Santo Giunta




Le variazioni progettuali della sede degli uffici comunali di Castelvetrano1 mettono in luce come alcuni elementi del progetto influiscono, in modo innovativo, nei luoghi del design. Ovvero quella serie di relazioni materiali e immateriali che hanno un intendimento comune verso i modi di vita che si ritengono desiderabili all’interno delle nostre città.
Ma le città sono ancora i laboratori dell’innovazione e della ricerca dello scambio tra esperienza e modi di vita, tra l’indefinita periferia dell’insediamento metropolitano e l’assenza di una strategia comune verso tutti i servizi sociali?
Per rispondere a questa domanda proverò a fare un breve ragionamento sulla relazione che esiste tra materiali del progetto e innovazione sociale e, più precisamente, affronterò un tema attuale, ovvero il design dei sistemi produttivi locali quale variabile al progetto, focalizzando nell’approccio sistemico l’elemento immateriale ‘condizionante’ il nostro ragionamento.
Ma andiamo per ordine. Oggi intravediamo le nostre città come una rete di luoghi ‘interconnessi’ dove si annodano relazioni tra locale/globale e globale/locale. Se poniamo la nostra attenzione sul fatto che oggi è possibile essere raggiunti in qualsiasi posto, che a sua volta è individuabile da qualsiasi oggetto in rete, ci rendiamo conto della
vastità delle informazioni che è possibile recepire partendo da un unico elemento: tutto questo apre nuovi scenari, ci sollecita ad andare oltre l’oggetto in se stesso.
In particolare, la crescente richiesta di ambienti flessibili e adattabili a forme e usi differenti rispecchia le caratteristiche dei mutamenti sociali in atto, e stimola i progettisti a misurarsi con questioni necessarie per la loro realizzazione; l’uso di tecnologie più avanzate, la maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale e la sensibilizzazione dell’utenza nei confronti di queste tematiche al fine di promuovere ancor più la loro diffusione.

Visioni che servono per puntualizzare una dimensione globale, perchè tutti i luoghi che ci circondano sono connessi e attraversati dal flusso dell’informazione. Ma questi non potranno mai perdere quella dimensione locale in quanto luoghi dotati di una propria identità, di un proprio sistema produttivo e di un servizio riconoscibile.
Nelle nostre città, vere e proprie comunità si stanno riappropriando di questi luoghi. Vi è sempre più una consapevolezza sul valore degli spazi pubblici che da ‘terra di nessuno’ si stanno trasformando nei luoghi dell’operoso vicinato. Luoghi per il tempo libero, per l’ozio, luoghi da indagare con le nostre ricerche, con i nostri progetti. Ciò, a sua
volta, implica progetti capaci di definire sistemi di connessione globale/ locale che siano di supporto a forme di organizzazione, a sistemi produttivi e di servizio basati sul principio di sussidiarietà.
Da questa visione sistemica d’insieme si delineano opportunità d’azione alle diverse scale del progetto che, ad esempio, intravedono nel design dei sistemi produttivi locali quel ‘dinamismo’ che lega il sistema prodotto ad una strategia comunicativa, una novità distributiva ad un servizio misurato.
Risposte non solo funzionali ma che arricchiscono tutti i materiali del progetto. Uno sguardo a tutto tondo che lega misura, spazio, movimento e vita.

