La parola e la musica nella progettazione

Nel giugno 2006, per la prima volta un gruppo di esperti, di tecnici e di liturgisti ha discusso di un argomento tecnico intimamente legato alla buona riuscita nella progettazione della chiesa: l’acustica dell’aula celebrativa nell’ambito del rito in epoca postconciliare. Un ambiente acustico adeguato è necessario per favorire la “partecipazione attiva” dei fedeli.

Nelle antiche basiliche, oltre alla maestosità dell’architettura e la ricchezza delle opere artistiche, si può restare impressionati da una sensazione fisica che l’ambiente trasmette: il grande silenzio delle navate è attraversato da
una vibrazione. C’è come una sonorità implicita, la si può immaginare come eco dei canti che vi hanno risuonato; e basta il bisbigliare di un rosario che ovunque la preghiera sembra diffondersi in un sommesso fruscio. E il movimento stesso
dell’aria attiva riflessi sulle superfici: c’è una sonorità connaturata.
Così in questi grandi ambienti di preghiera risulta evidente che lo spazio ha una qualità acustica. Tale qualità è di fondamentale importanza per le chiese. Perché qui conta la parola: proclamata all’ambone o cantata dal coro, elevata all’altare o recitata dall’assemblea.
Se nelle chiese antiche la qualità acustica va presa così com’è, oggi si pone il problema di progettarla, sia nelle chiese nuove, sia nei restauri. Ma l’acustica è scienza giovane e difficile. Ha a che fare con le dimensioni degli ambienti, la qualità materica delle pareti e la loro forma, oltre che con la sorgente del suono, che ai nostri giorni è in prevalenza
costituita dai diffusori.
Di questi argomenti, che hanno a che fare con la liturgia, l’architettura e la tecnica, si è parlato a Bari dall’1 al 3 giugno 2006 nel convegno dal titolo “Progettazione di chiese: il problema dell’acustica”, organizzato dal Servizio Nazionale per
l’Edilizia di Culto della Conferenza Episcopale Italiana e diretto dal Responsabile di quell’Ufficio della CEI, Don Giuseppe Russo. Questi, anche grazie alla sua formazione di ingegnere, è molto attento ai problemi tecnici che contribuiscono in
maniera determinante al significato dell’ambiente ecclesiastico.

I relatori durante il Convegno; da destra,
Don Giuseppe Russo e il Prof. Pasquale Culotta.

