Lo spazio celebrativoRitornare alla basilica

 

 

Don Adolfo Lafuente, Direttore dell’Ufficio Beni Culturali dell’Arcivescovado di Madrid, spiega in che modo il tema della conformazione dello spazio liturgico è affrontato nella più importante diocesi spagnola.

D i che stiamo parlando, quando ci riferiamo alla Comunità? Il lettore converrà che il termine “Comunità” evoca nei cristiani significati diversi: la Chiesa universale, la Chiesa diocesana, il gruppo dei cristiani di una parrocchia, il gruppo di religiosi o di religiose di un monastero o di una casa entro un quartiere, i cristiani di un certo movimento che si raccolgono attorno ai loro circoli di studio o di preparazione… Incontrarsi con questi svariati gruppi che ricadono tutti sotto il termine “Comunità” ci consente di affrontare con chiarezza quel che desideriamo cominciare a esprimere. Non è possibile celebreare l’Eucaristia senza la Comunità, tuttavia è la stessa Comunità che definisce lo stile e il modo di celebrarla. Non immaginiamo una celebrazione nella Basilica di San Pietro o nella piazza circondata dal colonnato del Bernini diversa da quella cui abbiamo assistito la scorsa Pasqua. D’altro canto non si riesce a immaginare una celebrazione dell’Eucaristia con un gruppo di dodici universitari nei grandi spazi citati o nei templi parrocchiali della nostra diocesi. Ogni comunità richiede il suo proprio spazio e il suo proprio modo di celebrare. E questo si riferisce non solo al numero delle persone, ma anche alla qualità della comunità che celebra. Occorre aggiungere, a tal riguardo, che certi gruppi tendono ad appropriarsi la Comunità, come fosse cosa loro. Così “la mia comunità” finisce per escludere “la Comunità”. “Il mio cammino” esclude “il Cammino”, “il mio mondo” esclude “il mondo”. Dovremmo invece riservare il termine Comunità alla Chiesa, relativizzando piuttosto le altre comunità, con i loro modi e forme concrete. Non si tratta di sottovalutarle, bensì di collocarle nel loro giusto valore di mezzi concreti che servono a determinate persone. I diverisi concreti e specifici modi di celebrare che sorgono da questi gruppi non devono essere imposti alla più grande comunità di cui questi e altri gruppi fanno parte. E’ così che si è venuta formando una proposta che oggi è valida per la diocesi di Madrid: è la comunità parrocchiale il gruppo di riferimento nel momento in cui si ricercano le forme e i modi della celebrazione. Al riguardo mi si permetta una immagine che, nel corso della mia funzione pastorale, presentavo a quei gruppi che, vivendo un’esperienza più radicale della comunità, sembravano voler escludere altri gruppi. Dicevo: l’unico che ha diritto di essere Chiesa è Cristo, e se ampliamo il circolo, seguono gli Apostoli e i Santi; ampliando ancora seguono i cristiani più impegnati che hanno dedicato la vita all’insegnamento del Vangelo. Si continuavano ad aprire circoli più ampi secondo quel che suggeriva l’assemblea stessa e così ci si rendeva conto che era molto difficile escludere qualcuno che in forma più o meno chiara manifestasse di credere che Cristo è il Signore per la Gloria di Dio Padre. Credo che le parrocchie di una diocesi ricoprano, o debbano ricoprire, questo ruolo: Comunità di comunità, Gruppo di gruppi, Luogo di incontro comune di coloro che nel-la parrocchia cercano Dio attraverso i cammini più diversi e a livelli differenti. Questo stesso criterio fa sì che nelle nostre celebrazioni domenicali dobbiamo rifuggire da forme che facciano riferimento a gruppi concreti ma che non raccolgano la totalità del gruppo parrocchiale. I nostri professori della Scuola di architettura di Madrid (Università politecnica), ci hanno mostrato che non dobbimao confondere il piano con lo spazio. Tale distinzione, apparentemente ovvia, non è tanto semplice per coloro che per professione lavorano prevalentemente con la pianta. Sembra che oggi vi sia la tendenza a dare per scontato che si possa prescindere dallo spazio per osservare solamente la pianta, il piano puro. In questo modo non arriviamo a altro se non all’inespressionismo dell’architettura religiosa. Nell’estate dell’anno scorso sono tornato a visitare il Gotico religioso francese e ancora