Riqualificazione della scena urbana e recupero della memoria

Riqualificazione della scena urbana e recupero della memoria

Il 27 gennaio, in Verona si è svolto il convegno organizzato dalla Diocesi mediante l’Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici e sponsorizzato dall’Ente Porfido del Trentino su Il sagrato e la Piazza. La riqualificazione della scena urbana e il recupero della memoria storica, in collaborazione con la rivista CHIESA OGGI architettura e comunicazione.

Una riflessione itinerante
Correva il 18 marzo 2005, quando nell’aula vasariana dei Cento giorni al Palazzo della Cancelleria Apostolica in Roma si è ufficialmente concluso, con la consegna del Tangram per l’Architettura, il Primo Premio Nazionale di Idee di Architettura I Sagrati d’Italia organizzato dal Consiglio Nazionale degli Architetti in collaborazione con Di Baio Editore, tramite la rivista CHIESA OGGI architettura e comunicazione. Un’iniziativa insolita e pionieristica finalizzata a suscitare l’interesse degli architetti e della collettività sull’urgenza di una riqualificazione urbanistica tipologicamente differenziata dai bisogni e dai valori. Si tratta di una prima sperimentazione in termini telematici e con riscontro editoriale che vuole aprire la strada ad altri progetti capaci di interessare istituzioni diverse e di attivare ideazioni interdisciplinari. Si tratta di una iniziativa in progress atta a coinvolgere in modo differenziato istituzioni civili, come ad esempio il CNA, unitamente ad istituzioni ecclesiastiche, quali la Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e l’Ufficio Nazionale per i Beni
Culturali Ecclesiastici della CEI. A questi si dovranno aggiungere imprese, mediate al momento dall’Ente Porfido del Trentino, ed enti di ricerca accademica, che sono stati diversamente coinvolti nelle rubriche di CHIESA OGGI architettura e comunicazione e nei convegni di divulgazione. Si tratta cioè di ritessere un «normale» sistema di sinergie sorretto dalla passione creativa, da interessi sociali, da rapporti interpersonali, da valori umanistici, senza eludere l’economia
reale e lo sviluppo sostenibile. Attualmente sono già stati attivati incontri per la risonanza del progetto: uno a Milano, un altro a Verona ed un prossimo a Novara. Questo al fine di sensibilizzare capillarmente, tanto gli artefici del settore
quanto i fruitori delle opere.

Nelle foto, tra gli intervenuti al convegno: Stefano Tomasi, Pier Paolo Zanetti, Carlo Chenis,Tiziano Brusco,
Giuseppe Maria Jonghi Lavarini, Renzo Odorizzi, Marcello Balzani, Francesca Tamellini, Carlo Malaspina, Mario Angheben, Arnaldo Toffali, Mario Zocca, Gianna Gaudini. Nella foto qui sotto, Giuseppe Maria Jonghi Lavarini con Arrigo Rudi che mostra l’anello appartenuto al grande architetto, Carlo Scarpa.

Il contesto avvincente
Il Convegno di Verona si è svolto nell’avvincente contesto della manieristica Sala dei Vescovi sita nel Palazzo del Vescovado. Luogo emblematico laddove le architetture in trompe-l’oeil cagionano l’effetto di loggia aperta sul territorio. Nel loggiato alto è poi l’avvolgente teoria dei vescovi veronesi a sacralizzare l’area che si fa piazza di convegno.
Emblematica è stata altresì la riflessione, poiché condotta in modo interdisciplinare tra responsabili della Chiesa, dello Stato, dell’impresa, dell’università. Emblematica anche la risonanza sulla città, tanto da rendere insufficienti gli ampi spazi dell’Episcopio. Dopo l’introduzione del Vicario Generale, Don Tiziano Brusco, responsabile diocesano dei beni culturali, ha moderato i lavori. Si sono così attivate empatie interpersonali e sinergie istituzionali, quale collante per ritessere un sistema di normalità socioeconomica. Tale incontro in diaspora sul territorio è servito per coinvolgere imprese, condividere problematiche, avviare ricerche, innescare amicizie.

La ricerca della «polis»
Dal momento che l’impostazione urbanistica costituisce un’agenzia educativa di primaria importanza nel configurare l’immaginario individuale e collettivo, occorre dare qualità alla polis secondo uno specifico programma capace di evidenziare la civiltà italica nell’era della multietnicità.Va dunque superata l’«entropia urbana», puramente funzionale
ad urgenze materiali e individuali, per riprendere una «democrazia urbanistica», ordinata ad interessi umanistici e collettivi. Questa deve impostarsi su un piano «economico » atto a ricodificare il «limite». Occorre perciò riscoprire il senso del «limite», nella sua accezione architettonica e metafisica. Il «limite» caratterizza la dimensione creaturale, in quanto rappresenta le condizioni entro cui operare, tanto dal punto di vista materiale, quanto da quello spirituale. Si tratta di una categoria spaziale a cui se ne analoga una antropologica, poiché gli esseri contingenti operano in condizioni limitate sotto tutti i punti di vista. Dal momento che quanto proviene all’intelletto passa attraverso i sensi, l’esperienza del limite fisico si riflette nell’interiorità personale, per cui tale termine connota ogni finitudine, sia fisica, sia razionale. In questo contesto di «limite» vanno esplorate le possibilità per utilizzare al meglio l’ambiente naturale
e le risorse umane, onde avviare un sistema «economico ». Questo termine deve essere però inteso nel suo assunto originale di «congrua amministrazione della casa». Si tratta di realizzare un habitat a misura di individuo e di collettività, entro i parametri di una «democrazia urbanistica» regolata su valori condivisibili. L’etimo stesso di «democrazia» riporta
al «villaggio» costruito e gestito secondo un ordinamento che permette ai membri pari dignità nella diversità dei ruoli istituzionali e nella configurazione delle finalità intrinseche.