Riportiamo alcune citazioni di qualche relazione svolta al Convegno. Gli Atti, coi testi completi di tutte le relazioni, sono pubblicati dalla Conferenza Episcopale Italiana e consultabili in rete nel sito <www.chiesacattolica.it/edculto>.
S.E. Mons. Felice Di Molfetta, Vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano e Presidente della Commissione Episcopale per la Liturgia, ha presentato la prolusione. Dopo aver esaminato il problema dell’architettura delle chiese in relazione
alla necessità della sua leggibilità in epoca postconciliare, Mons. Di Molfetta si è soffermato sul tema della “partecipazione attiva” dei fedeli ai riti e ha sottolineato come oggi si richieda che «il fedele prenda parte nello spazio sacro all’azione liturgica con tutte le possibilità del suo essere e del suo operare, perché senza il coinvolgimento
della corporeità è assolutamente impossibile qualsiasi azione e qualsiasi comunicazione. Perciò devono essere messi in opera sia i sensi esteriori (vista, udito) sia quelli interiori (memoria, emozione, sentimento)».
«Se lo spazio sacro è luogo della contemplazione del Mistero e del vedere il Volto del Vivente per sempre – ha continuato Mons. Di Molfetta – esso è anche il luogo che fa risuonare la voce del nobiscum Deus. Ascoltare, udire oggi nei nostri edifici sacri è diventato un problema. A esso vanno date soluzioni idonee in ordine agli aspetti costruttivi perché l’edificio-chiesa, come spazio sacro, è spazio sonoro, il cui vettore strutturale è caratterizzato dalla cattedra e dall’ambone.
Una considerazione di fondo, a tal proposito, è d’obbligo. Preso atto che nella liturgia degli ultimi secoli la comunicazione fra i membri dell’assemblea si era ridotta fino ai limiti di una pressoché totale incomunicabilità, nella riflessione conciliare
e postconciliare le si è dato molto spazio, privilegiando la comunicazione sonoro-verbale, rimettendo al primo posto la Parola di Dio, come elemento costitutivo di ogni azione liturgica…
Realtà grande e misteriosa è la Parola… Il lettore sale sull’ambone, lo spazio nativo della proclamazione vitale ed efficace della Parola. È un momento solenne perché quando nell’assemblea – destinataria di questa lettera d’amore scritta da Dio – si spalancano le Sacre Scritture, Dio scende di nuovo nel giardino e si intrattiene con l’uomo…
E se i detti del Signore sono spirito e vita, nessuno di essi, neanche un frammento, deve andare perduto, perché a essi è legata l’obbedienza della nostra fede e la conversione della nostra vita. Di qui l’esaltante ricchezza e nello stesso tempo la radicale pover tà della voce umana, perché essa non riuscirà mai a tradurre esaurientemente le infinite sfumature, la densità e ricchezza del messaggio di Dio, espresso nel testo da proclamare. Grave e impellente in tal senso sarà allora il compito di riflettere attentamente sui materiali e architettare ogni sussidiazione attinente il prezioso
servizio di far risuonare nello spazio sacro la eco della voce stessa di Dio…
Alle chiese odierne noi chiediamo qualcosa di molto impegnativo: essere espressione inequivoca di una Tradizione, quella cioè di significare con chiarezza e di testimoniare con evidenza il proprio ruolo di spazio come luogo della fede
in cui lo studio del passato, il confronto tra ciò che è stato e la conoscenza dei processi di trasformazione possono suggerire le strategie necessarie al cambiamento in senso positivo e non di rado molto diverso dal cambiamento per
il cambiamento. La storia, come rispetto della Tradizione, dovrebbe essere il nutrimento indispensabile de
lle scelte
progettuali.Il senso della liturgia, dei suoi spazi e dei suoi segni, degli elementi strutturali e dei necessari luoghi complementari, è una regola che non chiude, ma libera la creatività. Quella vera, per la quale entrando in una chiesa trovi subito un sentimento di sintesi nella multiforme varietà degli elementi e degli spazi, delle figure e degli arredi.
Si assimili questa che chiameremmo grammatica liturgica con attenta competenza, cosi che creatività non significherà estrosità e arbitrarietà incontrollata, ma ricerca di bellezza che, lungi dall’essere elemento surrettizio, è invece identificativo del mistero da celebrare ed evidenziatore dei suoi contenuti».

La musica sacra nelle chiese
Don Antonio Parisi (musicista e consulente di musica liturgica per l’Ufficio Liturgico Nazionale) ha svolto diverse importanti considerazioni su “Strumenti, coro e assemblea alla ricerca dell’acustica ideale”, tra l’altro ponendo in evidenza la differenza tra l’acustica di un teatro e quella di una chiesa: «Nella chiesa si producono azioni e comunicazioni che nulla hanno a che vedere con una sala di concerti, dove c’è una sola fonte sonora (i musicisti) di fronte a un pubblico silenzioso. In chiesa avviene uno scambio dialogico e molteplice». Chi progetta nuove chiese deve
accogliere l’esigenza di uno «studio preliminare dell’acustica, e non considerarla solo come un fatto a posteriori di un’opera già finita… E’ fondamentale la conoscenza del referente, dei codici e delle tecniche di formulazione del messaggio. Durante la celebrazione, i comunicatori sono molteplici e a ognuno è richiesta una competenza specifica al ruolo che vi svolge…».

