Monastero dell’Incarnazione a Poggi del Sasso (Grosseto)

Monastero Dell’Incarnazione e chiesa della SS.Trinità a Poggi del Sasso (Grosseto)

Siloe è il nome della piscina di Gerusalemme dove, lo riferisce il vangelo di Giovanni, Gesù aprì gli occhi a un cieco. E Siloe è il nome che si è data la comunità monastica che si è raccolta nel podere “le Pescine”, in Maremma. Oggi si sta edificando il complesso a lei destinato: il progettista, Edoardo Milesi, ne spiega l’iter progettuale.

Il progetto architettonico per la Comunità di Siloe si ispira alle suggestioni dell’architettura cistercense, che trae le proprie origini e fondamenta da conoscenze riferite al mondo della tradizione e trova nell’universo simbolico il linguaggio più idoneo a esprimere la propria esigenza di assoluto. L’analisi svolta sull’universo dell’architettura cistercense utilizzando un approccio non esclusivamente razionalista, cioè fondato su dati “oggettivi”, ha confermato che architettura è arte. L’arte non esiste se non è in grado di suscitare emozione. Ed è attraverso la geometria che l’architettura medievale, come quella cistercense, esprime la propria arte, slegata da gusti esteriori o sentimenti personali.

Vista del primo corpo di fabbrica edificato del monastero. Sullo sfondo, la cappella della SS.Trinità.

Le sue forme erano imitazioni di archetipi e il simbolismo intrinseco le riporta al principio dell’universo. L’arte medievale ha il compito di insegnare, di scuotere, di comunicare, e quindi le emozioni che suscita sono profonde e primordiali. Ogni abilità creativa era finalizzata al “buon uso” dell’arte che aveva come fine non già la bellezza ma la perfezione.
“La conoscenza rende l’opera bella”, ha scritto san Bonaventura. La differenza rispetto a oggi sta nel fatto che noi facciamo dell’emozione uno degli scopi principali dell’arte al di là del significato dell’opera. L’uomo medievale era più colpito dal significato che illuminava le forme, che dalle forme stesse. Da qui la ricerca sempre più raffinata del simbolismo inteso come linguaggio universale e universalmente intelligibile, il mezzo che consente all’uomo di comunicare con le sfere superiori dell’esistenza. Il pensiero simbolico non procede (contrariamente a quello scientifico) per riduzione del molteplice all’uno, ma per esplosione dell’uno verso il molteplice, al fine di meglio far comprendere l’unità del molteplice.

1° lotto: residenza monaci (già realizzato)
2° lotto: biblioteca
3° lotto: ingresso/foresteria
4° lotto: chiesa
Sul perimetro del complesso sono posti alcuni “monoxili” di Silvio Tironi. I due
accoppiati individuano l’asse est-ovest dell’impianto.
A lato: schizzo progettuale.

Il simbolismo razionalista è inteso come sunto di una comunicazione, quello medievale è il concentrato, la sublimazione, la chiave di lettura di tutto un linguaggio che solo con le emozioni si può comunicare. Nelle chiese antiche la linea retta regna sulle pareti della navata, la curva sulle volte, gli unici ornamenti sono la luce, il canto e la musica. Nel monastero di Siloe ritroviamo la regola rispondente a un impianto razionale che si realizza nel
modulo individuato nel quadrato del chiostro, sinonimo di vita monacale. Il chiostro è il simbolo dell’intimità con il divino, è il centro cosmico in rapporto diretto con i tre livelli dell’universo. Il resto dell’impianto è costruito dalla luce e dalle ombre che delineano la direzione equinoziale e sestiziale, un orientamento basato sui simboli della croce, in cui il
principio attivo, l’asse verticale, e quello passivo, l’asse orizzontale, trovano nell’incrocio dei due assi la polarizzazione del principio.

In alto: due viste, esterna e interna, dei lucernari perimetrali.
Schizzo progettuale di studio sulla incidenza della luce solare.

La luce è la suprema rivelatrice e contemplare la luce rappresenta l’unione con Dio.Tutte le abbazie cistercensi sono orientate verso la luce, verso Oriente: san Bernardo aveva una concezione della luce che discendeva da sant’Agostino: per suo volere nelle chiese le pareti dovevano indurre nel modo più semplice e con la massima immediatezza al pensiero e al sentimento della luce. Nel monastero dell’Incarnazione la luce entra diretta nel chiostro, scorre su tutto il perimetro dell’impianto con prese di luce zenitali e, radente le pareti bianche, si diffonde all’interno dei luoghi del culto e del lavoro quotidiano scandendone il passare delle ore.

La sala capitolare.
Il corridoio delle celle dei monaci.
Il refettorio.

Non è facile, in un contesto di scenari naturali così affascinanti, fare in modo che la luce sia la principale protagonista degli spazi interni del monastero, l’unica guida alle attività diluite lungo l’arco della giornata. Aiuta tutto questo la convinzione che l’architettura è soprattutto generata dalla complessità dell’uso funzionale, dall’essenzialità artistica degli spazi, dalla realtà dei vuoti sui pieni, dell’ombra nella luce.

