Loft: da laboratori ad abitazioni

Un po’ come accadde in passato con la trasformazione delle soffitte in mansarde, in questi ultimi anni abbiamo avuto diversi problemi per la trasformazione di edifici adibiti a laboratori di tipo industriale, in luoghi abitabili: i loft. Lionella Maggi parla con voce calma mentre riassume in poche parole quello che è forse uno dei maggiori nodi che restano ancora da sciogliere, riguardo all’imperioso passaggio epocale che sta conoscendo la città di Milano (e non solo) in quest’epoca “postindustriale”. La Maggi conosce bene l’argomento, per via del suo impegno professionale: è infatti presidente della Federazione Mediatori e Agenti d’Affari (FIMAA) di Milano e vicepresidente dell’Organizzazione Servizi per il Mercato Immobiliare (OSMI), altrimenti conosciuta come la “Borsa Immobiliare” della Camera di Commercio milanese.“Il termine inglese “loft” significa proprio “ripostiglio”, “deposito”. E a Londra già ai primi accenni di deindustrializzazione, negli anni ’80 prese piede la tendenza a ristrutturare i grandi magazzini, soprattutto di carattere portuale (i “dock”), in spazi abitabili: da lì poi si è diffusa un po’ in tutto il mondo, portandosi dietro il nome. Così da noi “loft” vuol dire oggi soltanto “edificio di carattere industriale reso abitato”.
Qui sta il punto – spiega Lionella Maggi – “abitato” non vuol dire necessariamente “abitabile”. Stiamo parlando di edifici considerati urbanisticamente in zona omogenea B2: adatti cioè a usi lavorativi, non abitativi. Milano, città ricca di tante industrie non solo grandi, ma anche piccole e piccolissime, aveva moltissime costruzioni di questo tipo, spesso sorte nei primi decenni del XX secolo, con caratteristici tetti a falde in cotto, non privi di pregio storico. Ecco che negli anni Novanta molti hanno pensato di adibirli ad abitazione: potevano essere venduti a prezzi più bassi di quelli prevalenti nel mercato degli immobili abitabili, proprio perché mancavano di abitabilità…. E molti immobiliaristi ne hanno ristrutturati parecchi, spesso anche valorizzandone la presenza grazie al ripristino delle superfici esterne, delle coperture, delle finestre. E molti acquirenti sono stati felici di diventare proprietari di ambienti ampi, ariosi, luminosi, dai soffitti alti, spesso ubicati entro cortili, attorniati da prati…E allora qual è il problema?
L’interesse di investitori e acquirenti verso questo genere di immobile, non ha trovato una pronta risposta nelle Autorità civili, che per un certo periodo hanno teso a evitare di concedere l’abitabilità. Ne è sorta una specie di “zona grigia”: investitori e proprietari, non attendendosi una risposta certa sul piano delle regole, hanno continuato a vendere, ristrutturare e abitare loft accatastati come C3 ovvero come spazi di lavoro, non abitabili, ma che in realtà erano diventati abitati.
Ora, tutto questo è avvenuto in modo effettivamente abusivo.
Per conseguenza le ristrutturazioni dei loft nel corso degli anni Novanta, non hanno tenuto conto delle regole: non sono stati risanati i terreni sottostanti (e dove si trovavano laboratori che usavano prodotti chimici o altri inquinanti questo è un grave problema), non sono stati predisposti i vespai che consentono di staccare l’immobile dall’umidità del suolo…».

Dice “anni Novanta” perché poi la sensibilità è cambiata?
Decisamente: sia da parte dei privati, sia da parte delle Autorità, negli anni più recenti l’atteggiamento è stato molto più consapevole e le ristrutturazioni sono state compiute a regola d’arte, consentendo così alla città di mantenere zone dal paesaggio urbano consolidato nella storia recente, con i caratteristici tetti a “shed”: penso a tanti interventi realizzati in zona Ripamonti, agli ex stabilimenti Richard Ginori, a ampie parti di Via Savona che oggi sono divenute centro nevralgico delle esposizioni nell’ambito del Salone del Mobile, alla Via Rubattino… Ma resta il problema di molto di quanto è stato fatto prima, dal ’95 al 2005, per dare un’idea del lasso temporale.

Quindi vi sono molti loft praticamente abusivi, non abitabili, ma abitati: che fare?
Di questo bisogna discutere con giuristi, urbanisti, progettisti, amministratori: è l’argomento dell’incontro del 31 maggio organizzato da OSMI e Di Baio Editore…

Di quanti immobili stiamo parlando?
I loft abitati ma non abitabili sono un numero imprecisato ma molto grande: migliaia di metri quadrati di terreno edificato che dovrebbe essere risanato. Chi vi abita però preferisce tacere: l’opera di risanamento comporterebbe carotaggi per analizzare le condizioni del terreno e, qualora questo fosse inquinato, richiederebbe interventi molto invasivi, forse anche l’abbattimento dell’immobile.
Chi vi abita preferisce mantenere la condizione di ambiguità attuale per evitare stravolgimenti del proprio modo di vivere.

E per evitare di spendere molti soldi…
No, questo non è vero. Perché un immobile accatastato B2 ha un valore basso, se invece fosse dichiarato pienamente abitabile vedrebbe lievitare notevolmente il proprio prezzo.Conclusione?
Occorre un’attenta opera di studio e di riconciliazione tra regole e mercato. Alla lunga risanare le situazioni di abusivismo non solo consente di ottenere luoghi di vita più gradevoli e salutari, ma anche più redditizi sul piano immobiliare.
Si tratta di agire con prudenza, ma anche con competenza, nell’interesse comune. E di arrivare ad avere una città dove loft e mansarde siano pienamente inseriti in un panorama cittadino armonico, privo di dissonanze e di dissennatezze…

Ci si riuscirà?
È uno dei principali compiti che l’OSMI si è prefissato di raggiungere, con l’aiuto di chi si occupa di cultura e di informazione.VUOI SAPERE TUTTO SU FIMAA? POTRAI ACCEDERE A TUTTE LE INFORMAZIONI UTILIZZANDO IL LINK PRO http://pro.dibaio.com/fimaa-oggiWhat a colourfull world!
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