La visibilità dell’ascolto nell’architettura dello spazio liturgico
Il compianto Prof. Pasquale Culotta ha trattato questo tema e, attraverso una carrellata di immagini, ha approfondito il discorso sull’architettura contemporanea delle chiese. Culotta si è soffermato all’inizio del suo intervento sul problema
dell’impianto di diffusione acustica. E ha riferito una sua recente esperienza: entrato nel Duomo di Trento alle sette del mattino ha trovato la navata semivuota. C’erano solo poche persone raccolte all’altare: «però la voce del celebrante
era diffusa in tutta la chiesa vuota, e era la diffusione di una voce metallica… Questo mi ha fatto pensare. Stiamo perdendo il senso della nostra voce, perché ci stiamo abituando all’impianto elettrico: c’è qualcosa che non funziona, dobbiamo tutti un po’ riflettere. Ma come, la chiesa è vuota, poche persone che partecipano al rito… e c’è bisogno di un altoparlante?». Culotta ha portato la riflessione sul paradosso: nelle chiese nuove di solito non si trova un ambone degno di questo nome ma l’area celebrativa «è attrezzata con l’impianto di diffusione acustica, con la scontata presenza dello stelo del microfono sull’altare…
Nell’ambone in particolare, ma anche sull’altare, il collo del cigno – così si chiama il microfono a stelo – sostituisce l’aquila di Giovanni!». Così l’architettura si impoverisce di segni simbolici importanti per la comunicazione visiva della Parola. Culotta ha concluso chiedendo che vi sia attenzione nella progettazione, così da ridurre al minimo l’impatto visivo dei microfoni e dei diffusori di suono.

L’acustica architettonica
E’ una conquista del XX secolo, coeva con la fisica nucleare, quindi recentissima. Lo ha spiegato il Prof. Ing. Ettore Cirillo (Docente di Fisica Tecnica Ambientale al Politecnico di Bari), che ha tracciato un quadro storico della scienza acustica.
«L’edificio contribuisce alla trasmissione del suono verso l’ascoltatore con la presenza di pareti, soffitto, pavimento e di tutto quanto è presente al suo interno… Lo spazio confinato, se opportunamente progettato, può esaltare la ropagazione del suono al suo interno, presentando notevoli possibilità per l’effetto acustico, cosa che non si ha all’esterno. Nell’ambiente esterno, infatti, in assenza di ostacoli il suono si propaga liberamente e viene percepito dall’ascoltatore immediatamente, estinguendosi poi all’istante.
All’interno, invece, il suono permane, perché al suono diretto si susseguono sovrapponendosi i suoni riflessi dai confini dell’ambiente, con effetti particolari». Un effetto è quello del rinforzo se le riflessioni “stanno tra loro in opportuni rapporti di tempo”. Se invece le riflessioni si accavallano fuori fase, questa “eccessiva sonorità dell’ambiente” porta alle interferenze e alla difficoltà di percepire la parola o la musica.
Il primo criterio scientifico per la valutazione della sonorità ambientale fu scoperto da Wallace Clement Sabine nel 1895: è il tempo di riverberazione, determinato dal volume dell’ambiente e dalla quantità di assorbimento acustico. Un criterio molto utile perché può essere stimato sulla carta, sulla base dei disegni plani-volumetrici. A questo criterio, recentemente si aggiunge la valutazione soggettiva sulla percezione del suono. Per cui oggi, ha concluso Cirillo, “lo
sviluppo dell’acustica architettonica dipende in larga misura dai progressi nello studio dei processi fisiologici e psicologici della percezione uditiva: ciò porta alle più recenti indagini sperimentali sulle relazioni tra lo stimolo oggettivo e la
sensazione soggettiva prodotta.”
Tra le altre relazioni svolte nel Convegno, segnaliamo quella dell’Ing. Francesco Martellotta (“La progettazione acustica dello spazio sacro fra tradizione e innovazione”), quella dell’Arch. Valerio Casali (“Le Corbusier : acustica-forma-suono”)
quella dell’Ing. Federico Mattia Visconti (“Impianto mobile acustico per la chiesa di San Marco a Milano”, su cui è pubblicato un testo dello stesso autore su CHIESA OGGI architettura e comunicazione n. 73/2005), e la tavola rotonda “Liturgia, suono, musica: simbiosi o estraneità?” moderata dal Dr. Vittorio Sozzi con la partecipazione di Mons. Crispino Valenziano, Mons. Felice Rainoldi, Mons. Valentino Miserachs Grau, dell’ Arch. Claudio Rebeschini e del Prof. Ing. Ettore Cirillo.

