Luce sull’arte sacra

Targhetti Sankey Spa
Un caso esemplare: l’illuminazione del Cenacolo di Leonardo da Vinci
nel refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano.

L’Ultima Cena, il noto affresco di Leonardo da Vinci nel refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano. Due particolari dell’affresco.

E’ stato considerato per cinquecento anni il capolavoro malato, l’inestimabile tesoro da salvare a ogni costo. E ci hanno provato in tanti da quando, nel 1566, a meno di settant’anni dalla fine del dipinto, il Vasari si disperava perché, della straordinaria opera voluta da Ludovico il Moro, rimaneva solo “una macchia abbagliata”. Provarono allora a ritoccarlo, ridipingerlo, cospargerlo di olio e di cera, trasformandolo in qualcosa in cui era sempre più difficile ritrovare il vero Leonardo. I cinque secoli che seguirono furono segnati da distruzioni, saccheggi e inondazioni, finchè i bombardamenti del 1943 demolirono addirittura tre pareti del refettorio. Ma anche questa volta, miracolosamente, il Cenacolo si salvò. E a tutto il mondo sembrò che proprio quest’opera apparentemente così fragile, si rifiutasse tenacemente di morire. Nel 1999, dopo ventuno anni e oltre settemila giorni di lavoro, il dipinto di Leonardo è ritornato a vivere nel suo disegno e nei suoi colori, nell’intensità delle espressioni del Cristo e degli Apostoli, e persino delle suppellettili della tavola che riflettono le tonalità delle tuniche. Solo allora si è scoperto che i precedenti restauri avevano trasformato figure di tre quarti in profili, che i capelli scuri di Matteo erano in realtà biondi, che le bocche serrate erano invece aperte per lo stupore, dopo la frase rivelatrice del Cristo “In verità vi dico: uno di voi mi tradirà”. Non a caso Leonardo aveva scelto di ritrarre questo momento carico di pathos, subito dopo l’annuncio del tradimento, con i discepoli smarriti e Gesù isolato, psicologicamente lontano anche dagli apostoli più amati. Quasi che nella sua malinconia, così simile all’espressione di tanti suoi ritratti, Leonardo avesse voluto ritrarre anche qualcosa di sé stesso e della propria solitudine d’artista.

Il restauro

Quello del Cenacolo, in Santa Maria delle Grazie a Milano, è considerato il “restauro del secolo”, e non solo per la durata di tempo e la mole di lavoro che ha comportato, ma per l’importanza di quest’opera, forse in assoluto la più amata del mondo, insieme alla Gioconda. A compiere il miracolo è stata la restauratrice Pinin Brambilla Barcilon, che con garze e bisturi, e soprattutto con grande pazienza e un infinito amore ha curato, una a una, le migliaia di “piccole isole di pittura” che restavano dell’opera originaria. Fondamentale anche l’apporto degli strumenti più moderni: negli ultimi anni è stato infatti possibile arrivare a una conoscenza approfondita dei leganti usati da Leonardo e trovare solventi appositamente studiati per sciogliere lo sporco e le ridipinture successive senza intaccare il colore autentico. Si è utilizzato il microscopio innestato su un braccio metallico, in modo da individuare una per una le scaglie di colore della pittura originale. A poco a poco, centimetro per centimetro, le figure sono uscite nitide e imponenti dalla loro caligine. Si è scoperto il disegno originario, si sono trovati degli azzurri incredibili, miracolosamente conservati. E’ insomma ritornato il Leonardo autentico, che nella scelta di trattare la parete come un’immensa tavola rivelava il suo temperamento sempre teso a sperimentare. “La decisione di non utilizzare la tecnica a fresco – ha spiegato Pinin Brambilla – racconta molto del suo genio incontentabile e tormentato, del suo bisogno di ritornare più volte sul già fatto e correggere, esprimendo ogni accento, ogni sfumatura della situazione psicologica che intende ritrarre. La sua pittura è una ricerca continua, mentre se avesse scelto l’affresco, avrebbe dovuto procedere con rapidità, senza ripensamenti”. E così Leonardo, pur di esprimere sé stesso nella perfezione della sua arte preferisce dipingere a secco, con tempera all’uovo su un arriccio duro e levigato, quasi uno stucco in due strati, destinato a deteriorarsi velocemente. Ma oggi, il lavoro di ripulitura e della parziale rimozione delle ridipinture ha rivelato un Cenacolo finalmente tornato a nuova vita.