Luoghi del design2

Se parliamo di design dei sistemi produttivi locali non possiamo non evidenziare i rimandi e le connessioni racchiuse in un sistema di forme legato all’approccio sistemico del progetto. Uno sguardo consapevole del nostro tempo, dove si stabiliscono forti relazioni tra le azioni come il muoversi, il mangiare, l’abitare e le interazioni tra persone, cose e ambienti.3
Anche se le lavatrici, i cruscotti delle auto, le lampade interagiscono con il fruitore da poco tempo, possiamo comunque affermare che l’interazione è una volontà progettuale ricercata da sempre. Interazione con le cose significa avere in mente la relazione che abbiamo imparato da Einstein nel calcolo del rapporto tra velocità e tempo.
Significa rileggere le cose secondo uno spazio a quattro dimensioni, tre sono le coordinate spaziali e l’altra è quella temporale, dove, appunto, il tempo si evolve in un’unica direzione.
In altre parole significa possedere un sistema-oggetto che indipendentemente dall’uso, dalla misura, dalle mode rimane in vita incurante del tempo.
Da sempre il design è portatore di valori nuovi, guarda gli oggetti come sistemi e non come oggetti specifici. Tutto questo significa che il design dei sistemi produttivi locali si esprime come rapporto tra service design e design delle cose. E noi come progettisti dobbiamo dare sfogo a questa sensibilità e saper cogliere i diversi significati e le diverse esigenze per dare risposte puntuali ai bisogni della nostra comunità.
Ecco allora che dovremmo guardare il valore e la cultura del design come leva per lo sviluppo e non solo come ideatore di beni di consumo e di oggetti.
Concordare sulla scelta dell’approccio sistemico significa poter pensare alle parti delle città attraverso strumenti scientifici capaci di elaborare modelli e linee guida, ad esempio, per scardinare il paradigma della sostenibilità dal piano puramente retorico.
Intervenire negli spazi della città significa concepirne l’uso pubblico.
Non basta dichiarare di essere contrari a recinti e muri che impediscono la continuità.
Forse sono proprio i muri a segnare la diversità di diritti e rendere diseguale e insicura la città? Oppure è colpa del dislivello del suolo che non garantisce una mobilità sicura ai diversamente abili?
Progettare significa anticipare occasioni, prevedere, organizzare le linee essenziali di un percorso da fare, elaborare un piano d’azione sostenibile, porsi degl
i obiettivi e dei risultati da perseguire e dei mezzi da utilizzare, per dare risposte ad una comunità che interagisce con una quantità molto ampia di servizi. La vita di ognuno di noi è ‘progetto’.
Ma in qualche modo abbiamo perso le tracce, non siamo più consapevoli che il progetto è un’opera aperta: è fatto di desideri che diventano costrutto, di investimenti, di intenzioni che oscillano e si organizzano. Il progetto non è soltanto la risposta ad un bisogno funzionale.

