OLTRE LE MODE, IL DESIGN DI QUALITÀ

Sedie d’Autore non è solo un Manuale, è anche una mostra allestita presso lo storico showroom milanese MC SELVINI. Un punto di riferimento per professionisti e appassionati del design che hanno trovato in Marco Contini un interlocutore entusiasta e competente, fine conoscitore delle opere più interessanti del mercato.

Marco Contini è dagli anni ‘60 un punto di riferimento per tutti i progettisti che operano nell’architettura d’interni, perché il suo show room di via Poerio a Milano è stato da subito un filtro del miglior design mondiale. Allora era giovanissimo, come è stato possibile?

Sono entrato nel mondo del mobile a diciassette anni, quando mi hanno cacciato da tutte le scuole della Repubblica e sono entrato nell’azienda di famiglia, fondata nel 1926 da mio nonno materno Cornelio Selvini. Allora in Italia non c’era ancora una produzione di mobili industriali, ci si avvaleva di artigiani della Brianza; ma appena sono comparse le prime aziende dell’industrial design (Zanotta, Cassina, B&B, Poggi, Gavina) abbiamo subito presentato i loro prodotti alla nostra clientela. Poi, dalla fine degli anni ’60, mi sono impegnato in prima persona nel selezionare le opere più interessanti che comparivano sul mercato, andando a tutte le fiere anche internazionali. Di italiano  avevamo Kartell, Artemide, Flos, e contemporaneamente importavo prodotti dalla Danimarca allora molto graditi: anche la libreria di Albini veniva chiamata “la libreria svedese di De Padova”.
In realtà la tradizione colta del mobile disegnato da grandi architetti era quella danese, poi finlandese e solo dopo svedese, ma in Italia qualsiasi mobile in teak veniva visto come svedese. Negli anni ’80 ho aperto due belle vetrine in via Manzoni nel centro di Milano, che hanno avuto molto successo: a ogni presentazione veniva tutto il mondo degli architetti e degli intellettuali che a quel mondo erano interessati come il critico Gillo Dorfles, anche se non vi era esposta la tendenza più d’avanguardia di allora, il “design radicale”.
Quelli di Alchimia mi avevano proposto le loro opere, ma non me la sono sentita di imbarcarmi in tale avventura: le spese erano molte e la loro vendibilità da verificare. Ed erano lontani dall’immagine consolidata dei prodotti Selvini.

In apertura di servizio alcune foto storiche scattate all’interno dello showroom MC SELVINI. 1. Marco Contini e suo figlio David, fine anni ‘70. 2. Duilio Gregorini e Achille Castiglioni, su due dondoli erroneamente attribuiti a Josef Hoffmann editi da MC SELVINI. 3. Roberto Poggi, Marco Contini, David Contini, Achille Noris titolare della Sirrah, Marino Marani, in primo piano una scultura di Vittorio Porro, anni ‘80. 4. In primo piano la designer Eleonore Peduzzi Riva, a sinistra Giuseppe Ostuni fondatore di Oluce.

Qual era la vostra politica commerciale? È cambiata nel tempo?

Siamo partiti puntando sulla qualità del design, con una predilezione per i grandi maestri. Da subito abbiamo proposto Alvar Aalto, poi Jacobsen, Henningsen, le sedie di Hans Wegner. Andavo personalmente in Danimarca un paio di volte all’anno, poi anche di più, visitando le aziende che producevano le loro opere e mantenendo con loro rapporti costanti. Per cui all’inizio la nostra immagine era quella di un negozio di mobili danesi; ma non era vero, perché Aalto e Saarinen erano finlandesi, Mies van der Rohe era tedesco e Le Corbusier francese.
La mia scelta era di vendere gli oggetti per quel che erano in concreto, per come erano fatti, per quali materiali impiegavano, e non perché erano di moda. Io andavo in fabbrica a vederli nascere, conoscevo gli artigiani che li facevano di cui ero diventato amico. E portavo con me anche gruppi di architetti interessati.
Il mobile lo proponevamo con la sua storia: chi l’ha progettato, in quale occasione, dove e come era stato eseguito, di quale manutenzione aveva bisogno per durare nel tempo. E non avevamo paura di tenere in negozio gli oggetti “difficili”, perché anche quelli servivano per far capire ai clienti un discorso sul mobile di qualità. Abbiamo cercato di avere un catalogo con prodotti che piacevano molto e altri di nicchia, magari difficili da accostare per il loro prezzo (pur se motivato), come ad esempio la lampada Artichoke. Ma non ho mai voluto le opere ibride tra arte e design dove il contenuto funzionale passa in secondo piano.
Amo molto le opere di Gaetano Pesce, che hanno la fantasia di un artista ma rimangono
oggetti facili da usare: io sono stato tra i primi a proporlo.C’è un filo rosso che collega gli esemplari mobili danesi del vostro inizio a quelli di nuova produzione che proponete oggi?

Negli anni successivi abbiamo mantenuto un’impostazione fedele al modello razionalista, anche se il nostro vuol essere una catalogo misto aperto a tutte le opere di qualità.
Per quanto riguarda le sedie abbiamo scelto come tipologia di base “la sedia di uso domestico” perché pensiamo che in casa sia uno degli oggetti potenzialmente più “forti”  ed espressivi.MC SELVINI
Da sempre il riferimento per il design scandinavo

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