Macugnaga

Settecentocinquant’anni di storia e una canditatura delle ‘Alpi Walser’ tra i siti protetti dell’UNESCO come
‘patrimonio mondiale dell’umanità’. Una grande civiltà alpina che andiamo a scoprire con uno dei più autorevoli
studiosi Walser, il professor Luigi Zanzi, docente dell’Università di Pavia.

“Ricorre quest’anno il 750° anniversario di un avvenimento che segna in maniera definitiva l’avvio della colonizzazione Walser delle Alpi. Ci è testimoniato da un antico documento che consiste di una pergamena perfezionata e datata Bosco Gurin 10 maggio 1253 che costituisce il primo documento conservato e tramandato fino ai nostri tempi in originale. L’avvenimento così documentato fu la consacrazione della chiesa-ospizio, costruita nel territorio di Quadrino (poi Gurin), dedicata a San Giacomo di Galizia e al Beato Cristoforo (santi protettori entrambi dei pellegrini che si avventuravano talvolta attraverso le Alpi per raggiungere le lontane mète di culto dell’Europa cristiana).Alla consacrazione partecipò la comunità di sedici capifamiglia Walser che si impegnavano a custodire la chiesa-ospizio. Quella gente Walser da poco tempo si era insediata in quel luogo provenendo dalla Val Formazza,dove erano pervenuti dal Vallese attraverso il passo del Gries (parallelamente a movimenti migratorî attraverso il passo del Monte Moro o attraverso gli antichi sentieri che poi diventeranno il passo del Sempione che portarono altra gente Walser dal Vallese a Macugnaga e di lì ad Alagna e oltre).
Anche sulla base di tale documentazione si può ricostruire che,proprio tra il finire del XII e l’inizio del XIII sec., i Walser dell’alto Vallese avevano intrapreso quella grande migrazione che li porterà dapprima a circondare tutte le valli meridionali del Monte Rosa di insediamenti stabili e permanenti d’alta quota (dove fino a quel tempo arrivavano a stento le greggi al pascolo negli alpeggi) per poi espandersi,di insediamento in insediamento,un piccolo ‘dorf’dietro l’altro,
di colle in colle, di monte in monte, di valle in valle, dalla Formazza al Gottardo alle Alpi Centrali e di lì ai Grigioni e di lì al Vorarlberg. Con i Walser le alte Alpi, cioè le terre d’alta quota alla testata delle valli, dove prima erano soltanto residui
morenici,terreni rocciosi e petrosi e selve intricate,divennero abitate e coltivate. È quella l’epoca in cui si passa dalle Alpi “attraversate” (con infiniti disagi e paure e per lo più come fuggiaschi) da militari, pellegrini e mercanti, alle Alpi “vissute”.Per vivere a quell’alta quota i walser, già portatori di una propria identità culturale, si fecero inventori di nuove risorse tecno-culturali (una nuova agricoltura d’alta quota,una nuova architettura,una nuova pratica territoriale
d’irrigazione, drenaggio, sterraggio, ecc. al limite dei ghiacciai, trasformando dirupi scoscesi e selvosi in terrazzamenti di prati a pascolo e a boschi coltivati): così che, smentendo un’opinione grossolana che ritiene ‘primitivi’ gli uomini
dell’alta montagna,i Walser testimoniano quanto la cultura dell’‘alta’ quota si faccia assai più complessa, varia ed innovativa della cultura della ‘bassa’ quota.
La grande avventura della gente Walser è tutta improntata allo spirito di ‘libertà’: concretamente scelsero la sorte dell’avventura nelle alte Alpi per conseguire quanto possibile la propria indipendenza facendosi liberi come il vento delle alte cime, pur a costo di una fatica estrema. Di tale tradizione culturale si rischia di perdere le tracce attraverso lo spopolamento dell’alta quota a cui stiamo purtroppo assistendo.Tuttavia, per iniziativa principalmente di una rinascita storiografica di tale cultura, sono riemersi alcuni i focolai di rinascita delle tradizioni Walser anche nel mondo delle valli del Monte Rosa,dove fiorirono alcune delle più vivaci comunità Walser (come Macugnaga, Alagna, Rima, Rimella, Gressoney, Ayas, ecc.). Di qui l’importanza della riscoperta di quelle “reliquie” che sono i documenti storici di tale civiltà dei coloni Walser:‘reliquie’ che devono non solo essere custodite come testi “sacri”di una storia civile che occorre ‘salvare’, ma anche essere rivitalizzate come fermenti di nuova cultura delle Alpi. Ecco perché torna importante un’iniziativa come quella del 750° anniversario dell’avvio della colonizzazione Walser per addivenire alla costituzione di istituzioni culturali in grado di avere cura della conservazione e della riattivazione di tale storia documentale (Kuratorium Walser)”.