L’illuminazione

Ciò che intendeva ottenere nel refettorio di Santa Maria delle Grazie era un’illuminazione che ponesse in rilievo la particolare luminosità del Cenacolo, esaltandone i valori cromatici, senza che la luce “scaldasse” l’ambiente. Un carico termico eccessivo, con una conseguente variazione dell’umidità, sarebbe stato infatti dannoso per il dipinto. A consigliare un uso intelligente e moderato degli impianti illuminotecnici contribuivano dunque motivi artistici e di protezione dell’opera. Era stato anche Carlo Bertelli, che nel 1978 avviò il restauro in qualità di sovrintendente, a sostenere l’utilità di sottrarre il Cenacolo all’aggressione di una luce troppo forte, quasi che, attraverso un’illuminazione più soffusa, si potesse meglio apprezzare la magnificenza dei colori originali non più offuscati da polvere e degrado. E infatti, chi entra per la prima volta nel refettorio di Santa Maria delle Grazie, ha bisogno di un attimo perché gli occhi si abituino e – nel buio quasi totale della sala – ci si appropri progressivamente dell’esaltante bellezza del dipinto, sul quale, appunto, è concentrata tutta l’illuminazione. A coordinare il rifacimento dell’impianto di illuminazione del Cenacolo e del prospiciente affresco del Montorfano (ma non dell’illuminazione ambientale), l’Olivetti (sponsor del restauro) aveva chiamato l’Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo Ferraris di Torino, su segnalazione dell’Istituto Centrale di Restauro.

Il sistema di illuminazione collocato dopo il restauro..

Subito era emerso – racconta il prof. Paolo Soardo, direttore dell’Unità di Fotometria del Ferraris – che le ultime fasi del restauro erano state effettuate nelle condizioni di luce diurna disponibili nel XVI secolo, simulata dalla restauratrice con un dispositivo di illuminazione con tubi fluorescenti di un modello oggi difficilmente disponibile. Abbiamo quindi realizzato un nuovo impianto, compatibile con l’illuminazione impiegata in fase di restauro, che avesse una resa dei colori particolarmente elevata (maggiore di 95)”. Su questa base sono stati poi scelti trenta apparecchi di illuminazione equipaggiati con tubi fluorescenti da 36W. “L’esame dei tubi fluorescenti dell’ultima generazione, in presenza delle Sovrintendenze e delle restauratrici, ha dato risultati positivi – continua il prof. Soardo – ma si trattava di costruire gli apparecchi di illuminazione nel poco tempo disponibile. La Targetti ci è riuscita in sole tre settimane, realizzando tre diversi prototipi con la supervisione dell’Istituto Elettrotecnico Nazionale, con il quale ha lavorato in stretto contatto. Lo ritengo un grande successo, reso possibile dall’ottima collaborazione che si è immediatamente instaurata”. Il risultato è estremamente soddisfacente anche per il Dr. Basile dell’Istituto Centrale di Restauro di Roma: “Ritengo il sistema attuale particolarmente riuscito perchè si è ottenuta un’illuminazione uniforme sia in senso orizzontale che verticale, fondamentale in un dipinto così danneggiato. Un’illuminazione con un’intensità concentrata su alcuni punti a discapito di altri, avrebbe invece fatto risaltare le zone più danneggiate. Un altro obiettivo pienamente centrato era quello di nascondere il più possibile la sorgente luminosa al pubblico, facendola scomparire come tutto ciò che era superfluo per il godimento del dipinto”. Gli apparecchi di illuminazione sono stati installati all’interno di due basse strutture (in tre file per il Cenacolo e in due per il Montorfano), con funzione di balaustra per contenere il pubblico. Situate a circa 4 metri di distanza dal Cenacolo e a 2 metri dal Montorfano, richiedevano la fabbricazione di apparecchi di illuminazione specifici, caratterizzati da una forte gradiente dell’intensità luminosa dal basso verso l’alto e da una concentrazione dell’illuminazione il più possibile limitata alla sola zona dipinta delle pareti. Amore per la luce e profondo rispetto per l’arte sono stati gli elementi portanti dell’intervento di Targetti che ha saputo mettere a disposizione del Cenacolo tutta l’esperienza maturata in settanta anni di attività. La stessa esperienza che le ha consentito di dare nuova luce ad altri capolavori quali il David di Michelangelo, la Cappella Bardi nella Basilica di Santa Croce, le nuove sale degli Uffizi, la Cattedrale di Notre-Dame.

L’illuminazione del Cenacolo in breve

GLI OBIETTIVI

– Ottimizzare la fruizione visiva dell’opera
– Rispettare i corretti valori cromatici
– Proteggere il Cenacolo dagli effetti di scolorimento dei colori causati dalla luce

LE FASI

– Identificazione della soluzione tecnica ottimale in stretta collaborazione con il lighting designer e con i responsabili del restauro
– Realizzazione di un sistema speciale dotato di ottiche innovative

IL PRODOTTO

– Le sorgenti luminose: lampade fluorescenti lineari 36W 5300K
– Griglia antiabbagliamento per il controllo dei fasci luminosi
– Controllo elettronico per il bilanciamento della luminanza
– Potenza delle sorgenti: 15 lampade x 36W= 540W
– Potenza del sistema: 600W
– Lumen nominali emessi: 15 x 2350 lum

IL RISULTATO

– Emissione trascurabile di raggi ultravioletti
– Perfetto controllo dell’abbagliamento con distribuzione uniforme dell’illuminamento

SPECIFICHE DI ILLUMINAZIONE

– Illuminamento medio ordinario: 50 lux
– Illuminamento medio straordinario: 100 lux
– Uniformità: > 0.7
– Indice di resa cromatica: > 95

 

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