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Strategie e innovazione sociale
Da un’idea di sviluppo sostenibile che coincideva con il solo miglioramento ambientale, oggi si è passati a una concezione che comprende ogni tipo di attività, consumi e comportamenti all’interno di un sistema più ampio di quello produttivo. Le relazioni con le questioni del progetto e il futuro che dobbiamo vivere danno la misura sul bisogno
di creare nuove strategie d’azione e di relazione.
Dobbiamo riprendere ad agire per dare risposte significative alle nostre comunità di riferimento, lavorando a domande legate a visioni condivise per dare forza ad istanze che si relazionano al nostro vivere quotidiano. Allora cosa significa che il futuro è innovazione?
Quando osserviamo e progettiamo qualcosa operiamo una selezione del sapere, cioè troviamo uno strato di informazioni in cui riconosciamo qualcosa di simile, che abbiamo già visto. Dobbiamo quindi arricchire la nostra conoscenza, il nostro saper vedere per produrre innovazione, di qualsiasi genere, linguistica, estetica, funzionale, commerciale, comunicativa, promozionale. Ad esempio gli orti che ho attraversato giocando da bambino forse hanno influenzato il progetto di un servizio offerto per comunità sensibili.4
Nel progetto di concorso, realizzato per la città di Castelvetrano, in un’area nord occidentale, in un contesto urbano che dal punto di vista edilizio è contraddistinto da lottizzazioni residenziali in cui gli spazi edificati soddisfano solamente il bisogno di abitare, escludendo la possibilità di svolgere qualunque attività sociale abbiamo pensato in risposta
al particolare tema progettuale (cittadella di servizi da realizzare in un terreno confiscato alla mafia) di realizzare un asse ordinatore tra gli edifici e l’ambiente circostante.
La strategia di riordino stabilisce nuove relazioni con il preesistente attraverso una sequenza di spazi che costituisce l’elemento portante dell’intero complesso, rafforzando la nuova funzione pubblica, che tiene conto delle esigenze adatte ad una realtà che cambia in un paesaggio da sempre strutturato.
La sede degli uffici comunali, disposti parallelamente e in posizione baricentrica lungo la direzione nord sud, delimita attraverso la differenza di quota, un filo continuo tra costruito e il parco degli ulivi, tra abitazioni e servizio offerto. Si tratta di un organismo che si articola secondo un impianto planimetrico a ferro di cavallo innestato da un corpo di fabbrica volutamente bianco. Così mentre il piano inferiore della costruzione organizza e definisce una vasta area, un volume lineare riconducibile ad un parallelepipedo (12.50 x 40.00) emerge dal basamento, connotando e al contempo concludendo la sequenza delle parti che scandiscono il profilo dell’edificato esistente.
La richiesta di ambienti flessibili e adattabili a forma e usi differenti hanno stimolato alcune scelte progettuali, legate ad una maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale che nella ‘cultura del costruire’ implica sensibilità nei confronti dell’innovazione in termini di comfort e qualità, sia nell’uso di materiali appropriati sia in tecnologie improntate al risparmio energetico dove due bucature realizzate sul lato corto che fronteggia il parco definiscono un sistema di ventilazione naturale.
Il rispetto dei caratteri urbani, il valore degli spazi, la loro successione gerarchica e le connessioni tra le parti, sono gli elementi che hanno guidato la definizione del progetto costruito.
L’obiettivo è stato quello di offrire spazi misurati per trasformare la casualità dei volumi già edificati in un insieme urbano in cui il desiderio di abitare non sia in contrasto con l’armonia e la vita collettiva.
Ma le nostre architetture si adeguano alle forme di vita quotidiana?
Sono flessibili, reversibili anche dal punto di vista ambientale?
Rispondere a questi quesiti significa anche pensare a nuove tipologie di servizi che in esse operano. Vere e proprie piattaforme di sostegno in grado di offrire luoghi in cui le prestazioni d’opera saranno sempre più curate e materialmente accessibili.
Ma alla domanda relativa tra il futuro e l’innovazione non è semplice dare una risposta: non solo perché nessuno può sapere come andranno le cose, ma anche perché bisogna generare nuove idee capaci di spaccare questo meccanismo, cioè proporre una riduzione dei consumi di risorse che non si configuri come una catastrofe economica.
Occorre pensare a nuovi ambiti dove i sistemi produttivi non vivano soltanto di produzione e vendita, ma devono contare sui risultati legati al servizio offerto: non più auto, ma mobilità; non più semplici lavatrici, ma pulitura e manutenzione degli abiti; non più semplicemente ristorante, ma atelier alimentare con inclusa vendita di prodotti
biologici.
Ad esempio oggi molte aziende offrono prodotti legati al servizio ampliando l’offerta-prodotto riducendone i consumi materiali. L’interesse economico, infatti, non è solo il risultato dei prodotti immateriali, ma pure, e soprattutto, diventa quello di ridurre i fattori di costo (e tra questi i costi delle risorse ambientali) nella gestione. Una scommessa che non possiamo permetterci di perdere. Dobbiamo imparare a vivere bene per sostenere un nuovo modello economico e produttivo.
Abbiamo l’obbligo di facilitare un processo sociale di apprendimento in cui siamo immersi per aumentare il nostro grado di socialità.

