Martini e la sua Milano

Il Card. Carlo Maria Martini con l’Arch. Giuseppe Maria Jonghi Lavarini

Anche il periodo di episcopato del Card. Carlo Maria Martini si è concluso. Sono stati anni di grandi cambiamenti. Il mondo ha felicemente perso la dinamica dello scontro bipolare per entrare però in un periodo di grande incertezza e di tensioni diffuse. Anche Milano, col suo vasto hinterland, ha cambiato volto: le tensioni ideologiche si sono stemperate ed è scomparsa la città industriale in cui erano divampate, per far posto alla finanza e alla moda. L’Arcivescovo Martini ha con sagacia accompagnato questi rivolgimenti, restando al fianco delle persone e indicando sempre la via del dialogo, dell’apertura, del confronto. Basti ricordare l’istituzione da lui decisa, della Cattedra per i Non Credenti: un segnale di grande e coraggioso rinnovamento, nella certezza che la ricerca del “senso della vita” accompagni chiunque e possa condurre chiunque sulla strada della buona novella.
Ma non sta a noi rievocare l’immenso impegno esplicato dall’Arcivescovo. Ci preme tuttavia sottolinearne un aspetto: in questi anni è venuto maturando un nuovo modo di fare architettura delle chiese. Se dopo la “rivoluzione” operata dal Concilio Vaticano II vi è stato un periodo di turbolenze, in cui tutto sembrava possibile, in senso positivo ma talvolta anche negativo, nel corso di questi ultimi lustri la Chiesa ambrosiana è stata veramente “leader” in Italia, nel proporre un modello di organizzazione che ha garantito anzitutto la qualità delle chiese per la loro funzione: accogliere la comunità celebrante, durare nel tempo senza richiedere alti costi di gestione e manutenzione. Sembra poco, ma è la base sulla quale si innesta la sfida della poesia della forma, vertice estetico sempre cercato ma raramente avvicinato. Esemplare di questo processo di innovazione è l’informatizzazione della Biblioteca Ambrosiana. Una delle più antiche biblioteche del mondo, un centro studi che opera ai massimi livelli.
Sembra quasi strano che un’istituzione così antica e nobile si apra alle nuove tecnologie informatiche, entri nella Rete, si renda accessibile via computer, ma ne guadagna l’accessibilità alla cultura. Mentre stiamo completando questo numero di CHIESA OGGI architettura e comunicazione giunge la notizia che la Camera dei Deputati ha approvato la legge per il finanziamento degli oratori. Sono due notizie, quella dell’accessibilità via Internet dell’Ambrosiana e quella del finanziamento agli oratori, che ci fanno guardare con speranza al futuro. Da un lato la cultura si rende sempre più accessibile, dall’altro viene finalmente riconosciuto il ruolo degli oratori, istituzione fondamentale per la formazione della persona, a cavallo tra l’educazione e lo svago. Lo possono testimoniare milioni e milioni di persone che negli oratori hanno passato gli anni della gioventù.
E’ tempo di rilanciare questa istituzione, di ridare nuova dignità a questi luoghi talvolta troppo spogli. Già da tempo la Chiesa non parla tanto di “nuove chiese”, ma di “nuovi centri parrocchiali” che includano proprio quella serie di servizi necessari per il buon funzionamento dell’oratorio. Nella diocesi ambrosiana abbiamo visto sorgere molti centri parrocchiali. Con buon senso pragmatico in questa diocesi non è stato chiesto agli architetti di progettare chiese che fossero opere d’arte, ma anzitutto chiese capaci di ospitare la comunità orante e celebrante, e chi avesse bisogno di assistenza, o semplicemente di un posto per ritrovarsi, per essere se stesso al di fuori delle funzioni nelle quali la vita di tutti i giorni ci schiaccia. Questo in fondo è l’oratorio. Basandosi su questi principi l’architettura delle chiese ha fatto passi da gigante, sotto il Card. Martini. Il nuovo Arcivescovo, Card. Dionigi Tettamanzi, trova una diocesi rinnovata e in pieno fervore. A lui gli auguri più fervidi di accompagnare ancora più avanti il cammino di fede e di opere di questa grande città.
Giuseppe Maria Jonghi Lavarini

Gerusalemme nel colloquio tra Mons. Gianfranco Ravasi e il Card. Carlo M. Martini
Ravasi: …Ci piacerebbe che (svelasse)… il senso profondo di quella città che un aforisma rabbinico così descrive: «Il mondo è come un occhio: il bianco è il mare, l’iride è la terra, la pupilla è Gerusalemme e l’immagine in essa riflessa è il tempo».
Martini:
La Terra Santa è così ricca di simboli e significati che appare inesauribile. Io la leggo anzitutto a partire dalla Gerusalemme celeste di cui è preludio, pregustazione, immagine, pur con le sue sofferenze e le sue amarezze…
(da: “Martini – Le mie tre città” di G. Ravasi, ed. San Paolo, 2002)

I simboli sono da intuire
Riproponiamo le parole del Card. Carlo Maria Martini a proposito dei requisiti che dovrebbe avere una nuova chiesa..
Chi progetta una chiesa dovrebbe anzitutto ricordare che essa è un edificio in cui una grande assemblea ha diritto di trovarsi a suo agio. Tra le prime necessità segnalo dunque quella del respiro: chi non respira a proprio agio fa fatica a pregare con raccoglimento… Senza tale requisito, la chiesa può essere bella e però non abitabile. D’altra parte lo Spirito santo è “soffio” e le chiese dovrebbero dare l’idea di questo respiro cosmico, perché una chiesa parla ai sensi del corpo, non all’intelligenza. Una seconda necessità primaria è quella di vedere bene e di sentire bene. Posso affermare che il “vedere” è stato tenuto di solito presente… Tuttavia non posso dire altrettanto per il luogo della proclamazione della Parola che pure dev’essere ben visibile e degno della sua funzione. (…) Un’altra indicazione importante riguarda la simbologia delle forme architettoniche. Più di una volta, entrando in una nuova chiesa, mi sono stati spiegati tutti i particolari. Ma i simboli non sono da “spiegare”, bensì da intuire. La simbologia degli spazi e, in genere, delle forme architettoniche, deve essere percepibile con gli occhi e con il respiro, deve lasciare a bocca aperta. (…) Anche i colori parlano… ammiro le civiltà africane che non possono far niente senza i colori. In proposito noto da noi un’ascesi che sembra eccessiva. È vero che talora si lascia il compito alle vetrate, ai quadri o agli affreschi. Però occorre che tutto concorra alla luminosità e gioia dell’insieme, fin dal principio, senza che si debbano attendere interventi troppo tardivi (…) Mi auguro che il prossimo secolo e il prossimo millennio, rileggendo le nostre chiese, vi trovino quell’ispirazione
che noi abbiamo oggi riscoperto nelle chiese dei secoli remoti e ricevano da noi quel supplemento d’anima che, a nostra volta, abbiamo ricevuto dalla tradizione e dalle grandi chiese del passato.

S. Em. Card. Carlo Maria Martini
(da: CHIESA OGGI architettura e comunicazione n°17 1996)

 

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