Lavorare in Équipe

Intervista a: Don Giuseppe Russo

Il Convegno ha rivelato un concreto interesse per il tema trattato, ma ha anche espresso un’esigenza di sinergia tra progettisti e liturgisti. Come giudica
il rapporto tra la continuità che in epoca remota intercorreva tra queste figure e la rottura che il moderno ha prodotto?

Effettivamente nel moderno abbiamo dovuto registrare una rottura. Da diverso tempo però stiamo cercando di invertire la rotta, nell’ambito degli sforzi per migliorare la qualità dei progetti delle chiese di oggi. La Conferenza Episcopale Italiana ha già attivato molteplici iniziative, proprio per promuovere questa sinergia. In quest’ambito particolare rilevanza attribuiamo a quel che abbiamo chiamato la progettazione integrata tra le varie discipline. E’ finito il tempo in cui un progettista doveva solo pensare di approfondire l’aspetto liturgico nel preparare il disegno di una chiesa. In questo convengo ci siamo soffermati sull’acustica: oltre a questa occorrerà pensare all’illuminotecnica, alla climatizzazione, alle opere d’arte. Tutti aspetti da affrontare con la partecipazione
di specialisti in ogni settore.

P. Milillo

Comunicazione del prof. Ing. Ettore CIRILLO

Bari – 1-3 Giugno 2006
Progettazione di chiese: il problema dell’acustica

L’acustica architettonica: una conquista del XX secolo

L’acustica è la scienza del suono. L’acustica architettonica, in particolare, abbraccia la dimensione sonora dell’ambiente umano costruito; è l’acustica degli spazi chiusi dove il suono viene trasformato dalla presenza dei confini dell’ambiente.
Soffermandosi sull’acustica architettonica si pone subito una domanda: perchè molto spesso è difficile ottenere una buona acustica all’interno degli edifici? Alla luce di quel che accade normalmente si può trovare la risposta nel fatto che la maggior parte degli spazi confinati sono progettati avendo in mente principalmente l’estetica e tutto al più la funzionalità dell’edificio. All’acustica si pensa poi. Va osservato, però, che l’edificio contribuisce alla trasmissione del suono verso l’ascoltatore con la presenza di pareti, soffitto, pavimento e di tutto quanto presente al suo interno secondo differenti modalità che possono essere dal punto di vista acustico sia positive sia negative. L’acustica architettonica cerca di indirizzare razionalmente i tentativi, che si possono immaginare, in modo tale che i risultati ottenuti siano positivi in termini delle funzioni che l’ambiente deve assolvere.
Lo spazio confinato, se opportunamente progettato, può esaltare la propagazione del suono al suo interno, presentando notevoli possibilità per l’effetto acustico, cosa che non si ha all’esterno. Nell’ambiente esterno, infatti, in assenza di ostacoli il suono si propaga liberamente e viene percepito dall’ascoltatore immediatamente nella sua intensità massima, estinguendosi poi all’istante.
All’interno, invece, il suono permane nell’ambiente, perchè al suono diretto si susseguono sovrapponendosi i suoni riflessi dai confini dell’ambiente con effetti particolari, che all’esterno non si possono avere. Il primo effetto è sicuramente quello di un rinforzo dell’intensità sonora percepita. E questo si ha se il suono diretto e le riflessioni stanno tra loro in opportuni rapporti di tempo. Se, invece, a causa delle riflessioni il suono permane troppo a lungo nell’ambiente si ha quel effetto, impropriamente definito come “eccessiva sonorità dell’ambiente”, che porta alla mescolanza di suoni successivi con difficoltà nella corretta percezione della parola o della trama musicale.
Jean-Louis-Charles Garnier (1825-1898), l’architetto dell’Opera di Parigi alla cui costruzione dedicò 15 anni della sua vita (1861-1876), nel 1880 sconsolato dichiarava: “Non è colpa mia se tra me e l’acustica non c’è comprensione. Mi sono impegnato molto per padroneggiare questa strana scienza, ma dopo quindici anni di lavoro mi trovo poco più avanti rispetto al punto in cui ero all’inizio. Ho letto con diligenza libri e ho dialogato assiduamente con scienziati: non ho trovato alcuna regola che mi possa essere di guida; al contrario null’altro che affermazioni contraddittorie”.
