Democrazia urbana

Democrazia urbana per la qualità architettonica

Il CNAPPC, e Lei personalmente quale Presidente, avete preso l’impegno per il miglioramento della qualità dell’architettura diffusa, in particolare dall’incontro di Assisi del 1998. Quali risultati avete ottenuto?

Intervista a cura di: Leonardo Servadio
Servizio dell’architetto: Caterina Parrello

Quel congresso di Assisi era incentrato sullo slogan: “Mille concorsi all’anno in Francia e in Germania, poche decine in Italia”; era una denuncia e la dichiarazione di una ferma intenzione. Rilanciare la qualità architettonica avrebbe dovuto passare per lo strumento del concorso, l’unico capace di garantire una vasta partecipazione e un libero confronto di idee. Il nostro grido di allarme originava dalla visione di ciò che chiamammo “architettura italiana interrotta”: dopo 2500 anni di magnifici sviluppi, nell’ultimo mezzo secolo la massiccia edificazione delle periferie urbane, e l’impulso speculativo che la accompagnava, aveva portato 1) a costruire più di quanto non sia mai stato fatto in passato e 2) a farlo senza il dovuto rispetto per la qualità architettonica e per l’impatto ambientale e paesaggistico.

Da lì è partita una mobilitazione per ritrovare la qualità architettonica nelle città, ed è stato impostata la ricerca di un coordinamento a livello europeo, attraverso il “Forum Europeo per le politiche architettoniche”. A che cosa ha portato tutto questo? Al fatto che lo strumento del concorso sta finalmente entrando nella mentalità corrente per l’attribuzione dei lavori pubblici. E che questa situazione è stata, almeno in gran parte, ratificata nell’ultima versione del Codice degli Appalti. La valorizzazione del concorso di progettazione è uno strumento preliminare per la effettiva attuazione della democrazia urbana. A questo proposito, il Codice degli Appalti richiede un approfondimento su scala urbanistica dell’impatto del progetto, così da armonizzare la catena di pianificazione in tutti i suoi momenti.In sunto, si tratta di avere una chiara prescienza dell’impatto che il nuovo oggetto architettonico avrà sull’ambiente così da modularne l’impatto in relazione non solo alla funzione del nuovo edificio, ma anche in relazione al suo aspetto estetico, alla sua capacità di inserirsi nel contesto, a quel “di più” che può apportare nell’intorno urbano.
Arch. Raffaele Sirica,
Presidente Consiglio
Nazionale Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori (CNAPPC)

In Francia lo stesso principio è attuato tramite il “documento preliminare”. Prima di definire un progetto, questo è valutato in funzione all’effetto che avrà nel contesto. Per esempio, il noto caso del Grand Arche: questo è stato concepito nel contesto di una visione di assieme della città, per fare da contrappunto all’Arco di Trionfo e raccordarsi idealmente a questo. Alla valutazione preliminare inserita nel Codice degli Appalti spetta di formulare una chiara visione dell’impatto del progetto. La preoccupazione per la conservazione e valorizzazione del paesaggio urbano o rurale, e per l’importanza della qualità dell’architettura, ha trovato riscontro nel congresso successivo, che si svolse a Torino nel 1999. Qui l’impulso per una migliore qualità architettonica si tradusse anche nell’impegno dell’allora ministro dei Beni Culturali, Giovanna Melandri, per un disegno di legge “per la promozione della cultura architettonica e urbanistica”. Questo impegno si è tradotto successivamente anche nella “Risoluzione sulla Qualità architettonica dell’Ambiente urbano e rurale” del 2001 e quindi nel disegno di legge approvato due volte dal Consiglio dei Ministri, nel 2003 e nel 2004, sulla “Qualità architettonica”. Purtroppo tale disegno di legge non ha concluso il proprio iter entro la scadenza della legislatura; tuttavia alcuni suoi aspetti qualificanti, come quelli su menzionati, sono confluiti nel nuovo Codice degli Appalti. E quando nel 2004 abbiamo svolto il Congresso Nazionale degli Architetti a Bari, lo slogan è stato “Dai cento degli anni novanta ai mille concorsi di oggi, mille nuove architetture: cambia l’Italia”. Nello spazio del congresso erano visibili le immagini dei moltissimi progetti emersi come conseguenza di concorsi, segno che una nuova mentalità si sta affermando con forza.