TRADIZIONI: la notte del pane

La rievocazione della panificazione del pane nero di segale, secondo gli antichi usi e i costumi Walser ha reso
Macugnaga, la perla delle Alpi, protagonista di un’inedita iniziativa ideata dal Comune, con il sostegno della Provincia del Vco e della Regione Piemonte. La cerimonia, si è svolta con grande partecipazione di pubblico, secondo un antico rito che risale al 1300, anno di datazione dei primi forni frazionali. La tradizione della preparazione e cottura del pane che avveniva una sola volta all’anno, rappresentava un momento di gioiosa festa per le famiglie della frazione, in cui si manifestava la grande coesione e lo spirito di solidarietà che animava la comunità montana. L’incarico era dato a turno ad una famiglia che vi provvedeva, aiutata da tutti, secondo un rito che aveva contemporaneamente il sapore sacro e la gioia della festa. Si incominciava impastando farina bigia con acqua e lievito in capaci recipienti lignei (marne) posti accanto ai ‘furnett’, ossia le tradizionale stufe in pietra inserite per lo più, nelle “stubu” rese per l’occasione assai calde. Intervenivano poi, per lo più durante la notte, le giovani invitate le quali, al canto di cori popolari, impastavano ben bene la
farina lievitata, ne formavano delle pagnotte e facevano andavano a gara a che più ne preparava. La lavorazione e la lievitatura durava tutta la notte e solo il giorno dopo era possibile infornare il pane. Gli uomini intanto avevano attizzato un bel fuoco e acceso gli animi con abbondanti assaggi di vino. Quando poi il pane era posto a cuocere, il capo famiglia offriva un pranzo a parenti e amici che l’avevano aiutato. Una volta cotto, si trasportava il pane con gerle in una cameretta ricavata nel sottotetto detto ‘undertach’ e doveva servire per tutto l’anno. Per tagliare il pane che si faceva duro e secco, si usava un coltello a leva, fisso su una cassetta (der Brott Lade).

Il forno ‘frazionale’

Ogni frazione del Comune di Macugnaga possedeva un forno per la cottura del pane simile a quello di Vecchio Dorf (qui nella foto), uno dei pochi restaurati e ancora funzionante, che veniva usato dagli abitanti della medesima frazione per panificare una sola volta all’anno. Le piccole architetture, realizzate in pietra e legno (i materiali Walser per eccellenza) erano perfettamente funzionali, con i sassi sporgenti per consentire l’appoggio di mensole e attrezzi. La particolarità costruttiva è la mancanza del comignolo: l’uscita dei fumi avveniva da appositi buchi laterali.

Il fornetto

Macugnaga ha mantenuto, grazie ad un’attenta opera di tutela e il legame ancora vivo con la tradizione, intatto l’originario fascino dell’architettura tradizionale. Nelle case, costruite in legno di larice e abete, si entra tramite una scala in pietra. All’interno le travi sono rivestite di tavole. Il colore del legname è, inizialmente, rosso chiaro ma annerisce nel tempo per effetto della resina che trasuda durante l’estate e forma una specie di vernice che preserva il legno dall’umidità. Al primo piano è collocata la cucina caratterizzata dalla presenza di un grande camino che occupa più di un quarto della sua superficie, con il piano del fuoco in pietra. Attraverso un’apertura, il camino comunica con il ‘fornetto’,
la stufa in pietra ollare locale, che spicca nel locale più ampio della casa chiamato ‘stubo’. Questo era il centro della vita casalinga, l’ambiente in cui la famiglia trascorreva la maggior parte del tempo, specialmente nei mesi più freddi. Qui si mangiava, si lavorava e si dormiva. La speciale struttura in legno che incorniciava il fornetto permette di ricavare, dei posti letto che un tempo erano destinati ai bambini.

Gli ambienti presentati nelle due foto sono quelli della Casa Museo Walser a Borca, fraz. di Macugnaga (VB), mentre gli altri appartengono a case private conservate in tutto il loro splendore.

La stufa, appoggiata alla parete divisoria, è alimentata dal calore che assorbe dal focolare della cucina (con cui è in comunicazione attraverso una piccola apertura dotata di serranda scorrevole in lamiera) che, a sua volta, irradia nell’ambiente. Al piano superiore, in corrispondenza del fornetto è collocata la stanza dei bambini. Un’apertura permetteva al calore di salire. Primo Zurbriggen, Assessore di Macugnaga, spiega che “il sasso di colore verde scuro e bianco (nell’immagine qui sopra), impiegato per la costruzione dei fornetti proviene da una cava di Macugnaga. Le lastre, generalmente, lunghe 90 cm e larghe 40 cm hanno spessore e con spessore variabile dai 12 ai 15 cm, sono unite tra loro con sofisticati incastri a U per chiudere ermeticamente l’uscita del fumo. Uno speciale impasto di terracotta, sasso pestato fine e calce bianca contribuisce a sigillare i giunti. Una tecnica che conoscono molto bene gli ultimi artigiani restauratori di fornetti Gino Boxler e suo figlio Alessandro che ha ripreso a costruire, secondo l’antica tradizione i tetti in pietra. Il riscaldamento del fornetto deve avvenire in modo graduale per non sfogliare la pietra. La finitura esterna del fornetto è bocciardata. Sul fronte sono incise le iniziali della famiglia, la data di costruzione, il simbolo della casa e un richiamo religioso. Nella parte superiore era scavata una vaschetta per riporre la segale da essiccare”.

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