patrizio Roversi. La discussione aveva come punto centrale i contesti, gli spazi e le relazioni in cui nasce l’innovazione, motore della produzione intellettuale. Economia e società
sono sempre più influenzate dalla creatività, dalla capacità di produrre idee, conoscenze e innovazione. Dietro la fabbrica industriale troviamo la fabbrica dell’immateriale, che contribuisce al valore del prodotto attribuendogli un
senso, il vero motivo per cui il prodotto viene acquistato. Il baricentro produttivo si sposta verso la fabbrica creativa, lo spazio in cui si costruisce il valore immateriale del prodotto. Il lavoratore creativo maneggia informazione e conoscenza; il suo lavoro, meno strutturato e prevedibile, necessita di un grado di autonomia maggiore. Il knowledge worker, lavoratore della conoscenza, è un imprenditore che utilizza capitali propri (le competenze che ha acquisito in maniera autonoma) per svolgere un lavoro altamente specializzato e che è in qualche misura “unico” non imitabile e non ripetibile da altri, come ha spiegato Paolo Borsani, presidente di Assufficio.

I relatori del convegno Ufficio Fabbrica Creativa. Da sinistra a destra: Michelangelo Pistoletto, Pierluigi Cerri,
Piero Lissoni, Irene Tinagli, Enrico Cietta, Paolo Borsani

Immagine presente sul Documento di studio per il convegno “Ufficio Fabbrica Creativa”
tratta dagli studi della DEGW, azienda specializzata in design per uffici. Il grafico disegna
quattro diverse tipologie di ufficio per esigenze lavorative legate maggiormente all’incremento
delle relazioni o alle attività che necessitano di concentrazione.

Gli ambiti studiati sono: produttività dell’individuo, dell’organizzazione,
relazione con il mercato e con i dipendenti.

L’autonomia del knowledge worker presume la necessità di un grado maggiore di fiducia nei suoi confronti, il suo lavoro non è ottimizzabile dall’esterno. L’essenza del lavoro intellettuale prevede di utilizzare le proprie risorse in modo creativo e innovativo rispetto alle diverse problematiche aziendali.
Questa classe di lavoratori richiede un grado di coinvolgimento maggiore nell’organizzazione aziendale; l’interesse è legato non solo al risultato, ma anche alle procedure con le quali viene ottenuto. Irene Tinagli, Direttore Scientifico
della Società di ricerca Creativity Group Europe ha parlato durante il convegno delle “tre T”: è importante la Tecnologia di cui dispone una nazione, così come è essenziale il Talento, ovvero il capitale umano ed il livello di istruzione, ma fondamentale risulta essere la Tolleranza della società in cui l’individuo è inserito.
Secondo Richard Florida e Irene Tinagli il sistema economico potrà sfruttare al meglio le proprie possibilità solo se l’intera società si orienterà ad un diverso modello di produzione evitando le minoranze di talenti creativi. L’artista
biellese Michelangelo Pistoletto ha posto in luce la funzione dell’arte come motore primario di trasformazione. Nella sua fondazione “cittadellarte” ha creato una sorta di nuovo Rinascimento, riprendendo gli Uffizi. “Se è il contesto che favorisce l’innovazione (…) si può ipotizzare che riproducendo certe condizioni favorevoli si possano migliorare le performance di un singolo lavoratore o di un gruppo”, spiega Remo Lucchi, coordinatore del progetto Ufficio Fabbrica Creativa.