Tale, in realtà, era la situazione alla fine del XIX secolo: non si riuscivano a comprendere i principi scientifici che governano l’acustica architettonica. Ancora oggi, purtroppo, molto spesso si pensa che l’acustica di un ambiente dipenda dal caso e che una buona acustica non può essere progettata con la stessa precisione con cui si opera nelle moderne scienze meccaniche e nucleari. Questa convinzione deriva, forse, dal fatto che le opinioni sull’acustica di certi ambienti di spettacolo differiscono largamente tra loro come i giudizi sulle qualità letterarie di un nuovo libro o sull’estetica di un nuovo edificio. Se si aggiunge a tutto questo che ogni tanto capita qualche sensazionale insuccesso, si ottiene che nel migliore dei casi l’acustica venga considerata un’arte più che una scienza.
Prima che si sviluppasse l’acustica architettonica, nella progettazione di una sala da concerto si partiva dall’osservazione di ambienti simili e dall’indagine sulle caratteristiche che si ritenevano responsabili di gloriose sonorità o di confuse cacofonie. Così facendo in centinaia di anni si svilupparono una gran quantità di miti prodotti dalla misteriosità dell’acustica. Questi miti si diffusero di paese in paese e da un’epoca all’altra sino ad arrivare ai giorni nostri adornati dalla patina della storia e dalla credibilità dell’assioma.
Uno dei miti più fortemente radicati, giunto sino a
noi, era quello delle bott
iglie di vino rotte che poste sotto il palcoscenico, nelle gallerie, nei muri, o perfino ammucchiate negli angoli avrebbero migliorato l’acustica delle sale. Di questa teoria il famoso direttore d’orchestra Herbert von Karajan chiedeva spiegazioni a Leo L. Beranek, uno dei maggiori studiosi di acustica contemporanei, che nettamente dissentiva alla luce dei risultati di attente misurazioni acustiche. Per fugare ogni dubbio Leo L. Beranek spiegava che all’interno delle sale costruite in Europa si trovavano spesso bottiglie di vino rotte semplicemente perché durante gli anni della costruzione gli operai gettavano i resti di innumerevoli colazioni nei posti più comodi e nascosti, e invitava chiunque fosse sufficientemente interessato a rimuovere le bottiglie rotte dalle sale per dimostrare a se stesso l’effetto nullo che esse hanno sull’acustica.
Tornando all’acustica architettonica va detto che è una scienza a pieno diritto, anche se tra le più giovani. Si pensi che solo nel 1877 il fisico inglese Lord Rayleigh scrisse i fondamenti teorici dell’acustica. Purtroppo, però, sino alla metà del secolo scorso l’acustica architettonica aveva molto poco di scientifico, perchè rimaneva un’arte che cercava di bilanciare con accortezza le varie priorità come la definizione di forme e superfici utili per l’acustica e accettabili dal punto di vista architettonico.
Si devono al fisico americano Wallace Clement Sabine (1869-1919) i primi studi scientifici sull’acustica degli ambienti confinati. Ciò avveniva nel 1895, al tempo in cui i suoi colleghi facevano le prime rivoluzionarie scoperte nel campo della fisica atomica. Meraviglia il ritardo con cui sono stati affrontati scientificamente i fenomeni considerati dall’acustica architettonica, certamente più vicini all’esperienza comune che non le reazioni nucleari. A tal proposito si possono fare alcuni commenti.
Prima di tutto occorre osservare che all’interno degli ambienti la sensazione sonora è prodotta dal suono diretto e dalle sue numerose riflessioni. Fortunatamente l’orecchio non percepisce questi eventi sonori discreti come distinti l’uno dall’altro, altrimenti la confusione sarebbe terribile, ma li fonde in un’unica esperienza totale. Questo fenomeno fisico fu interpretato analiticamente solo attraverso un approccio piuttosto complesso che teneva conto statisticamente delle numerose riflessioni.