Uffici comunali di Castelvetrano, Trapani

Oltre le cose?
All’interno del contesto urbano sono presenti, oltre le strade che orientano e delimitano i percorsi carrabili e pedonali, gli edifici. Questi, a loro volta, presentano entrate ed uscite. L’insieme di edifici e strade compongono lo spazio urbano e dipende dal progettista agevolarne le relazioni.
Considerare l’assetto fisico degli spazi urbani della città, dove tutto è artificio, significa capire la fisicità del suolo e del suo andamento. In certe circostanze il progettista accentua questo andamento per continuità.
Il suolo non è mai piano, ha delle inclinazioni da raccordare per facilitare gli ingressi e le soglie relazionali.
Ma come sono risolti i raccordi al suolo? Questo ha una propria materialità, un colore che unifica la superficie e forma un sistema di parti, dove l’elemento soglia può rompere questa unitarietà, non solo funzionale, dei pavimenti. Le connessioni tra suolo e architettura sono razionali e logiche, dove luce e ombra fanno parte dello stesso progetto.
Ma se i raccordi riguardano la morfologia, le connessioni riguardano il movimento delle persone. Ed allora gli allineamenti, ossia i tracciati che individuano i confini di cui lo spazio urbano è pieno, non possono
essere solo calcolati, bisogna capirne il tipo di tracciato, la sua potenzialità, per mettere insieme la linea di gronda con la linea di terra.
Nel progetto la fisicità del suolo si fa carico della morfologia del luogo; le quote, la superficie del paramento, fanno parte della forma e quindi dello spazio restituito.
Ma qual è l’organizzazione del suolo?
Di sicuro la decide il progettista. Egli taglia la forma dello spazio che progetta direttamente sul suolo.
Semplificando molto comprendiamo che bisogna guardare sia ai valori materiali che a quelli immateriali.
Ma quali sono gli occhi per vedere? Quali sono gli occhi del progettista? Cosa guardare nel mondo? Vedere lo spazio ricco di cose come la natura o guardare le forme pure? Occhi per vedere le forme dello spazio; tutto ciò che osserviamo ha una forma e la sua geometria ci riporta dentro il mondo delle funzioni e della fluidità dei sistemi di riferimento.
Le forme dello spazio sono sistemi che si relazionano e noi dobbiamo essere in grado di descriverne con semplicità la complessità relativa, trovandone le soluzioni. Riconoscere la direzione verso un percorso più ampio nel progetto significa ricercare la soluzione per descrivere la forma di un bisogno e per ragionarci attorno. Noi progettiamo, quindi sintetizziamo, facendo delle scelte.
Noi, dopo tutto, possiamo far vivere le cose solo trasformandole, dobbiamo pertanto liberarle dalla loro stretta funzionalità attraverso una vera e propria trasfigurazione in grado di coinvolgere anche il contesto in cui sono collocate.
Non possiamo pensare di progettare la nostra quotidianità senza chiamare in causa i materiali del progetto e quindi il design del servizio offerto. Ogni giorno siamo nel ‘luogo’ grazie al fatto che è riconoscibile, a volte unico, eppure siamo in rete, nel globale. Quando entriamo in un supermercato ci ritroviamo in un non-luogo, ma è lì che in realtà quando compriamo qualcosa a Km 0,5 perdiamo la sensazione di spaesamento e ritroviamo la dimensione locale. Non è più pensabile costruire un museo senza pensare alla sua collezione e al servizio book shop; un cinema senza capire che si è lì anche per consumare i pop-corn e le patatine. È inutile inventare sale in cui l’acustica è perfetta, ma in cui il secondo tempo del film è disturbato dallo scricchiolio della carte delle patatine.
Quindi dobbiamo ritrovare nel design dei sistemi produttivi locali quelle variabili utili a formulare nuovi materiali del progetto dove il progettista/ regista deve interagire con altre discipline in un ottica comune a seconda de Le occasioni del progetto.6

SG
Università di Palermo

1. Sede degli Uffici comunali di Castelvetrano
Località: Italia, Sicilia – Trapani – Castelvetrano c/da Giallonghi Committente: Comune di Castelvetrano (TP)
Progetto e direzione lavori: Santo Giunta, Orazio La Monaca, Leonardo Tilotta, Simone Titone
RUP: Giuseppe Taddeo
Impresa: Ingegneria e costruzioni Srl, Messina
Concorso: 2001
Progetto: dicembre 2003
Inizio lavori: gennaio 2005
Fine lavori: dicembre 2007
Apertura al pubblico: Luglio 2008
2. Scrive Flusser, «… in epoca contemporanea design indica grosso modo il luogo in cui arte e tecnica vengono di comune accordo a coincidere (e insieme a esse le loro rispettive modalità scientifiche e critiche) spianando la strada a una nuova forma di cultura.
Per quando questa possa essere una buona spiegazione, tuttavia non è sufficiente».
Cfr. Vilém Flusser, Filosofia del design, Bruno Mondatori, Milano 2003, pp. 3-6.
3. Ezio Manzini, Il design in un mondo fluido, in H. Höger (a cura di), Design education, Editrice Abitare Segesta, Milano 2006, pp. 150-155.
4. Progetto presentato al Padiglione Italiano della 10a Biennale di Architettura di Venezia nel 2006, curatore Franco Purini.
Cfr. Santo Giunta, Gli orti dell’ozio creativo, in Purini F., Marzot N., Sacchi L. (a cura di), La città nuova, italia-y-26, invito a Vema, Editrice Compositori, Bologna, 2006.
5. Si veda la rete di locali a chilometri zero che offrono prodotti del territorio che non devono percorrere lunghe distanze prima di giungere in tavola, anche sul territorio nazionale le principali catene commerciali si stanno impegnando a segnalare in etichetta le emissioni di gas ad effetto serra provocate dal trasporto dei cibi in vendita che danneggiano
il clima.
6. Titolo della monografia scritta da Pasquale Culotta e Bibi Leone, con la prefazione di Vittorio Gregotti.

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