La simbolica della cattedrale nel complesso contesto urbanistico odierno


Meglio seguire un approccio progettuale nuovo, coerente con le produzioni attuali, oppure scegliere di ricorrere alla tradizione, magari adducendo modifiche atte a testimoniare il tempo corrente? La cattedrale di Oakland (California) e la nuova concattedrale di Houston (Texas) permettono di discutere l’argomento. L’intervento del Prof. Manlio Sodi.

Disquisire sugli stili architettonici è come ricorrere al classico
de gustibus non est disputandum. Una volta che la scelta dell’edificio è stata pattuita tra committenza e architetti c’è solo da prendere atto dei risultati, vagliarli alla luce del contesto urbanistico in cui sono collocati, vederne l’incidenza o la problematicità nello svolgimento di una celebrazione, osservare il rapporto tra struttura e agibilità da
parte dell’assemblea riunita, coglierne l’afflato di spiritualità che può emanare o meno già a partire dall’edificio vuoto.

Rev. Prof. Manlio Sodi, SDB

Il problema circa la scelta di uno stile o di un altroè relativo a ciò che si intende raggiungere con il messaggio che promana poi dall’edificio, sia quando è “abitato” che quando è vuoto, sia all’interno che all’esterno. Proviamo a valutare alcune prospettive osservando la concattedrale del Sacro Cuore a Houston, in Texas (v. CHIESA OGGI architettura e comunicazione 87/2009). Non sta a noi formulare la risposta agli interrogativi, ma a chi “abita” quell’edificio, durante le celebrazioni e al di fuori di esse. All’origine dei grandi o piccoli edifici ecclesiali della tradizione cristiana – che parlano con eloquenza ancora oggi, a distanza di secoli – sta sempre non un’idea astratta di ekklesía, ma una comunità guidata
o accompagnata da pastori-teologi che hanno fatto sintesi nella loro competenza tra mistero e vita, e che hanno inteso dare un contributo prezioso perché questa sintesi sia iconizzata in un edificio o in una parte di esso (ad esempio, il progetto
iconografico). Sorge allora l’interrogativo: la concattedrale di Houstonè frutto di una discussione teologico-liturgico-ecclesiologica? Vuol trasmettere un’immagine o un’idea di Chiesa? Lo stile di un edificio sacro non è un qualcosa di aleatorio; esso denota un’impronta che intende rilanciare un messaggio sia per chi ne osserva la struttura anche distrattamente, da lontano o da vicino, sia per chi varca la soglia pur con motivazioni diverse.
Di fronte alle immagini, soprattutto esterne, della concattedrale è doveroso formulare la domanda: nel complesso panorama costituito dalle torri dei palazzi della città, le modeste proporzioni della concattedrale cosa intendono richiamare? La scelta di uno stile classico, controcorrente rispetto al vortice di postmodernità che attornia l’edificio, può essere un messaggio per ricondurre la mente e il cuore dell’uomo all’essenziale? Capita frequentemente di incrociare con lo sguardo edifici-chiesa che sembra abbiano timore di essere caratterizzati in qualche loro parte da una croce.
La foto dell’esterno della concattedrale evidenziano invece tre croci – di cui una di ben 5 metri!
La scelta appare indovinata, tanto che l’insieme della struttura sembra quasi costituire un complesso supporto al simbolo della croce in cui si identifica una comunità, e che comunque richiama un messaggio e una vita.
Sorge la domanda: quale impegno di evangelizzazione e di catechesi è e sarà messo in atto perché il simbolo– ripetuto tre volte – sia percepito come un messaggio costante e perenne per qualunque sguardo?
L’apertura spirituale provocata dallo spazio interno dell’edificio è sì standardizzata sugli elementi ordinari della struttura ecclesiale. La pianta a croce latina individua una traditio che è parte integrante della cultura cristiana.

La nuova concattedrale di Houston, firmata dallo Studio Ziegler-Cooper, si presenta con una forma generale neoromanica, ma con una vetrata frontale decisamente inconsueta e un assetto liturgico incentrato sul bipolarismo altare-battistero.
Pagina a lato: la nuova cattedrale di Oakland, progettata da Craig Hartman dello studio SOM,è come un’immensa tenda di cristallo. La discussione dei due approcci progettuali, è cominciata su CHIESA OGGI architettura e comunicazione 86/2009 e proseguirà anche sul sito <www.chiesaoggi.it>.