mi sono sentito soverchiare dagli spazi di Beauvais, dall’equilibrio di Notre Dame o delle luci di Chartres. Ho sempre avuto le stesse sensazioni: stavo entrando in un altro spazio. Riuscire a far sì che l’architettura attuale raggiunga questo salto di livello, a trasmettere mediante lo spazio la sensazione di star entrando in qualcosa di diverso e tuttavia non separato dalla nostra vita di ogni giorno: questo sarà di aiuto al gruppo nella celebrazione. L’architetto Miguel Fisac, negli anni settanta, spiegava questo, riguardo all’organizzazione del gruppo nella celebrazinoe: si metta un gruppo, di persone, per quanto numeroso sia, in una campo aperto in Castiglia. Si individui un punto di riferimento, per esempio, un palco da cui potrà parlare un oratore; e si vedrà come tutto il gruppo si colloca in un settore circolare il cui angolo centrale sarà approssimativamente di 120 gradi. Questo, concludeva Miguel Fisac, è ciò che chiamiamo angolo umano. E’ da questo criterio che, con risultati più o meno appropriati, è derivata la disposizione dei nostri templi di Madrid: la conformazione che chiamaiamo “a ventaglio”. Seguendo questo criterio la tendenza è di evitare le conformazioni a forma di croce, sempre che non si faccia avanzare il presbiterio (talvolta fino all’incrocio dei bracci, come avviene nella Cattedrale di Madrid o nel Duomo di Milano) tanto che si finisce per parlare di un’altra forma di pianta. A mio modo di vedere la parte dimenticata della liturgia è quella dei cosiddetti riti di aper tura. Al riguardo mi riferisco alla liturgia della Veglia Pasquale, in cui questi assumono particolare importanza. La riunione del gruppo parrocchiale attorno al fuoco permette alle persone di riconoscersi e di salutarsi, come anche di partecipare ai problemi dei fratelli e di rallegrarsi dei loro successi. In definitiva permette che il gruppo si identifichi in quanto tale, tuttavia con riferimento a qualcosa di superiore: ciò che accadrà in seguito. Non meno dimenticati, almeno per i presbiteri e per gli spazi architettonici, sono quelli che potremmo chiamare i riti finali, che dovrebbero includere una parola e un saluto estemporaneo in un ambiente più disteso. Nella basilica di San Paolo fuori le mura troviamo un esempio magnifico di quel di cui stiamo parlando: l’ampio spazio davanti alla basilica stessa di per sé dovrebbe esser esempio da riprendere negli edifici di culto attuali. Ma proporre oggi la costruzione di un tempio parrocchiale delle dimensioni di San Paolo fuori le mura è pratica-mente impossibile. I limiti posti dai regolamenti comunali la impedirebbero. Cerchiamo di riassumere in alcune osservazioni quel che guida il nostro lavoro di progetto a Madrid. Gli edifici dedicati al culto cristiano devono essere tali da rendere presente la Comunità (la Chiesa) così come essa è nella sua piccola parcella urbana. Nella sua organizzazione deve prestare atten-zione a quattro (tre in realtà) momenti della celebrazione: la costituzione dell’assemblea, la liturgia della Parola, la Preghiera eucaristica e il saluto. Gli edifici devono essere disposti in maniera tale da recepire in modo spontaneo l’assemblea. Devono essere organizzati tenendo conto del complesso della comunità parrocchiale, non solamente dei singoli gruppi, piccoli o grandi che siano. Devono soddisfare requisiti e limiti imposti dalle normative e dalla tecnica. Ciò detto, credo che la conclusione sia evidente: una disposizione che tenda alla pianta basilicale, con caratteristiche e sfumature tali da accogliere ogni comunità e ogni spazio, è preferibile alle altre. E’ questa la nostra scelta attuale. In futuro, col cammino che nel frattempo la Comunità avrà compiuto e con la crescita spirituale e materiale, forse potranno realizzarsi altre possibilità e forme, così come, nel corso della sua storia, la Chiesa ha generato una pluralità di organizzazioni dello spazio celebrativo e di forme architettoniche che senz’altro hanno aiutato la comunità cristiana a celebrare l’Eucaristia e ad aumentare il patrimonio culturale del mondo.

Don Adolfo Lafuente Direttore, Ufficio Beni Culturali, Arcidiocesi di Madrid

 

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