Museo Diocesano di Vicenza

Recentemente realizzato su progetto degli architetti Giovanni Tortelli e Roberto Frassoni, unisce alle molte testimonianze locali, pezzi anche di carattere etnografico provenienti da tutti i continenti.

Un uovo in marmo rosso: lo si trova all’ingresso del nuovo Museo Diocesano di Vicenza. Un simbolo che racchiude in sé tutti quei richiami e quei messaggi per i quali è diventato uno degli emblemi della Pasqua. Rappresenta infatti la vitalità e la fecondità e nella sua superficie a curvatura continuamente variata si può ravvisare la perfezione. E’ un elemento primordiale e modernissimo, per la sua scelta e per la sua collocazione, indice di un impegno preciso: che il Museo sia esso stesso elemento promotore di diffusione culturale, di iniziative nuove, di dialogo aperto. L’uovo è stato preparato appositamente quale elemento di sintesi dell’identità museale. Ha scritto Mons. Giulio Cattin, Direttore dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi e Direttore incaricato per il Museo Diocesano: «Il visitatore che si affaccerà alla porta spalancata del nuovo Museo rimarrà colpito da una presenza inattesa che gli sbarra il cammino: un uovo di gigantesche proporzioni, sul cui significato non potrà non interrogarsi.

L’uovo troneggia alla porta d’ingresso.
Schizzo del progetto espositivo.

La probabile perplessità potrà forse trasformarsi in acuto disappunto quando il visitatore scoprirà che non d’un reperto più o meno remoto del passato si tratta, ma d’un manufatto appena modellato e qui volutamente trasferito. L’uovo, infatti, è la forma plastica nella quale hanno preso unico corpo le pur differenti intenzioni dei due Vescovi vicentini che a questo Museo hanno legato il proprio nome: Mons. Pietro Nonis e il successore, Mons. Cesare Nosiglia». Il primo, appassionato raccoglitore di opere e di reperti naturali provenienti dai diversi continenti, ha fatto dono di questa scultura al museo. Il secondo l’ha accolta nella sua valenza di richiamo sulle potenzialità del futuro: non un semplice contenitore di testimonianze di fede ma anche un punto di partenza.

Pianta del piano interrato (con le raccolte etnografiche) e del piano terra
(con opere del primo cristianesimo, dell’alto e basso medioevo.

L’Adorazione dei Magi, bassorilievo, fianco di sarcofago risalente alla fine del IV secolo.

Un luogo ove rinnovare la tradizione: ove trarre stimolo dal passato per l’azione presente. Il Museo, situato nell’ala nord del vescovado, è stato inaugurato il 19 febbraio 2005. Si tratta di una struttura di innovativa concezione che, attraverso l’esposizione di reperti e di opere di grande valore storico artistico e documentario, narra il cammino dell’evangelizzazione in terra vicentina lungo i secoli. Al piano terreno, dopo una sala dedicata ai Santi Patroni e agli arredi liturgici, si comincia il percorso con alcune vestigia della Vicenza romana, nella quale si è innestata la nuova fede in Gesù, testimoniata da reperti paleocristiani provenienti dall’ambito urbano.

«Due figure – ha scritto Mons. Cattin – scelte per compendiare visivamente aspetti del nuovo Museo, mi sembrano degne di attenzione e necessitano d’un cenno esplicativo: il rilievo lapideo raffigurante l’adorazione dei Magi, di splendida fattura e raro per il soggetto, che si ammira in posizione privilegiata nella prima sala dell’area espositiva; e, accanto ad esso, il frammento di sarcofago ove figura il chrismón (acrostico per Christós in greco) appaiato con tratti di strigile (raschietto usato in palestra, o nei bagni, per detergersi da olio e sabbia), segno palese della convivenza di abitudini tipiche della società pagana con i segni del cristianesimo incipiente a Vicenza (nelle sue linee essenziali il frammento è stato scelto quale "logo" del Museo). Entrambi i reperti provengono dalla basilica dei SS. Felice e Fortunato, chiesa extra moenia per la conservazione delle reliquie dei due martiri, particolare questo che lascia aperto l’interrogativo circa l’ubicazione della primitiva cattedrale.Tuttavia, ai fini della completezza della documentazione sui primi secoli cristiani, è di grande importanza il contributo che l’attuale chiesa dei SS. Felice e Fortunato ha offerto al museo primario della diocesi.