Il monastero, le scelte metodologiche
L’intervento si struttura su una trama di percorsi collinari che portano al complesso monastico e alle sue articolazioni interne. Scopo del progetto è di pensare a un complesso edilizio armoniosamente inserito nell’ancora incontaminato paesaggio per la scelta sia delle forme, sia dei materiali destinati a mimetizzarsi sempre più, con il passare del tempo, nell’ambiente. Legno, pietra, rame, vetro, ferro sono composti in geometrie semplici, proporzioni bilanciate e linee precise per un complesso edilizio che sia vicino per tipologia a un rifugio primitivo modellato dal vento e scolpito nella collina. La nuova edificazione aspira a dialogare con le peculiarità dell’intorno e a reinterpretare le antiche regole
del costruire di San Bernardo, con un atteggiamento che non può essere che di grande rispetto per una natura ancora incontaminata che merita sforzi veri volti al recupero di fonti energetiche naturali e rinnovabili (eolica, solare) e al contenimento dell’inquinamento antropico. Il complesso si articola sulla figura di un quadrato con i lati di circa 40 metri. Al suo interno si distinguono l’area per il culto, le attività ricettive associate ai servizi e la residenza dei monaci. Quest’ultima è la prima parte, e sinora l’unica, realizzata. Al centro del complesso è posto il chiostro, un quadrato di 14 metri di lato, a sud del quale si troverà il refettorio, sul lato est la sala capitolare e la sacrestia (nel corpo di fabbrica già realizzato), sul lato nord sorgerà il volume della chiesa (di metri 9.60 per 27.407, infine a ovest sorgerà il corpo destinato agli uffici e alla foresteria.

Comunità di Siloe
Monastero dell’Incarnazione
e Chiesa della SS.Trinità
a Poggi del Sasso (Grosseto)

Progetto: Arch. Edoardo Milesi, Albino (BG)
Foto del servizio: F. Perani, pag. 33 e pag.34 in basso; Donato Di Bello, pag. 34 in alto; tutte le altre foto sono di Paolo Da Re.
Pietra, legno, intonaci tradizionali: i materiali sono scelti nel rispetto della natura e dell’ambiente.
La cappella, ricavata da un antico ovile accanto a cui si eleva una grande quercia.
Relazione visiva tra monastero e cappella.

Ad eccezione dei piani interrati, realizzati in calcestruzzo armato, tutto il complesso è realizzato con materiali e tecniche scelte per garantire la massima permeabilità con il minimo spreco energetico. Così le murature sono in termolaterizio di grosso spessore con parete esterna ventilata, i solai in legno, manto di copertura anch’esso ventilato in lastra di zinco-titanio. L’impiantistica è ridotta al minimo necessario per limitare i campi elettromagnetici.
L’acqua è quella di un pozzo perforato a pochi metri dal monastero, accumulata in una cisterna sotterranea e interamente restituita al luogo mediante un impianto di fitodepurazione. Grande cura è stata data all’orientamento e alla schermatura da eventuali sorgenti geopatogene. I materiali che resteranno a vista saranno soprattutto legno grezzo, pietra e intonaco in calce.

La cappella della SS.Trinità
C’era un vecchio ovile in pietra posto esattamente sull’antico percorso che dall’Ombrone va verso la montagna, seguendo il crinale della collina. Si è trattato di ascoltare e di assistere a una sorta di spontanea metamorfosi. L’ovile
è stato trasformato nella cappella del Pellegrino: è stato il primo passo verso l’atteso Monastero di Siloe. I fedeli entrano là dove entravano le pecore e i pastori, tra i due vecchi muri in pietra ancora intatti, come il vento e la polvere del tempo. C’è un muro a valle, con le sue due bucature verso il mare, e quello a oriente, con l’unica feritoia che cattura il primo sole quando nasce. L’ampliamento, quasi fosse generato da una piccola esplosione trattenuta dai due vecchi muri, ha sollevato verso l’alto il tetto in legno e ha generato l’abside della nuova chiesina. Un’unica mangiatoia in pietra bianca, come nel presepe dei bambini, l’altare è un monolito dell’Amiata appena squadrato. Il campanile è una leggera torre di lamelle di legno grezzo, rivolto verso il vento dominante. I nuovi tamponamenti sono in legno chiaro: così come la croce, protetta solamente da un basso recinto, impasto di cemento e terra del luogo. L’equilibrio straordinario non andava modificato. Le aggiunte dovevano essere silenziose ma vive, per far sì che il luogo potesse rinnovare la propria energia attraverso il rinnovarsi della vita. L’architetto è stato solo lo strumento necessario a far vibrare e a catturare l’energia già prepotentemente presente nel sito, solo all’apparenza abbandonato. La Cappella dedicata alla SS. Trinità è stata consacrata l’8 settembre 2001 alla presenza di S.E.R. Mons. Giacomo Babini, allora Vescovo di Grosseto. In quell’occasione
è avvenuta la posa della prima pietra del nuovo monastero.

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