Poesia in piscina


Il bicchiere mezzo pieno

Un vivido bagliore
di smeraldo si manifesta
dall’interno di una lampada
liberty qualche istante prima
che le pennellate cremisi
del tramonto si impastino
con le torride e sognanti
note di “Summertime”

di Gershwin.

servizio di Tomas Carini

Sete fruscianti scivolano fuori dalle portiere che si aprono e chiudono come ammiccanti battiti di ciglia, mentre il digrignare della ghiaia incanapita rivela il passo fermo di uomini eleganti e cortesi. Più giù si dipana ancora il filo vivo delle carrozze che guadagnano lentamente il fiabesco cancello intessuto di agrifoglio e passiflora, sorprendente e degno completamento del maestoso viale di cipressi. La sera, lambita da un alito odoroso di lavanda, si incastona nel cielo e nell’immaginario dei convitati. L’allegria argentina di sorrisi avorio fa il paio con il biancore del marmo adagiato
in fondo all’incantevole piscina, fulcro curvilineo della rinascita della serata: qui, nel gazebo, i musicisti intonano un fox-trot, un ragtime, più tardi uno swing o un jazz secondo la appercezione del clarinettista Woody Allen; lì, tra gli ulivi , scoppiettano platonici dialogoi mentre là, nella cappella del santuario mariano, taluni si raccolgono in preghiera. È
un’occasione ogni volta unica, espressione dello stile nitido e risoluto del proprietario, il conte Ottavio Racini Leroy de la Croix, che è accompagnato dalla lunare, beneamata e bellissima moglie Amanda.

Uniti, escono raggianti dai loro appartamenti per il piacere ancora rinnovato di accogliere, esprimendo quel senso di appartenenza ad una comunità-gemeinschaft che si realizza nel bene-essere di ognuno. Gli amici amano ricambiati, amano la loro casa, la commensalità delle pietanze e delle uve fermentate, la pineta secolare che si specchia nella fonte sorgiva, omphalos del giardino. E proprio l’acqua della piscina talvolta riporta alla mente episodi vissuti, come ad esempio un divertente bagno inatteso, un bacio voluttuoso alimentato dal suono primordiale delle piccole onde che si frangono, la distensione riconciliatrice di qualche secondo trascorso in apnea, la contemplazione estatica della volta celeste, complice lo sciabordio creato ad arte da Rani, la più romantica delle fate dell’acqua. Out of the blue, il presente riemerge con prepotenza e l’arte prende il sopravvento sui ricordi: infatti, un giovanotto brioso, con fare ispirato, si erge da un muretto e declama versi petrarcheschi in onore della sua bella, che arrossisce abbassando lo sguardo e annuendo. Un altro chiede al maestro un violino e sfida l’amico a singolar tenzone con Il volo del calabrone; si aggiunge una soprano che intona un’aria della Carmen. Ma l’arte condanna i festanti all’oblio di Cronos: ormai è tardi e i primi raggi occhieggiano da dietro la collina. Dopo gli abbracci, il conte fa un cenno e si avvia verso casa: a quel punto Gualtiero, slacciandosi il papillon, invita Fira, la più dotata delle fate della luce, e lascia a lei, com’è tradizione, il compito di riaccompagnare al cospetto di Morfeo, e pronto ad abbandonarsi tra quelle divine braccia, il verde lume che a tutto aveva dato inizio.

 

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