Le vesti e le mode nella Chiesa

LE VESTI E LE MODE NELLA CHIESA

I cristiani non hanno vestiti speciali, tranne, oggi e ieri, i ministri, sia quelli ordinati sia, in certi casi, gli altri, a partire dai ministranti per arrivare ai ministri istituiti, lettori ed accoliti. Può darsi una indicazione precisa di come debba essere la veste? Il principio guida dev’essere quello della bellezza: ma una bellezza attuale, radicata nell’oggi.

P. Prof.
Giacomo Grasso, O.P.

Per le vesti liturgiche si può ricordare che nel primo millennio c’era una certa varietà nelle cristianità mediterranee e di centro Europa, e anche una certa difficoltà nei loro confronti. Mentre nel secondo millennio, forse anche per una spinta delle culture bizantine da una parte, barbariche dall’altra, cominciarono a darsi vesti speciali. Come scrive Eugenio Costa, S.J., nella Enciclopedia di Pastorale, (Piemme, Casale Monferrato, 1988, p. 22): «La storia delle vesti rituali è istruttiva: quanto più si accentua il peso, la dignità, la sacralità dei ministeri, tanto più il vestito si diversifica da quello comune, si appesantisce e si carica di significati allegorici, al punto di non aver più molto rapporto con i vestiti correnti, tuttavia lasciandosi influenzare dalle mode dell’epoca». Questa saggia annotazione fa riferimento particolare all’Occidente e alle Chiese orientali. In Africa, penso alla Costa d’Avorio, al Senegal, al Burkina Faso, nei villaggi il celebrante è vestito un po’ meno elegantemente del Capo o degli anziani, ma la tipologia è la stessa. Fermiamoci un po’ alle Chiese in Occidente, a quella cattolica di rito latino. L’influenza delle mode è indubbia, ma mi permetto di compiere alcune annotazioni. Fino al perdurare dell’Ancient Régime (fine ‘700, inizio ‘800) era la moda “materiale” a influenzare. Qualche esempio: fino al XIII secolo il Papa era vestito come l’Imperatore di Costantinopoli; i Domenicani della prima generazione portavano un abito (e con loro tante comunità canonicali e monastiche) assai semplice, simile a quello che si usava tra gli Arabi; a fine ‘600 il ritratto del Re Sole e quello di un Vescovo – come il grande oratore e buon teologo Bossue – li mostravano omogenei, anche nelle cerimonie sacre. Non così oggi. A parte le folcloristiche Guardie Svizzere e i Prelati, attorno al Papa stanno i fedeli in borghese. Se è possibile con un abito da festa, ma del tutto disomogeneo dalle vesti liturgiche di Giovanni Paolo II, anche se queste sono assai diverse, ma per mo-tivi non materiali, bensì ideologici, da quelle che usavano Pio XI e Pio XII.

Ci sono stati grandi artisti, e ce ne sono ancora, che hanno disegnato splendide casule, semplici albe che, se assomigliano a vestiti correnti, la somiglianza è con il vestire femminile – e alle donne non appartengono i ministeri ordinati. I vescovi e i pastori nella Riforma vestono le donne che hanno accesso a questi ruoli, come vestono gli uomini… Tutto questo si constata sempre, con diversi livelli di buon gusto e ricchezza, dalla più importante cattedrale alla più povera parrocchia. C’è una frattura tra -almeno – i più dei Christifideles laici e la stragrande maggioranza dei Chierici. Padre Congar, poi Cardinale (1904-1994), diceva: «Sono questioni da sarti», quando si parlava di abiti ecclesiastici. Per le “vesti liturgiche” noi occidentali della Chiesa latina dobbiamo vivere questa operazione schizoide. Perché non ci si perda “nella sacralità” (cfr. E. Costa, citato) occorre un duplice comportamento, apparentemente contraddittorio. Le vesti liturgiche sono “sommamente inutili” ma, nell’insieme, è bene usarle e possibilmente sacrificarsi per averne di veramente belle, per il tessuto e le decorazioni. In questo campo si ha qualcosa di interessante a Parigi e in Germania. Può essere anche operazione intelligente sostituire preziosi tessili molto antichi che usati soffrirebbero dello smog e della temperatura e clima, con copie d’ancienne che attenti artigiani sanno realizzare. Ma ha da essere chiaro che sono “sommamente inutili” e dunque che anche senza di esse, o con esse assai ridotte, si può far memoria. Nella baracca n. 25 a Dachau, il Vescovo di ClemondFerrand teneva un pontificale e ordinava un diacono lituano come prete, avendo dei paramenti simbolici. Simbolico, sulla tenuta da prigioniero politico, triangolo rosso, il vestito, ma totale nella sua dimensione ontologica di alter Christus, quel successore degli Apostoli – e non c’era né un Viollet-le-Duc a inventare-restaurare il Medioevo, né un solerte officiale della Congregazione dei Riti a controllare che tutto dicesse “OK” in quella ordinazione presbiteriale. L’elenco dei martiri del XX secolo, più ricco di quello del III e del IV secolo, rende “sommamente inutili” le vesti liturgiche, eppure da usarsi nella Santa Chiesa che è insieme visibile e spirituale (cfr. LG, 8) e chiede abiti appositi (cfr. SC, che non fa riferimento alle vesti liturgiche, PO, 3 e OT, 11 che privilegiano uno stile di vita che tenga conto delle virtù umane, e vengono elencate). I preti nel CJC, can. 284, sono invitati, in quanto chierici, a portare un abito adeguato, secondo le indicazioni delle Conferenze episcopali. È un invito collegato a tanti altri, che dovrebbe portare i chierici, e i religiosi, ad usare abiti semplici, po-veri, autenticamente testimonianti la sequela Christi.