Lindquist scrive nel 2005 che i contesti che producono creatività sono quelli che rappresentano un “attento bilanciamento tra disponibilità di risorse per lavorare, totale libertà di scegliersi un problema da affrontare seguendo
le proprie idee e forte spirito di competizione interna unita ad un’elevata pressione a produrre risultati”.
Da un analisi sui premi Nobel è risultato che l’Università di Cambridge ha vinto circa l’80% dei premi assegnati all’Inghilterra. I premi Nobel Rita Levi Montalcini, Salvador Duria e Renato Dulbecco studiarono alla Facoltà di Medicina dell’Università di Torino sotto la guida di Giuseppe Levi.
Dall’esame di questi contesti risulta sempre un’alta concentrazione di indi
vidui creativi, diversità nelle competenze, reti di comunicazione e luoghi di incontro stabili ma informali.
Una ricerca di Ricchetti ed Enrico Cietta su società e professionisti di servizi di alto livello per imprese del tessile-abbigliamento ha evidenziato da parte di queste imprese una forte rivendicazione ed autopercezione di unicità in
termini di competenze e servizi forniti. Il knowledge worker riconosce di essere un “unicum” e di avere bisogno di una rete di professionisti e relazioni “fisica e spaziale”. La vicinanza con clienti e fornitori è ancora dominante. La forza economica delle nazioni sarà in gran misura determinata dalla loro capacità di mobilitare, attrarre e proteggere il talento creativo delle persone.
Le aziende tendono a minimizzare il turn over per i “key knowledge worker”, lavoratori che hanno una maggiore produttività e capacità di accumulare e trasmettere informazioni essenziali ma non formalizzate relative all’azienda.
Nell’economia della conoscenza questo “sapere informale” è una leva competitiva sempre più importante per le aziende ed un fattore ancora poco considerato dagli imprenditori.
L’ibridazione di alcune figure professionali e la contaminazione di competenze richieste dal nuovo modello produttivo hanno reso poco efficace una specializzazione per funzioni. Le aziende stanno verificando se il design possa aumentare la produttività.

Tecno, showroom di Varedo, architetto Piero Lissoni,
foto di A. Martiradonna. Sotto KNOLL INTERNATIONAL,
Sistema WA di Piero Lissoni con Marc Krusin e foto di Lissoni di G. Gastel

Attualmente il costo della progettazione, della costruzione, dell’impianto e della gestione di un nuovo spazio di lavoro è di quasi dieci volte inferiore alla spesa per i salari.

La ricerca sull’influenza che il design può avere sulla produttività lavorativa segue tre direttrici: il comfort dell’ambiente di lavoro, la relazione tra design dello spazio e delle dotazioni ed il processo produttivo, l’utilizzo della sede aziendale come elemento di comunicazione interna ed esterna.
Qualità dell’aria, temperatura ambientale, rumore, qualità della luce, ergonomia delle postazioni determinano un miglioramento o una perdita di produttività fino al 25%. Alcuni studi riferiscono che ad un maggior grado di controllo da parte dei singoli lavoratori sulla temperatura, sulla qualità dell’aria, sulla luce ed in genere sulle variabili che influiscono sul comfort complessivo, corrispondono più alti livelli di produttività percepita dagli stessi lavoratori. Nella progettazione della futura fabbrica della produzione immateriale è centrale la ricerca di un equilibrio tra un tipo di design che favorisca la comunicazione e di uno che garantisca la possibilità di concentrazione, tra lo sviluppo di un lavoro di gruppo ed uno più orientato alla produzione solitaria. Il modello di riferimento si è spostato dall’idea di un ufficio capace di rispondere
a cambiamenti tecnologici verso un modello che risponde ai cambiamenti nel tipo e nell’organizzazione del lavoro. L’architetto Pierluigi Cerri ha posto in evidenza la grande responsabilità del committente, dato che il risultato di una progettazione ottimale dipende per il 50% dall’intelligenza del cliente. I ricercatori usano quattro modelli spaziali
di riferimento: “l’accademia, la corporazione, l’agorà, la foresteria”. L’accademia favorisce un processo di apprendimento collettivo. Le soluzioni di arredo incoraggiano la collaborazione e l’intercambiabilità del posto di lavoro.
Nella corporazione la progettazione mette in comunicazione i knowledge worker con le stesse competenze o funzioni aziendali. Lo spazio facilita la condivisione funzionale di conoscenza all’interno dell’ufficio in ambiti professionali e informali.
L’agorà rappresenta una integrazione nella città ed è finalizzata a rendere l’azienda più vicina ai suoi clienti ed al mercato. Questi uffici sono vicini al mercato per cui si lavora, sono spesso dislocati in vecchi edifici e possono essere aperti per lungo tempo. Nel modello della foresteria lavoro e vita sociale tendono a convergere: le postazioni sono pensate per lavoratori che operano in diverse città e necessitano di spazi casa/ufficio per tempi limitati. L’architetto Piero Lissoni, nella foto qui a destra, ha parlato della necessità di lasciare spazi liberi nella progettazione e dell’importanza del mantenimento di “luoghi deputati” atti a svolgere precise funzioni. L’ufficio si può inoltre immaginare come una città, luogo di offerta culturale, luogo commerciale, luogo di incontro: una concezione applicata da Brunello
Cucinelli in un borgo restaurato per la propria azienda che offre eventi culturali al territorio.

 

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