Prof. Arch. Renato Laganà

Prof. Arch. Renato Laganà Presidente, Commissione Arte Sacra, Diocesi di Reggio Calabria
Carissimo Direttore, in risposta alla Tua lettera del 27 Luglio 2001, Ti invio i miei giudizi sintetici che riguardano le chiese che ritengo meritevoli di menzione riguardo alla creatività progettuale ed alla rigorosità rispetto alle esigenze del servizio liturgico. Le chiese che segnalo, nell’ordine, sono: La chiesa della Croce di Alvar Aalto in Finlandia; Il Nuovo Santuario del Divino Amore di Costantino Ruggeri e Luigi Leoni a Roma; La chiesa di S. Massimiliano Kolbe di Justus Dahinden a Varese.
La Chiesa della Croce di Alvar Aalto in Finlandia.
Quell’alto campanile che domina l’impianto poligonale dialogando con lo spazio circostante e con la collina opposta, al cui culmine trovasi il Palazzo di città di Eliel Saarinen, supera gli esili alberi del piccolo bosco che circonda quella che è per me una tra le più suggestive opere di culto dell’architettura moderna. Le cime degli alberi, mosse dal vento del Nord, mitigano la luce nell’aula attraverso finestre sfrangiate verso la copertura inclinata. La luce si riflette sulla parabola che si tende verso l’esterno dalle travi perimetrali, donando una luminosità che invita al raccoglimento. Chi si poggia in preghiera negli austeri banchi lignei dei due livelli porta il suo sguardo verso la Croce che domina sulla parete di fondo del presbiterio, e verso il luogo della Parola. Ho ascoltato le note di un solenne organo e gli accordi di strumenti musicali pronti per un concerto ed ho apprezzato l’acustica perfetta dello spazio architettonico. Nel buio della notte quelle cinquantadue aperture vetrate (tante quante le domeniche di un anno solare) si accendono nella composta facciata di mattoni grigio-rossastri e dilatano lo spazio sacro verso la sottostante piazza del Mercato segnando una indelebile emozione per chi attraversa il centro urbano.
Il nuovo Santuario Madonna del Divino Amore a Roma.
Una preesistenza simbolica, quella dell’antico Santuario, tra mura e torri in un paesaggio di colline ondulate e alberi secolari. Il nuovo santuario, con la sua “voluta” discrezione, si è adagiato nella vallata e si è coperto di un manto di verde, in cui si apre un sinuoso cratere che illumina lo spazio sottostante, e su cui è posta una piccola copertura vetrata. Lo spazio triangolare, definito da grandi pareti vetrate, articolandosi su due livelli, nella parte più elevata ospita un’aula che nel vertice accoglie lo spazio presbiteriale, fuoco visivo di uno spazio organizzato a anfiteatro sotto la grande copertura protesa verso la vallata. Ai margini della “grande tenda”, coperta di verde, le pareti perimetrali di cristallo colorato trasmettono a chi si raccoglie in preghiera il messaggio artistico di padre Costantino, interpretato attraverso pochi simboli e tracce di colore di una intensa spiritualità che porta al Divino. Allo stesso modo il candore dei materiali lapidei degli arredi liturgici e della quinta triangolare rovescia che accoglie la venerata icona, illumina lo spazio presbiteriale riflettendo la luce che proviene dall’alto. In questo spazio architettonico, estremamente grande ed accogliente, il mio colloquio interiore raccoglie l’invito alla preghiera dell’AVE MARIA.
La chiesa di S. Massimiliano Kolbe a Varese.
Sono stato spesso affascinato degli spazi architettonici racchiusi da un involucro circolare. L’immagine del Pantheon e della sua grande cupola ha sempre suscitato in me una grande emozione ed al suo interno il mio sguardo ha sempre inseguito la forma sferica che emula la volta celeste. In questa architettura recente di Justus Dahinden ho rivissuto le stesse emozioni, lasciandomi cogliere dall’abbraccio della parte scoperta che introduce, sotto la volta celeste reale, alla volta dello spazio sacro. Lo spazio interno mi ha accolto e mi ha introdotto allo spazio presbiterale centrale. Da qui, elevando il capo, ho inseguito nella volta ritmata dagli incroci strutturali stellari i raggi di luce che piovono dall’alto, dal lucernaio semicircolare. La grande apertura mi è apparsa leggera, calda nei suoi materiali, spezzata dalla grande superficie vetrata verticale, avvolta dai riflessi argentati della cintura di acqua che la circonda che penetrano dalla successione di basse finestre. Ho affidato la mia preghiera alla luce nel colloquio interiore con il Crocefisso che emerge dal candore di una parete sinuosa.

