La storia dello spiedo

L ‘immortalità di un gesto quotidiano ricco di storia,tradizione e passato assume il valore di un rito,di un ritorno alle origini,di una continuità senza tempo.Questa è la storia dello spiedo che ancora oggi nel bresciano si innalza ad arte,a una forma di cultura che va oltre al primitivo gesto del cucinare per appartenere a precisi rituali rivolti alla seduzione del gusto.Un rito che ancora oggi si svolge attraverso precisi gesti documentati dalle molteplici testimonianze magistralmente raccolte da Carla Borroni e Anna Bossini nel volume che ha per tema Brescia e la civiltà dello spiedo (ed.La compagnia della Stampa,Masetti Rodella Editori)di cui presentiamo alcuni brani.<La forma di cottura delle carni per semplice arrostimento è sicuramente la più antica ad essere stata praticata dall’uomo dopo aver scoperto l’uso del fuoco e dopo averlo ‘addomesticato ‘ nel focolare.

L’uso di tenerlo acceso durante tutto l’anno e di cucinare,risale,secondo l’antropologo Richard W. Wrangham,docente ad Harvard,a due milioni di anni fa e dovrebbe essere contemporaneo all’occupazione delle regioni più fredde,come ad esempio l’Europa,che non sarebbe stata possibile senza l’aiuto di un focolare,peraltro indispensabile per la cottura delle carni procurate attraverso la caccia sistematica.Il reperto più antico finora ritrovato,secondo diverse e discordanti versioni degli scienziati,è da collocarsi un milione e mezzo di anni fa,ma non è escluso che in futuro si possano trovare prove anteriori a questa.La tecnica di cottura per gli animali di grossa taglia avveniva collocandoli interi o a pezzi su pietre tenute costantemente calde dalle braci,seppellendoli sotto le braci o circondandoli col fuoco e arrostendoli per irraggiamento di calore,mentre le piccole parti venivano cotte con lo stratagemma di avvolgerle in uno strato protettivo di foglie per non disperderne l’umidità, infilzate con sottili bastoni di legno ed esponendole alla fiamma,e questo può sicuramente dirsi la forma più arcaica di spiedo conosciuta.Lo spiedo compare in epoca Tardo Medievale con il nome che gli conosciamo sui rari trattati di cucina,quali Mastro Martino, Bartolomeo Scappi e Teofilo Folengo,mantovano di nascita,ma bresciano di adozione…Il nome risale infatti a questo periodo storico,dal latino medievale spetus ,parola di origine longobarda, dall’antico francese espiet e dall’inglese spit ,termini che si riferivano ad un’arma costituita da un’asta di frassino o tasso,legni resistenti e flessibili,della lunghezza di circa due metri che ad un’estremità montava un’accuminata punta di ferro dalla forma genericamente romboidale o di foglia,il cui uso poteva essere legato ai combattimenti o alla caccia,nel qual caso presentava alla base due raffi di arresto che servivano per poterlo estrarre facilmente dai corpi delle prede a cui era destinato:animali di grossa taglia quali il cervo,il cinghiale,l ‘orso.

Nelle foto: L’ampia produzione Palazzetti offre molteplici soluzioni per barbecue, forni e cucine in muratura in cui i sapori e la convialità di un tempo si sposano con la funzionalità, la praticità d’uso e linee sia tradizionali, sia contemporanee.
La calda atmosfera di una cucina toscana con le piastrelle dall’antico decoro fiorentino e il grosso trave il legno antico che sormonta il camino.

Esemplari di quest ‘arma si possono ammirare nelle sale di molti musei d ‘Europa,dove appaiono in molte versioni,dalle più semplici alle più ricche e lavorate.Il termine,che nasce nell’ambito semantico La storia dello spiedo relativo alla accia e alla guerra,passa successivamente a quello cucinario sicuramente in virtù dell’identica funzione primaria posseduta da entrambi di servire per trapassare le carni, non escludendo che lo stesso oggetto fosse stato utilizzato sia da soldati che da cacciatori per arrostirle sul fuoco in situazioni di necessità.Pur se indicati con la stessa parola,i due strumenti sono andati via via differenziandosi sino ad assumere ognuno una propria identità.Le prime notizie scritte sullo spiedo in cucina ci giungono da trattati del Medioevo, come quello di cui riportiamo un estratto: "Per arrostire carni e pesci il cuoco poteva contare su una varietà di spiedi e griglie.A seconda della dimensione e del peso del pezzo da cuocere il cuoco sceglieva uno spiedo pesante o leggero di una determinata lunghezza.Lo spiedo più lungo che Chiquart cita è di 13 piedi:anche se nell’ambito di questa lunghezza diversi spiedi di vario spessore sono disponibili nella cucina.La scelta da parte del cuoco dello spessore dello spiedo dipendeva,ovviamente,dal peso che ci doveva infilare.Lo spiedo era in genere montato su anelli di un paio di pesanti sostegni di metallo disegnati per reggere lo spiedo ad altezza variabile davanti o direttamente sopra il fuoco.Oppure lo spiedo poteva essere appoggiato a ganci sugli alari stessi:in modo che la carne non fosse direttamente sopra al calore,ma in qualche modo di fronte alla fiamma. Prima che giungessero (nel XVI e XVII secolo)i giorni della sperimentazione di spiedi che giravano meccanicamente,gli sfortunati sguatteri "giraspiedi"o "girarrosto " potevano quantomeno, godere della protezione di uno schermo di metallo leggero.Come gli spiedi montati nel ferro,anche il legno era molto in uso per questo scopo e non solo per cucinare degli spiedini.Chiquart però mette in guardia contro l’uso di spiedi di legno:egli avverte il lettore che può essere un’economia sbagliata cercare di risparmiare usando uno spiedo di legno e sprecare un costoso pezzo di carne.La carne montata su uno spiedo di solito era attraversata dallo spiedo stesso:esistono alcune ricette di spiedini nei quali diversi uccelli e pezzi grossi di carne e verdura sono alternati per tutta la lunghezza dello spiedo.Altrimenti la carne può essere legata allo spiedo con una corda:questo procedimento era particolarmente in uso per gli uccellini.Un gran numero di ricette medioevali indica,con apparente indifferenza,che la tale o la tal’altra carne dovrebbe essere arrostita (quindi cotta allo spiedo)o cotta alla griglia.