In queste foto: alcuni aspetti dei locali interrati contenenti reperti di epoca romana e di strutture medievali.

A questo punto è chiaro a tutti perché il Museo diocesano di Vicenza non poteva che nascere bicipite; e il medesimo motivo spiega altresì la caratteristica delle prime sale, ove il materiale esposto presenta spesso gli indizi d’una origine pagana piegata e poi conformata a significazioni cristiane». Il percorso espositivo si snoda secondo una sequenza cronologica. Dopo una saletta che mostra esempi di materiale scrittorio (libri corali, Bibbia atlantica, pergamene di argomento giuridico-disciplinare, ecc.) provenienti dagli archivi del Capitolo e della Curia, si passa al primo piano, ove sono esposti prevalentemente
dipinti risalenti ai secoli XVI – XIX. La selezione, costituita anche da cospicui prestiti di diversa provenienza, costituisce una panoramica dei più noti pittori attivi in Veneto.

Nell foto: Una teca contenente paramenti sacri;
Vasca con iscrizione del gastaldo Radoald,VII secolo, alle pareti si notano due lastre di arredo liturgico della stessa epoca;

Il percorso è via via arricchito da tessuti preziosi, mentre l’orificeria (calici, ostensori, pissidi, ecc.) in larga misura trova spazio in uno scrigno, piccolo museo nel museo: la loggetta creata durante l’episcopato di G.B. Zeno (anno 1494), dal quale essa prende il nome. Il quadro è completato dalle sezioni allineate nella prima sala a sinistra dell’ingresso, che non è rigorosamente inserita nel percorso storico: la porta immette in un ampio locale suddiviso in distinti settori, il primo dei quali è dedicato agli esemplari dipinti o scolpiti dei patroni diocesani. Il secondo spazio racchiude il materiale donato dal marchese Giuseppe Roi, che comprende il corredo liturgico della cappella gentilizia della villa Fogazzaro Roi in Montegalda, officiata per molto tempo da mons. Giuseppe Fogazzaro, zio dello scrittore Antonio.
Al Museo si aggiunge come sezione staccata, la preziosa raccolta etnografica donata alla diocesi da Mons. Nonis e dislocata in due aree distinte: nelle stanze dell’attico del palazzo e nell’interrato. Le prime espongono la maggior parte delle testimonianze etnografiche, tra le quali figurano non soltanto moltissimi prodotti, in buona misura lignei, frutto dell’irradiamento e dell’inculturazione del cristianesimo nei vari continenti, ma anche pezzi di assoluto valore
storico-documentario, come le figure pastorali che provengono dall’area di Ebron e sono assegnate all’epoca dei patriarchi veterotestamentari.

Nelle foto: La stessa vasca da un’altra prospettiva;
Il corridoio di ingresso alla galleria delle Raccolte etnografiche.

L’interrato contiene vario materiale arcaico in larga parte proveniente dalle raccolte Nonis, come le croci copte dell’Etiopia e una serie di icone russe e romene. Le centinaia di pezzi acquisiti in quasi tutti i continenti e distinti per aree geografiche di provenienza costituiscono un immenso patrimonio, la cui convivenza con il Museo è giustificata dalla situazione attuale, di un mondo che, come scrive Cattin,«viaggia rapidamente e in modo inarrestabile verso
la globalizzazione». Mons. Pietro Nonis pone in evidenza come la maggior parte degli oggetti che costituiscono la raccolta etnografica, provenienti da molti luoghi di missione, hanno direttamente o indirettamente a che fare con l’esperienza religiosa. “La raccolta si pone – scrive Nonis – con voce sommessa e spirito di servizio culturale, come sussidio utile ad avviare un discorso sull’esperienza religiosa variamente intesa".

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