Mostra personale Francesco Gnecchi Ruscone

Sono un pittore della domenica di novantadue anni, che ha cominciato a dipingere dopo i settantacinque. Chi me lo fa fare? È un gradevole passatempo che potevo innestare sulla familiarità con il disegno acquisita facendo per oltre mezzo secolo l’architetto: imparare a controllare luce e colore era una nuova sfida affascinante.
E così era la scelta di cosa rappresentare. L’evoluzione proposta da Darwin ha fatto dell’homo sapiens un animale gregario: viviamo in comunità progredite nei secoli dal branco alla metropoli: una comunità funziona tanto meglio quanto più si regge su una solidarietà fatta non solo di norme e tradizioni ma anche di sentimenti, progetti e azioni personali miranti al benessere, alla felicità di altri. Non posso quindi dipingere solo per evitare a me la noia di ore vuote: un dipinto, se qualcuno lo vede, diventa inevitabilmente un messaggio.Esistono certo temi importanti: molti ideali, miti, drammi o anche incubi hanno ispirato capolavori ma per fortuna io ho in prevalenza sogni sereni con sprazzi occasionali di buffa assurdità: questi intendo offrire come immagini su cui posare con piacere lo sguardo al risveglio. Chi vorrebbe aprire gli occhi sull’Urlo di Edvard Munch? Ecco quindi montagne e fiori, alberi e colline, fiumi e golfi nel sole, uccelli o animali in movimento, vita naturale e serena.
Populismo applicato all’arte? Kitch bucolico? Benissimo! Anche i nani di Biancaneve in gesso colorato danno felicità agli abitanti di qualche giardinetto suburbano.
Vorrei che i miei quadretti rappresentassero, se non un inno, almeno una canzonetta alla struggente bellezza della vita.

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