Nella tenuta Portoghesi a Calcata

Un giardino di tendenza

Quando alcuni architetti americani, stanchi del razionalismo di origine mitteleuropea lì arrivato via nave con gli intellettuali che fuggivano da Hitler, ritornarono alla pompa neoclassica di Washington o alle follie di Las Vegas, furono chiamati post-moderni. La parola ebbe fortuna e venne appiccicata a tutte le architetture, blasfeme
rispetto ai canoni del Movimento Moderno, che si richiamavano al passato.

L’architetto Paolo Portoghesi, studioso del Barocco romano e ripropositore di forme ispirate al secentesco
Borromini, non è sfuggito a questo marchio di comodo. Lui ha continuato per la sua strada, lontano dalle mode ma pervicace nella realizzazione dei suoi privatissimi sogni. Ultimo frutto della sua onirica meditazione, in collaborazione con l’architetto Giovanna Massobrio a lui contigua, è questo “giardino segreto” situato all’interno di un parco diffuso che si fa gradualmente paesaggio.

Qui le forme borrominiane si ripresentano nelle vesti di scale a stella fortemente scenografiche (ma dove condurranno
questi inquietanti scaloni da fantacultura, forse alla Santa Inquisizione?). Scale simili, a doppio tronco di cono
rovesciato, le ho viste a Roma in un affresco del ‘500 sulle pareti di un antico palazzo del clero; mentre l’elaborazione
che Portoghesi ne fa le riporta alla pianta della cupola di Sant’Ivo alla Sapienza. Sono forme di strepitosa bellezza,
cariche di espressività; ma questo armamentario molto sofisticato di ricordi colti cosa potrà generare messo in un giardino a contatto con la natura? E dopo quasi tre secoli di giardino naturale all’inglese? Io sono convinto
che oggi fanno lo stesso effetto di quando, per la prima volta, gli uomini del ‘600 vedevano le imprevedibili architetture
del Borromini, un effetto di “meraviglia”. Ma di notevole e sorprendente in questo spazio di natura c’è molto
altro, come la citazione di giardini manieristici della seconda metà del ‘500 (vedi, qui sotto, il mascherone di
Bomarzo raddoppiato con un ironico gemello). Molto interessanti per una nuova sintassi sono le aiule di bosso
squadrato, non messe in piano ma inclinate sopra avvallamenti o dorsi di mulo. Siamo in area Rinascimento rivisitato,
tolto alle sue certezze di piani rigorosamente ortogonali e proiettato nelle incertezze di un periodo di crisi
generale tipo Tardo Impero.

Decadenza o meno, l’incanto del giardino “artificioso” è sempre lo stesso: si salgono dei gradini, si sentono dei profumi, all’improvviso si spalanca un piccolo anfiteatro e ci si sente più leggeri e più felici nella natura. E’ un’illusione, si sa, ma ne vale la pena; è la fantasia che si fa realtà senza passare dalle regole del conformismo, della normalizzazione, della non poesia. Si tratta di un giardino post-moderno? Poco importa. E’ il giardino di un vero artista che ha continuato a brillare di luce propria in molti decenni dagli anni ‘60 a oggi. A questo proposito non posso non ricordare quando negli anni del ‘68 Paolo Portoghesi (oggi diventato “cavaliere”) fu chiamato a presiedere la facoltà di architettura al Politecnico di Milano: sotto la sua “autorità” successe di tutto, forse non era solo lui a governare ma anche un pizzico dell’anarchico Borromini con le sue stravolgenti e vertiginose fantasie. Giardini opera d’arte come questo, che entrano di slancio nella storia dell’architettura, potrebbero in un paese normale nascere autonomamente dalla volontà delle amministrazioni preposte al bene pubblico. Ma in Italia, per quanto riguarda i giardini, i grandi architetti non solo non trovano committenti istituzionali, ma se vogliono farli diventare realtà devono finanziarseli in proprio come in questo caso. Questo servizio fotografico è molto lontano dal rendere merito alla complessità del giardino di Calcata, che nel suo complesso è pieno di episodi con continue mutazioni di tono. Come avviene per tutti i giardini di riferimento, anche in questo caso si può cogliere la sua autentica personalità solo percorrendolo fisicamente in prima persona.

Walter Pagliero


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