Inoltre va tenuto presente che lo studio scientifico dell’acustica architettonica, come accade in tutte le scienze sperimentali, è stato possibile solo quando sono stati disponibili strumenti idonei per le misurazioni acustiche. Al tempo dei primi studi di W.C. Sabine la strumentazione per misurare l’intervallo di tempo tra il termine di un’emissione sonora e la sua completa inaudibilità era costituita da una canna d’organo, che metteva un suono alla frequenza di 512 Hz, da un cronometro e naturalmente dall’orecchio dello sperimentatore. Ma l’orecchio umano, che è un organo eccezionale e molto sofisticato, dotato di una grande capacità di percepire i suoni, ha purtroppo scarse possibilità quantitative. Solo a partire dal 1920 con l’avvento di microfoni, altoparlanti, amplificatori e dell’elettronica in generale è stato possibile effettuare accurate rilevazioni acustiche.
Nel 1895 l’università di Harvard inaugurò a Boston il nuovo edificio del Fogg Art Museum, dotato di una sala per conferenze che ne era la principale attrattiva. Purtroppo l’acustica di questa sala risultò un disastro, per cui la sala fu immediatamente abbandonata. W. C. Sabine, giovane ricercatore del Dipartimento di Fisica, accolse l’incarico di rendere utilizzabile la sala. Il suo impegno, però, era più generale. Egli voleva dare una risposta logica e quantitativa al vecchio problema irrisolto: perché l’acustica di alcuni ambienti è buona, di altri mediocre o addirittura impossibile, come nel caso che doveva affrontare.
Per tre anni W.C. Sabine studiò l’acustica della sala di conferenze affidatagli. Con l’aiuto di due collaboratori lavorava dalla tarda sera al primo mattino per non essere disturbato dai rumori della strada e dalle vibrazioni della vicina metropolitana. Per effettuare i suoi esperimenti ogni notte trasportava sulle sedie della sala di conferenze del Fogg Art Museum centinaia di cuscini presi dalle poltrone imbottite del vicino Sanders Theatre, che, invece, aveva un’eccellente acustica. Egli, quindi, notò che l’eccessiva persistenza del suono, vale a dire l’eccessiva riverberazione, rendeva la comprensione del parlato difficile, se non proprio impossibile, e che materiali come tappeti, tendaggi, cuscini e simili potevano migliorare l’acustica dell’ambiente. Egli, infatti ridusse la riverberazione ricoprendo con feltri alcune pareti con il risultato, come egli scrisse, che la sala divenne “non eccellente ma del tutto atta allo scopo”.
W. C. Sabine con i suoi sistematici studi trovò il legame tra l’effetto soggettivo della riverberazione ed un parametro oggettivo il tempo di riverberazione, che è determinato dal volume dell’ambiente e dalla quantità di assorbimento acustico presente. W. C. Sabine non solo definì il tempo di riverberazione, ma inventò un criterio utile per calcolarlo in funzione del volume e della frazione del suono incidente riflesso dalle pareti e dalle altre superfici o oggetti presenti nell’ambiente.
Il tempo di riverberazione è rimasto sino agli anni quaranta del secolo scorso l’unico parametro misurabile per stimare la qualità acustica degli ambienti confinati, risultando, come la storia ha mostrato, una relazione fondamentale per l’acustica degli edifici. Esso offre vari vantaggi che lo rendono particolarmente utile. Infatti in molti ambienti il tempo di riverberazione non cambia con la posizione, per cui il tempo di riverberazione è un parametro atto a caratterizzare l’ambiente nel suo complesso. Inoltre le tecniche di misura sono da tempo standardizzate e i giudizi soggettivi sui suoi valori ottimali sono ampiamente accettati e facilmente rintracciabili in letteratura. Infine, il tempo di riverberazione è particolarmente utile nella progettazione acustica degli edifici perchè è possibile stimare il suo valore sin dall’inizio sulla base dei disegni plano-volumetrici e dei valori conosciuti o misurabili dei coefficienti di assorbimento.
Dopo la seconda guerra mondiale in acustica architettonica si incominciò ad approfondire lo studio della percezione delle riflessioni come componenti del processo di riverberazione. In particolare si approfondì l’importanza delle prime riflessioni per tener conto, tra l’altro, dell’osservazione