Nelle foto: Leonardo da Vinci, schizzo progettuale per un girarrosto automatico, basato sullo sfruttamento dell’energia del fumo prodotta dal fuoco. (da Il camino 9/1982, Di Baio Editore)
Uno spiedo d’autore al Mulino della Rodella, Brescia. (Foto di Virginio Gilberti, tratta Brescia e la civiltà dello spiedo, La Compagnia della Stampa, Massetti Rodella Editori).

Le griglie erano di uso comune.Pezzi relativamente piatti di cibo,come il pesce prima o dopo essere stato sfilettato,che erano troppo sottili per essere infilati su uno spiedo,potevano venire arrostiti su una griglia appoggiata sulla fiamma.Arrostire, su uno spiedo o su una griglia,era considerato,molto logicamente come abbiamo visto,un procedimento che scaldava e asciugava la carne al massimo grado.Perciò arrostire era il metodo ideale per cucinare una carne fredda e umida come il maiale e a volte uccelli ".
Il passo successivo nella storia dell’evoluzione di questo importante attrezzo di cucina è rappresentato dalla sua prima meccanizzazione,che avrebbe liberato i garzoni dei grandi e fumosi antri in cui si approntavano le vivande dalla schiavitù del girarlo manualmente ore ed ore,esposti costantemente ad una forte fonte di calore…Nel Bresciano esistono numerosi esemplari di spiedi regolati col meccanismo dei contrappesi,che ricordano il funzionamento degli orologi a pendolo con carica manuale,dove la raggera girava proprio grazie al peso,senza contare quanti ne saranno andati perduti,distrutti dall’ignoranza e dall’incuria.Ogni palazzo,casa signorile e cascina ne possedeva uno,perchè questo era considerato il piatto che per antonomasia doveva,se possibile,segnare i momenti culmine della vita civile e religiosa.Ad eccezione delle cascine,dove lo spiedo era connaturato,data la presenza di animali da cortile e la possibilità di procurarsi la selvaggina anche con mezzi empirici,in tutti gli altri ambiti sociali rappresentava uno status symbol,mentre solo nei casi fortunati i ceti più bassi potevano disporre dell’esemplare più piccolo esemplificato, costituito da uno schidione centrale in ferro munito di un manico a manovella rivestito con un tubo in metallo o in legno,che veniva sorretto da due alari in ferro battuto,(in bresciano cavréte ),lisci o decorati,muniti di un treppiede,che presentavano su un lato una serie di ganci di ferro posti ad altezze differenti per consentire di tenere la carne più o meno discosta dal fuoco e dalle braci e ottimizzare la cottura.In un momento successivo,all’unico schidione si sono potute aggiungere quattro aste (raspe), fissate tramite saldatura o ribattitura su una prima crocera e infilate in altre due munite di fori,espediente che permetteva di spiedare una maggiore quantità di carne.Un altro luogo,l’osteria,o la locanda,terreno neutrale accessibile ad ogni categoria sociale, accoglieva gli importanti spiedi regolati da congegni meccanici, e uno di questi,azionato con il sistema del fumo,funziona tuttora per perfettamente nell’antica ‘Trattoria della Torre ‘ nella contrada di Novale del Comune di Caino,di proprietà di Dario Emer.Si tratta di un rarissimo esempio di macchina leonardesca costruita secondo;disegno contenuto nel famoso Codice Atlantico di Leonardo al folio 5,verso a,di cui,secondo uno studente che ne ha fatto oggetto della propria tesi di laurea, esisterebbero solo tre esemplari in tutta la Lombardia>.

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