Sopra: a sinistra, abito delle suore del convento di Waasmunster-Roosenberg e a destra, abito per la funzione liturgica del monastero di Vaals, disegnati da Hans van der Laan. (Immagine tratta da ” Dom Hans van der Laan” di A. Ferlenga e P.Verde, Electa, Milano, 2000) Pianeta in cannellato ricamato, metà del sec. XVIII. (Da: “Il ricamo in Italia dal XVI al XVIII secolo”, Interlinea, Novara, 2001)

 

Splendide figure di Preti in sottana, oppure in tuta, hanno attraversato l’ultimo venticinquennio del XX secolo. Ricordo
don Maxia, Prevosto di San Donato in Genova, sempre in tonaca ma povero tra i poveri e sempre generoso con essi, e don Carlevaris, prete operaio a Torino, che era autenticamente operaio e celebrava con gli operai nella sua soffitta nel centro di Torino, usando il minimo possibile le vesti liturgiche. Del resto in un ‘800 durante il quale si “inventano” gli abiti dei Domenicani e dei Minori (mai Domenico o Francesco vestirono così…) circolavano Preti ossequenti alle indicazioni di Pio IX e dunque con l’abito “piano” che aveva allora una storia recentissima e oggi non si può più dire appartenga alla Tradizione della Chiesa. San Girolamo ci prenderebbe per pazzi se dovesse vestire gli abiti purpurei e il grande cappello cardinalizio, essendo un “cardinale prete” della Roma di San Damaso! Se è possibile celebrare in una baracca di Dachau, o in vetta all’Albergian (ci sono arrivato, solo adulto, con quaranta ragazze e ragazzi di un campo scout AGESCI), o nella soffitta di don Carlo Carlevaris, in una cattedrale, in una parrocchia, in una chiesa conventuale o abbaziale, in un Santuario, occorre far fuoco con la povera legna di una cultura che non c’è e che inventa i primi secoli, come fanno i cosiddetti neocatecumenali. C’è chi li inventa bene, nelle vesti liturgiche veramente belle, design di grande artista e tessuto a mano di grande qualità, chi li inventa male e trova tutto in negozietti che hanno il solo van-taggio di far pagare poco. Sono comunque invenzioni ideologiche, non appartengono alla civiltà che stiamo vivendo, e questo capita per la prima volta e trova tanti dubbiosi, tanti sulle posizioni statiche, i più la pensano come Congar (problemi da sarti). Eppure, si arriverà a una soluzione? Penso di sì, condividendo sia l’utilizzo, da parte del papa nella Lettera agli Artisti della frase da “L’idiota”: “La bellezza ci salverà”, sia, in parte, l’espressione di Vattimo, secondo cui la religione sarà salvata dall’estetica. Ma va colta la bellezza dell’oggi.
P. Prof. Giacomo Grasso, O.P.

Alcuni schemi di tuniche che Hans Van der Laan riprendeva da abiti di uso comune, in questo caso di Paesi orientali. (Immagine tratta da “Dom Hans van der Laan” di A. Ferlenga e P. Verde, Electa, Milano, 2000)

 

 

 

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