che il valore
del tempo di riverberazione misurato non sempre risulta adeguatamente correlato all’impressione sonora soggettiva. L’idea, che un ascolto piacevole sperimentato in una sala da concerto dipendesse dalle caratteristiche temporali delle prime riflessioni, si andava significativamente estendendo con la scoperta che le riflessioni laterali danno un importante contributo alla sensazione di spazialità, effetto soggettivo riscontrato in molte sale giudicate positivamente. Si faceva strada la convinzione che oltre al tempo di riverberazione nella progettazione acustica di una sala si dovessero controllare anche le caratteristiche spaziali e temporali delle prime riflessioni. La forma dell’ambiente, che non compare nella formula di W. C. Sabine, ora veniva presa in considerazione. Nascevano, però, tutta una serie di nuovi problemi quali l’intervallo di tempo di integrazione e il livello assoluto di percezione delle prime riflessioni. Vennero proposti molti nuovi parametri, tra i quali vanno ricordati: il tempo di primo decadimento (EDT) a completamento della quantificazione della riverberazione, l’indice di forza (G) per quantificare l’effetto dell’ambiente confinato sull’intensità del suono percepito, l’indice di chiarezza (C80) e l’indice di definizione (D) legati alla nitida percezione della musica e del parlato, la frazione di prima energia laterale (LF) e il coefficiente di correlazione mutua interaurale (IACC) correlati alla sensazione di spazialità.
Passando all’attualità va detto che agli studi sul fenomeno fisico della generazione e della propagazione del suono negli ambienti confinati, si sono affiancate le indagini su alcuni fenomeni soggettivi della percezione uditiva, sia fisiologici sia psicologici, che sono risultati di primaria importanza, anche se la loro descrizione risulta molto complessa.
Va osservato, infatti, che il giudizio sull’acustica di un ambiente si forma attraverso l’opinione espressa dagli ascoltatori. Mentre il campo acustico può essere definito e valutato oggettivamente, il successo o l’insuccesso dell’ambiente, in cui questo campo acustico si realizza, è in definitiva deciso da un giudizio collettivo degli utenti attraverso una sorta di media, che inevitabilmente va fatta tra i pareri di ascoltatori diversi per attitudini e dotati di differenti bagagli culturali.
I parametri oggettivi individuati per quantificare il campo acustico all’interno degli edifici per essere significativi devono essere, quindi, legati il più strettamente possibile alle particolari sensazioni soggettive caratteristiche dell’ascolto umano.
Per quanto appena detto lo sviluppo attuale dell’acustica architettonica dipende in larga misura dai progressi nello studio dei processi fisiologici e psicologici della percezione uditiva: ciò porta alle più recenti indagini sperimentali sulle relazioni tra lo stimolo oggettivo e la sensazione soggettiva prodotta. Nell’acustica architettonica, uscita dal campo del mito e dell’arte, che l’aveva caratterizzata sino all’inizio del secolo scorso, e assurta a rango di scienza sperimentale, rientra centrale la presenza dell’ascoltatore con la molteplicità di peculiarità e sfumature che caratterizzano la sua personalità e che vanno valutate ed elaborate scientificamente.
Un’osservazione conclusiva: non è possibile realizzare in assoluto l’ambiente acustico ideale, perché il piacere nell’ascolto dipende non solo dalle caratteristiche fisiche del campo sonoro ma anche dalle attitudini e dai gusti personali dei singoli ascoltatori. Questo aspetto, che potrebbe apparire negativo per la mancanza dell’uniformità insita nell’unicità, rende l’acustica architettonica particolarmente interessante e attraente, perchè permette di immaginare la realizzazione di una grande varietà di ambienti con un’eccellente, ancorché differente, acustica, lasciando libera l’inventiva del progettista, purché guidata da principi razionali e scientifici.

 

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