Tessuti, che passione!

Arte e artigianato
Un piccolo gruppo di studiosi, una cinquantina o poco più in tutta Italia, si occupa della storia e del restauro dei tessuti di pregio. La tessitura, la veste liturgica, il paramento sacro: sono argomenti forse in parte dimenticati, ma che oggi stanno ritornando a far parlare di sé. Intervistiamo Stella Ghersina Arnulfo, restauratrice e studiosa dei tessuti.

Dott.ssa Stella Ghersina Arnulfo Paliotto. Piviale a fondo cremisi. Liguria, fine XVI secolo (da: Arte e Lusso della Seta a Genova dal ‘500 al ‘700 a cura di Marzia Cataldo Gallo, ed. Allemandi 2001).

Un vasto campo di studio, un mondo intero ricco di prodotti che accompagnano la storia dell’arte, un settore nel quale si sono avvicendate generazioni di pazienti artigiani e che ci lascia un ricco patrimonio ancora in parte inesplorato. Quello dei tessuti è un argomento ancora ben poco conosciuto. «Eppure pochi se ne rendono conto», lamenta la D.ssa Stella Ghersina Arnulfo, che negli ultimi mesi del 2001 ha organizzato il corso “Alla riscoperta dei Mestieri d’Arte – Approccio alla conoscenza, valorizzazione e conservazione dei tessuti antichi”, presso il Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume del Museo di Palazzo Mocenigo a Venezia. Forse – spiega Stella Ghersina Arnulfo – è a causa del fatto che noi viviamo circondati dai tessuti, nelle vesti e negli arredi, che questi sfuggono alla nostra attenzione. O forse perché ormai siamo abituati anche in questo campo a usare e gettare. Il fatto è che una volta non era così.
Com’era, una volta?
Un tempo le vesti erano considerate preziose e durature. Erano trattate con molto rispetto. Erano oggetti di grande valore. Sappiamo dagli archivi che qui a Genova abbiamo avuto casi di abiti pagati quanto una nave. Gli abiti di pregio un tempo erano costosissimi. E venivano trattati con grande cura. Non si potevano lavare: la seta dei tessuti si sarebbe rovinata. Venivano passati da padre a figlio, da generazione a generazione; quando non potevano essere tramandati all’interno della famiglia, venivano donati alla Chiesa. Proprio come si sarebbe fatto con un immobile di pregio. È questo uno dei motivi per i quali le chiese sono così ricche di vesti preziose. Gli abiti civili ricevuti venivano usati per cavarne vesti adatte all’uso liturgico.

Liguria (Savona?) XVII secolo. Piviale in velluto giardino. Genova, XVII secolo.

È possibile stimare l’entità del patrimonio di tessuti nelle mani della Chiesa?
Com’è noto, in tutta Italia è in corso un’opera di inventariazione dei beni della Chiesa, e tra questi anche dei tessuti. Io stessa ho partecipato all’inventariazione dei tessuti nella diocesi di Genova. Ma dare una stima, per quanto approssimativa, credo sia ancora impossibile. Posso dire che nell’opera di inventariazione e catalogazione abbiamo trovato, soprattutto nelle chiesette sperdute in montagna, talvolta nascosti in insospettabili cassetti, evidentemente dimenticati da tutti, tessuti assolutamente strepitosi. Nell’ambito delle ricerche per l’inventariazione abbiamo compiuto scoperte veramente entusiasmanti.
Lo studio dei tessuti antichi si riflette anche nella concezione dei tessuti moderni?

A volte capita di vedere tessuti che paiono evidentemente influenzati dalla conoscenza di tessuti antichi. Ma i tessuti odierni vengono prodotti con tecniche assai diverse da quelle in uso nel passato. La tessitura a mano non è riproducibile a macchina. E l’abilità che richiede la tessitura manuale oggi è merce rarissima. Tuttavia vi sono stati casi di persone che abbiano richiesto la confezione di abiti tessuti a mano: ricordo che la regina di Danimarca si fece preparare a Firenze un abito confezionato con stoffe tessute su telaio a mano: son casi rarissimi e che implicano un investimento economico più che notevole.
Molti musei ecclesiastici conservano vesti liturgiche: ma spesso i tessuti appaiono stinti. Il restauro può ridonare lo splendore a queste vesti?
Dipende. Se il problema è il deposito di polvere, questa può essere aspirata via. Se invece si tratta di ossidatura del colore causata dalla luce, non c’è nulla da fare: bisogna solo cercare di conservare l’esistente. I colori che usavano un tempo per tingere i tessuti erano validi quanto quelli usati in pittura. Alcune tonalità erano più delicate di altre: in particolare i blu e i colori scuri. I marroni, i neri e i bianchi tendevano a indebolire le fibre del tessuto. Se vi sono dei danni a livello molecolare nel tessuto o nel colore, questi non sono rimediabili. È solo possibile operare l’equivalente delle scialbature nei restauri delle opere pittoriche: sovrapporre un tessuto di tulle colorato che ridona la tonalità di colore e all’occorrenza, come si richiede nell’opera di restauro in generale, è asportabile.
Come nella pittura, anche nella tessitura immagino che i colori avessero un preciso significato…

Certamente. Per esempio il colore porpora era simbolo di potere. Per il semplice fatto che tale colore si ricavava dalla Cocciniglia, un insetto rarissimo e pertanto costosissimo. A Genova solo il Doge poteva vestire color porpora. Molti tessuti di seta sono intrecciati con fili metallici: anche in questo caso abbiamo che se la lega usata è buona, si ossida meno facilmente. E anche in questo caso la committenza che poteva permettersi manufatti di pregio maggiore era quella più facoltosa e importante.

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