Il villaggio particolare
In una «democrazia urbanistica» il paradigma del «villaggio particolare» conduce a formulare la qualità del «villaggio globale», dove le differenze date dalle «parti» generano la ricchezza del «tutto». Il sistema architettonico diventa dunque il riscontro sensibile di quello antropologico, per cui sedimenta precomprensioni ideologiche e differenze congiunturali. Tali aspetti descrivono le potenzialità del «limite », entro cui il gruppo cresce sviluppando in modo
sostenibile la creatività spirituale oltre il soddisfacimento biologico. Il processo associativo trova riscontro nella componente architettonica e assume rilevanza in quella urbanistica, attraverso cui si evince l’evoluzione della collettività finalizzata a trasformare il paradigma del caos in quello del cosmo, così da configurare un consolidato architettonico ad immagine antropologica. L’uomo è «animale culturale», in quanto esterna la sua essenza razionale mettendo in ordine il vissuto contingente. Per questo «s’aggira» nel costruire il villaggio fino ad ordinare il sistema abitativo al luogo sacrale, avviando nel sistema culturale la dimensione cultuale. Del resto, i due termini rivendicano la medesima radice indoeuropea «kwel-» che significa «girare attorno» per ordinare, per delimitare, per separare, sacralizzando tanto l’area abitativa quanto quella religiosa. Lo dimostrano i «riti liminari» presenti nelle civiltà antiche e nella liturgia cristiana. Essi riscontrano gli archetipi esistenziali, la cui comprensione diventa importante per determinare i processi umanistici. Da
qui emerge il senso del sagrato, quasi a complemento urbanistico e umanistico della piazza.

La specificazione cultuale
Nella ridefinizione dello spazio architettonico urbano si devono garantire socialità e religiosità, rispettando gli individui nei loro bisogni contingenti e trascendenti. In proposito, già Demostene ammoniva dicendo: «Guai a quella città che non ha il tempio!». Vanno pertanto configurate nuove strategie per riappropriarsi della polis nel senso sociale e politico del
termine. Nella fattispecie occorre stimolare la ricerca architettonica e sensibilizzare l’opinione pubblica. La riqualificazione del sagrato, ovvero dell’area di rispetto dinanzi al luogo di culto, attiva il superamento dell’«entropia abitativa», in un aspetto di primaria importanza per la cultura europea. A questa si coniuga la riqualificazione della piazza come luogo
di relazioni interpersonali: spontanee e istituzionali, ludiche e impegnate.

Una progettazione «carismatica»
Per ridare «presenza carismatica» al sagrato all’insegna del nova et vetera, occorre un’investigazione ponderata su più fronti.Va premesso lo studio tanto del monumento quanto dell’intorno, così da enfatizzare la destinazione dell’edificio religioso attraverso un sagrato fruibile, correlato con il sistema urbano. Questo al fine di compaginare uno spazio differenziato ed integrato.Va rievidenziata con il sagrato la componente sacrale, sia nel significato naturale, sia in
quello soprannaturale. Questo al fine di ridefinire la sacralità della polis tanto nei valori della collettività quanto nell’apertura al divino. Va riscoperta la pregnanza sociale del sagrato per la condivisione abituale tra i membri della collettività. Questo al fine di recuperare il senso di appartenenza al territorio nel vissuto quotidiano e nel confronto
religioso. Va riconsegnato all’edificio cultuale il connaturale spazio del sagrato in cui coniugare sacramentalmente l’azione liturgica al vissuto civile. Questo al fine di valorizzare i riti liminari di accoglienza e di congedo. Va evitato un uso incongruo del sagrato, progettando soluzioni per ovviare alle problematiche di circolazione e di stazionamento, senza nuocere alla destinazione religiosa. Questo al fine di risolvere le problematiche urbanistiche e di rispettare le pertinenze religiose.Va ribadita la vitalità della civitas christiana europea, valorizzando mediante il sagrato le vestigia ecclesiastiche, tanto antiche quanto moderne. Questo al fine di configurare una cultura «glob-local» dove la memoria territoriale si colloca nel vissuto urbano per una valorizzazione universale delle differenze tipologiche. Quanto posto in essere dal CNA e dalla rivista CHIESA OGGI architettura e comunicazione è dunque il primo passo di una strategia di sensibilizzazione controtendenza. La sfida induce a non fermarsi proseguendo con altri passi affinché il «villaggio globale » non escluda la vivibilità del «villaggio particolare », laddove piazze e sagrati sono luoghi umanizzanti in misura del «marchio Italia».

Rev. Prof. Carlo Chenis, SDB

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