A Firenze nella zona collinare: uno spazio piccolo ma vorticoso Prendendo spunto dagli architetti barocchi, due giovani professionisti fiorentini trasformano un angusto bilocale in uno spazio complesso polimorfo e spiraliforme.
Chiedo notizie dell’appartamento ai due architetti, Stefano Bizzarri e Sara Micali (www.d-zone.it), che ne hanno curato la ristrutturazione. Si trova al terzo piano di un edificio situato in vicolo dei Barbi all’inizio di via Bolognese, una delle zone collinari più belle di Firenze. La particolarità di questo vicolo è la sua microrealtà di vecchio borgo con un tessuto sociale autonomo, dove viene da chiedersi se si è in campagna o a pochi passi dal centro di Firenze come è in realtà. Questo appartamento è abitato da tre anni e il proprietario, un giovane agente di viaggi di natura eclettica, ha provveduto a variarne colori e arredo con regolarità (un fatto allarmante dal punto di vista dell’architetto), ma in questo caso con gusto sicuro e notevole capacità. Qual è la caratteristica fondante di questo appartamento? Le sue dimensioni: sono solo trentadue metri quadri. Si tratta di un miniappartamento composto da un unico vano ricavato abbattendo tutte le murature che delimitavano i due vani originali e restringendo il bagno che in origine aveva dimensioni sproporzionate rispetto al resto. Come avete impostato il progetto di ristrutturazione? E’ emersa da subito la voglia di stravolgere lo spazio, di sfondare le pareti che irrigidivano un ambiente già di per sé costretto, sostituendole con forme sinuose, avvolgenti, con linee guida morbide sulle quali identificare di volta in volta destinazioni d’uso diverse e adiacenti.
Nelle foto: l’angolo del computer, ricavato sul retro del bagno, ha una bella sedia Phanton. Sotto, l’angolo per la conversazione ha un divano di Jasper Morrison, una sedia di Philippe Stark, una libreria a spirale di Ron Arad e un tavolino disegnato negli anni ’50 da Saarinen. La bizzarra lampada a corno è di Philippe Stark. Nel bagno il lavabo è lo Small di Ideal Standard e lo specchio stile anni ’40 è di Tenda Dorica.
E’ emersa subito la voglia di stravolgere lo spazio con forme sinuose e avvolgenti. Così si è progettato lo spazio prima ancora del contenuto, applicando su piccola scala il metodo che i grandi architetti barocchi utilizzavano nella progettazione di piazze e palazzi: far perdere agli spazi la loro chiusa compostezza per fonderli in un unico ambiente senza soluzione di continuità. Il palco cucina diventa così uno stage illuminato dall’alto con proiettori incassati, mentre il muro del disimpegno si trasforma in un’onda che abbraccia la seduta pranzo. Le rotondità si srotolano in ogni angolo (che angolo non è più) dal bagno al piano cottura e dal soggiorno agli armadi, per poi replicarsi formalmente nel separé della zona letto e nella libreria spiraliforme. Così lo spazio, liberato dallo smembramento delle pareti, riacquista piccoli scorci di mistero e incuriosisce il visitatore, ora attratto dal ventre tecnologico della zona TV, ora proiettato verso l’angolo letto e la cabina armadio che coabita col piccolissimo studio. Perché siete ricorsi a una decorazione a scacchetti bianchi e neri? Il pavimento e i rivestimenti della zona cucina-bagno hanno caratteristiche optical per vivacizzare col loro contrasto i toni rilassati delle pareti; mentre il parquet della parete rimanente dialoga tranquillo col soffitto a travi, unica memoria storica dell’ambiente preesistente. Il risultato è un interno giovane e pieno di energia, dove l’angustia dello spazio a disposizione è diventata di stimolo anziché d’inciampo. Non è per niente claustrofobico e ha il vantaggio di avvolgere come un guanto chi ci abita.