CACCIA DOMINIONI, LUIGI
Convento a Poschiavo (Svizzera)
Realizz. anni ’70
BENEDETTI, SANDRO
Santuario S. Francesco di Paola, Cosenza
Realizz. 2001
AALTO, ALVAR
Chiesa a Riola di Vergato, Bologna
Realizz. 1976-’94
ANDO, TADAO
Cappella sull’acqua, Tomamu, Hokkaido (Giappone)
Realizz. 1985-’88

Prof. Arch. Sandro Benedetti Docente, Facoltà di Architettura, Università La Sapienza di Roma
A suo tempo avevo sollecitato più attori, impegnati sul tema delle Arti nella cattolicità attuale, a avviare una riflessione selettiva su quanto prodotto in questo ultimo cinquantennio: con particolare attenzione a quanto fatto dopo il Concilio Vaticano II. La recente Mostra della C.E.I. “Segni del 9cento”, una registrazione selezionata, forse è un primo risultato sull’aspetto più generale ARTE/LITURGIA in Italia. Per quanto riguarda l’Architettura ancora a suo tempo, e l’ho ora ristampato in un libro recente del Dipartimento di Storia dell’Architettura di Roma edito da Jaca Book, ho svolto un tentativo di sintesi storico-critica sul vasto panorama del cinquantennio. Ma, allo stato attuale, dopo l’accelerazione realizzativa generata dal Giubileo, le opere dell’ultimo decennio ed i risultati dei 3 Concorsi C.E.I. (nove luoghi, poco meno di cento progetti) la cosa si ripresenta attuale. Anche perché la conoscenza dei progetti C.E.I. non è andata al di là di una corretta presentazione-constatazione-registrazione: ancorché questi progetti documentino un livello formale più alto rispetto allo standard italiano usuale. Ecco, il vero problema, non è solo quello dell’interesse l
inguistico dell’opera, ma la complessità formativa risolta in organicità formale, da cui deve nascere il progetto delle chiese: quello del rapporto ARCHITETTURA-LITURGIA. Per questo forse anche questa iniziativa di segnalazione selettiva di tre architetture significative avrebbe dovuto maturare da parametri di giudizio più direttamente pertinenti alla dimensione architettonica specifica determinata dalla Riforma Liturgica. La quale innovazione si svolge nella doppia articolazione di uno spazio che sappia evocare, creare, far vedere, esaltare, l’EVENTO della Presenza Eucaristica e contemporaneamente sappia costruire uno spazio in cui sia attivabile la partecipazione liturgica. Ma questa participatio, non attivata soltanto fisicamente con disposizione localizzative dell’Assemblea (avvolgenti o simili) intorno all’altare, solleciti una partecipazione totale all’EVENTO sacramentale; per il quale anche lo spazio e le forme architettoniche contribuiscono a far “vedere”. Solleciti cioè un “vedere” ed un “partecipare” coinvolgenti “l’impegno dei sensi”, come aveva detto l’allora Cardinale Montini nella Lettera Pastorale della Quaresima 1958 alla Diocesi. Così una dimensione che non si risolve con la sola impostazione tipologica più o meno aggiornata, o con un sapiente arredo liturgico: ma che implica un rinnovamento della totalità nello spazio. Ma, e qui sta il punto, quando tutto è messo sotto trasformazione, a evitare l’entropia delle tante ipotesi puramente mistiche. Occorre saper utilizzare creativamente la lezione della tradizione. La quale, come ho illustrato varie volte, trova uno stabile asse conformativo in una precisa indicazione. Quello che serve è un insieme tipologico-costruttivo-spaziale in cui, nei modi espressivi più diversi ma organicamente uniti, viva un sistema duale: formato dal complesso rapporto architettonico da instaurare tra lo spazio di gloria (simbolicamente trascendente, espanso sopra l’altare) e di uno spazio di preghiera comunionale (quello della comunità), espanso orizzontalmente. Questo sistema duale, che deve valere come suggestione e modalità archetipico-conformativa (quindi non stilistica, non formalistica) per il nuovo progetto è quello che, detto nel modo più semplice, può essere utile a far nascere un nuovo radicato sulla continuità con quanto dagli antichi in poi è stato fatto. In questo senso anche i criteri per la scelta delle tre segnalazioni avrebbero dovuto essere più nettamente definiti e proposti a parametri di giudizio. Onde evitare che il dilagante criterio formalistico e del gusto personale, crei un risultato di segnalazioni dispersivo. Da questa mia brevissima riflessione (ancorché fatta più per cenni che per articolate riflessioni) deriva la mia indicazione delle tre chiese. Il tre è veramente iugulatorio: dato che fuori d’Italia occorrerebbe per lo meno indicare la Chiesa di S. Maria della Pace a Neviges (Germania) di Gottfried Böhm.
Le tre chiese italiane sono:
– la chiesa di S. Nazaro e Celso a Gorla Minore (Varese) di Enrico Castiglioni;
– la chiesa di S. Massimiliano Kolbe a Varese di J. Dahinden;
– il Santuario di S. Francesco di Paola a Paola del sottoscritto.

Mi scuso dell’autocitazione: ma le tue parole di apprezzamento in questa costruzione, da cui sono partite queste riflessioni, mi hanno dato l’ardire a farlo.

 

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