Quali sono stati i principali ostacoli che avete incontrato o che incontrate ora?
Ancora non siamo riusciti a far approvare la legge sulla qualità dell’architettura. Durante la reggenza del Ministro Urbani, siamo andati vicini al raggiungimento di questo obiettivo, ma sono mancati i fondi (poche decine di milioni di euro) per attivare il sistema dei concorsi a livello comunale. Oggi ancora ci battiamo perché lo strumento del concorso si affermi in modo definitivo per quel che riguarda le amministrazioni pubbliche, e perché si diffonda anche tra i privati. Se in un concorso per un edificio nuovo la giuria include un rappresentante della Soprintendenza, uno del ministero delle Opere pubbliche e…. questa diventa un specie di “Conferenza dei servizi”, il che accelera ipso facto le possibilità di realizzare il
progetto. Al Congresso di Palermo del 2007, il tema sarà “Democrazia urbana per la qualità” e il nostro obiettivo sarà di consolidare una collaborazione con gli amministratori urbani. Il Sindaco di Firenze Leonardo Dominici, che è anche presidente dell’Anci, ha mostrato apprezzamento per il nostro intento. Nel convegno sarà distribuito un “Manuale pratico” che indica il percorso ottimale per l’attuazione dei concorsi per selezionare i progetti migliori per la città: in pratica per seguire con agilità l’iter burocratico necessario e rendere facile l’attuazione della logica dei concorsi.


Recentemente molti Ordini professionali si sono trovati in disaccordo col decreto Bersani…
Il decreto Bersani, riguardante la liberalizzazione delle professioni, contraddice il Codice degli Appalti e il programma elettorale dell’Unione sul punto delle tariffe minime. Le tariffe minime sono necessarie proprio per salvaguardare la qualità del progetto: una corsa al ribasso può allontanare progettisti di qualità dal competere per l’assegnazione di opere pubbliche, e favorisce le grandi società rispetto agli studi professionali. In pratica, comporta il rischio dell’emarginazione del professionista.

Ma in Italia vi sono oltre 120 mila architetti. Non sono troppi?
Il numero è senza dubbio molto elevato: ci sono più architetti in Italia che negli Usa, dove la popolazione è oltre quattro volte quella del nostro Paese. Ma il grande numero può essere visto come una risorsa a fronte del problema fondamentale del nostro Paese, quello di portare avanti la rivoluzione sulla qualità architettonica, in tutti i settori, “dal cucchiaio al grattacielo” come si suol dire. Il lascito degli ultimi 50 anni di architetture massificate e deturpanti costituisce un terreno su cui oggi la creatività degli architetti dovrebbe misurarsi, al fine di ripensare il panorama urbano ed extraurbano. Per paragone, si pensi che in Francia sono stati ristrutturati o ricostruiti migliaia di alloggi grazie al piano che il presidente Mitterrand lanciò per la riqualificazione delle banlieu: le periferie urbane. A questo si aggiunga che in un Paese a rischio sismico qual è il nostro, la sicurezza degli edifici va rivista con attenzione. Senza contare le crescenti necessità di interventi di restauro o di ristrutturazione di edifici esistenti per semplici motivi di vetustà. Insomma, occorre guardare al gran numero di architetti come a una risorsa che dovrebbe essere messa in campo in modo efficace.

Dove ritiene che vi sia la quantità maggiore di scempi sui quali intervenire con progetti di riqualificazione urbana: sulle coste, in montagna…

L’Italia è il paese delle tante culture e della varietà della natura. Ha il grande vantaggio di essere un territorio proteso nel mare, con un panorama variato. Anche le architetture rispecchiano questa diversità di culture e di condizioni naturali. Occorre mettere in campo la tecnologia più avanzata per risolvere i notevoli problemi ecologici che premono sul territorio. Il principio dev’essere – ma qui parlo non come Presidente del CNAPPC, bensì esprimendo la mia opinione personale di architetto – di rispettare le caratteristiche del luogo, ed esaltarle il più possibile. L’architettura non è come un’automobile, che dovunque vada resta uguale a se stessa. È come un albero, che ha le radici in un luogo preciso e cresce in un certo modo nel contesto dato, mentre magari altrove non cresce affatto.

Data l’abbondanza di scempi architettonici, si può parlare oggi dell’architettura del togliere piuttosto che del riempire?
L’abusivismo, i rigurgiti delle periferie, le edificazioni selvagge in particolare degli anni ’50 e ’60, certamene richiedono un radicale ripensamento E poi vi deve essere una politica specifica per gli spazi vuoti, che vanno riqualificati; per esempio le piazze delle città. In Spagna molto è stato fatto in questa direzione, e molto dovremo fare anche noi.

Vi sono infrastrutture che spesso deturpano: penso al proliferare di impianti di risalita in montagna che, fuori stagione, restano come ferite nei monti.

La situazione italiana è molto particolare. Abbiamo la corona alpina più bella del continente. Il paesaggio va salvaguardato facendo prevalere l’aspetto estetico, definito dall’armonia che deve instaurarsi tra natura e costruito, rispetto al semplice aspetto funzionale. In Italia vi sono molte aree di rilievo ambientale, aree a parco governate da una visione d’insieme nel rispetto della bellezza del patrimonio paesistico e del patrimonio architettonico. È fondamentale la capacità dell’architetto di comprendere unitariamente tutti gli aspetti di un territorio al fine di esaltarne l’armonia dell’assieme.

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