Sulle colline che dominano Vienna: immersi nella eco-natura
Una villa costruita secondo i dettami della bio-architettura, con pannelli solari, stufe a legna, tetto ricoperto di terra dove vivono senza cure piante molto rusti
E’ interessante notare come, nonostante d’inverno qui il clima sia notevolmente rigido, il riscaldamento è stato studiato in funzione del risparmio energetico e del minor danno ambientale: per il riscaldamento dell’acqua si usano solo i pannelli solari, mentre per tenere calde le stanze vi sono alcune bellissime stufe di maiolica che bruciano legna con ridottissima emissione di fumi inquinanti. Solo nelle giornate di freddo intenso (si va spesso sotto i dieci gradi) si fa ricorso al riscaldamento a gas. Le finestre sono state studiate con due obiettivi: non far disperdere il caldo prodotto dalle stufe e nello stesso tempo utilizzare il calore passivo prodotto dai raggi solari quando entrano dalle vetrate. Le stufe, progettate dal padrone di casa e dalla figlia dell’architetto, sono molto diverse come forma e colore, e in questi interni molto semplici si comportano da personaggi protagonisti. I legni sono tutti lasciati al naturale, tranne quelli dei pavimenti e delle scale che vengono trattati ogni due anni con una miscela protettiva di resina di larice e olio di lino. I legni sono di diversa natura: larice quello delle pareti e dei pavimenti, ciliegio quello dei tavoli e delle mensole, cirmolo aromatico quello di letti ed armadi. Il bagno padronale mescola con piacevole disinvoltura il rustico del legno con l’high tech del lavabo e col sapore retrò della vasca e delle piastrelle inserite nella stufa di maiolica. Queste piastrelle sono state disegnate negli anni ’20 da Michael Powolny per la Wiener Werk-stätte, l’organizzazione artistica nata a Vienna all’inizio del secolo per rinnovare in senso moderno lo stile degli interni
Nella stanza per gli ospiti, qui a destra, ha un posto d’onore vicino alla finestra che domina il paesaggio una grande stufa in maiolica blu elettrico che nella forma si è ispirata a certe figure femminili dell’artista Botero. Qui il legno è predominante e si cerca di contrapporvi oggetti di forte carattere come la stufa, il cassone e la poltroncina color melanzana d’inizio secolo. Il pilastro bianco, anche se portante, contiene la canna fumaria. A Lucca in pieno centro storico: dentro la torre del gallo servizio di Walter Pagliero Quando il passato è importante, come in questo caso, è bello viverci dentro tra ricordi storici, torri medioevali e mobili di famiglia. Chiedo al proprietario, un avvocato di Lucca, come si vive all’interno di una torre del XII secolo. Benissimo. Era stata abbandonata per tanti anni e ho dovuto restaurarla e ristrutturarla a fondo. Lucca è una città medioevale sorta su una città romana e questa torre è all’interno della prima cinta muraria, quella costruita dagli antichi romani. Tutto il complesso di costruzioni sorto intorno alla torre si chiama Corte del Gallo, un nome che la leggenda fa risalire
Quali sono le dimensioni della torre? Otto metri per otto. La scala d’accesso ai piani superiori (che si vede nella foto delle due pagine precedenti) si appoggia proprio alla parete esterna della torre, che però non si distingue perché l’abbiamo intonacata come il resto della casa. Attraversando il piccolo arco (nella foto in basso a destra) che è quello originale, si entra senza accorgersi nella torre. Come avete impostato il restauro? Abbiamo consolidato la struttura con dei tiranti nascosti da travi, si è riaperta una bifora della torre che era stata murata ed è stata rifatta tutta la parte a vista: intonaci, pavimenti e soffitti, rimanendo fedeli allo spirito originario, in questo aiutati dalla Faver che ha fornito tutti i materiali tra cui le piastrelle e il bellissimo cotto molto simile a quello antico. Vedo che per arredare avete utilizzato alcuni mobili dell’Ottocento.
Molti di questi appartenevano alla zia di mio nonno e sono del 188O circa. Anche la cucina, molto curata, ha un sapore tradizionale. La cucina è stata fatta in collaborazione con la Faver e preziosi sono stati i suggerimenti di Italia Bertolani. I contenitori sono stati fatti su misura e laccati in due colori. Per la cappa è stato complicato ottenere questa particolare cornice in legno antico: il trave me l’ha dato un muratore che stava facendo delle demolizioni e per lavorarlo con questa sagomatura il falegname ha dovuto costruirsi un apposito strumento. Il lavandino in pietra è stato trovato da mia moglie nel giardino di sua zia che lo utilizzava, rovesciato, come un piccolo ponte; mentre i piatti appesi alla parete erano di mia madre. Il tavolo e le sedie erano invece della zia di mio nonno. Le famiglie toscane conservano tutto. |