Lo stile romanico riconferma questa traditio, pur con il rischio di apparire come una forzatura; ma i numerosi elementi che gli architetti hanno fatto filtrare nell’insieme della struttura rendono attuali delle linee che, mentre recuperano la tradizione hanno comunque la capacità di interpretare il nuovo.
Da qui l’interrogativo: è stata completata la verifica dei vari linguaggi che solitamente sono espressi nell’edificio sacro e che caratterizzano sia lo svolgimento della celebrazione, sia la devozione privata e pubblica dei fedeli? Nella loro globalità questi linguaggi manifestano una unitarietà? Dall’insieme si torna al concetto teologico: quale ecclesiologia traspare da un’assemblea celebrante, riunita nella celebrazione dei santi misteri, e strutturata localmente dall’edificio? Le strutture essenziali sono assicurate in modo eloquente: altare, ambone, sede, fonte battesimale, cero pasquale… (saranno da verificare la cappella feriale, l’aula penitenziale…) sono linguaggi che nella loro armonicità – sia di disposizione che di rapporto strutturale con l’insieme – permettono di percepire una sintesi armonica.
Sorge allora la domanda: tanto la celebrazione nel suo svolgersi, come le varie formedi comunicazione religiosa sapranno aiutare i presenti a leggere la complessità e l’armonia di questi linguaggi per una formazione unitaria del fedele? C’è ancora un aspetto
che merita attenzione, tra i vari che potremmo sollecitare: la presenza della cupola. Merita plauso la scelta, soprattutto in un tempo in cui si ha timore di sollevare cupole… Problemi strutturali non mancano, come non mancavano al Brunelleschi quando si impegnò a “dar di volta alla cupola” di S. Maria del Fiore a Firenze. Ma non è la struttura in quanto tale che sollecita eventuali nostalgie; è il simbolo che la cupola racchiude, e che ha la capacità di assorbire in una sintesi vitale quanto si compie soprattutto sull’altare posto al centro di essa.
Da qui l’interrogativo: un esempio come quello di Houston non può costituire un invito per riflettere su questa soluzione e rilanciarne il messaggio? La discussione potrebbe proseguire ancora! Un “romanico nella postmodernità” può provocare interrogativi, è vero; ma il messaggio che traspare dall’adattamento di linee classiche situate nel complesso postmoderno
di una grande e vivace città come Houston, più che un richiamo al passato – per molti del resto sconosciuto – si presenta come un elemento di novità, sia a un primo sguardo, sia soprattutto come motivo di formazione per una comunità di fede.

TRADIZIONI “TIPOLOGICHE” O NUOVE SIMBOLIZZAZIONI ECCLESIOLOGICHE?

Si è soliti affermare che i confronti sono sempre rischiosi, ma talvolta si impongono da soli, o è la stessa vita che li urge dal momento che dire “vita” implica necessariamente vitalità, evoluzione, cambiamento, adattamento all’oggi e talvolta profezia di domani. Nel contesto dell’architettura ecclesiale il capitolo della creatività e dell’inculturazione è stato sempre in progress, costantemente aperto a nuove idee e soluzioni, perché simbolo di una vitalità che la comunità di fede esprime con l’evidenza della plasticità delle sue linee.
A differenza di espressioni artistiche di altre religioni, i canoni estetici e architettonici della Chiesa di rito romano hanno sempre manifestato una vivacità la cui eloquenza è racchiusa nelle infinite costruzioni elevate in quasi due millenni.
Ed è in questa logica che sono da collocare le acquisizioni strutturali emerse dalla fantasia delle nuove forme architettoniche. Accentuo il termine fantasia per richiamare una realtà su cui dovrà svilupparsi un confronto: quello sulla spiritualità e la
mistica dell’architettto quando si accinge a “pensare” una struttura ecclesiale.
Nel confronto tra le due soluzioni architettoniche di Houston e di Oakland possono sorgere varie domande.
È più eloquente l’una o l’altra? Quali contenuti di questa eloquenza si intendono far emergere? Le soluzioni sono state pensate per accontentare un desiderio della committenza o per sviluppare o ribadire un concetto di “comunità ecclesiale”? Si è voluto accentuare ciò che colpisce esternamente, da lontano, oppure offrire, in una logica unitaria interiore, un’esperienza in cui il “luogo” è momento essenziale di un dialogo, di un ritrovarsi con Dio e con gli altri? Sono solo alcuni degli interrogativi che possono sorgere di fronte a quanto possiamo osservare nelle pagine di CHIESA OGGI architettura e comunicazione 86/2009 e 87/2009, dove le due realizzazioni sono presentate. Di fronte ai due esempi emerge un dato di fatto: oggi, pur nella variegata possibilità di offrire stili architettonici, chi osserva si trova ad essere immerso in una pluralità di stili tra il moderno e il postmoderno che possono trovare soluzioni cariche di messaggio teologico anche in uno stile “moderno”.
In questa linea, se il dialogo si svolge tra liturgia ed ecclesiologia – come del resto dovrebbe essere, dal momento che la struttura trasmette un’idea di Chiesa – la cattedrale di Oakland, in California (v. CHIESA OGGI architettura e comunicazione 86/2009) sollecita più attenzione che non quella di Houston. Una sollecitazione che non è tanto richiamo a elementi di curiosità, ma messaggio di un qualcosa d’altro che si staglia da ciò che attornia, pur dialogando negli elementi
e in certe linee con gli edifici del territorio.
E forse questo è il messaggio più forte che provoca – oggi – l’osservatore a riflettere: che cosa dicono queste linee? Quella prospettiva esterna di “incompiuta” con le linee che si protendono verso l’alto non racchiude l’anelito di una comunità continuamente in costruzione? E nell’interno esplode positivamente l’idea del Cristo Luce sia nei movimenti dinamici delle linee, sia nel gioco dei riflessi di luce, sia nel dinamismo dello spazio che rinvia al dinamismo di una comunità protesa verso
la Sorgente della luce, la Trinità Ss.ma.
La cattedrale di Oakland, nell’eloquenza delle sue forme, lancia un messaggio e un’immagine di Chiesa che mentre invita l’oggi a riflettere, si proietta verso il domani, carica di un passato di “luce” che sgorga dalla Risurrezione.
Un’assenza però emerge evidente: in un edificio di questo genere il miglior completamento sarebbe stato nella presenza di una “via Lucis” accanto alla “via Crucis”. Il messaggio avrebbe raggiunto l’apice!

Rev. Prof. Manlio Sodi, SDB

Condividi

Utilizziamo i cookie per offrirti la migliore esperienza sul nostro sito web.
Puoi scoprire di più su quali cookie stiamo utilizzando o come disattivarli nella pagine(cookie)(technical cookies) (statistics cookies)(profiling cookies)