L’intensificarsi degli studi sull’arte lombarda, sta diventando una preziosa occasione per scoprire un’enorme patrimonio pittorico e artistico attraverso un ampio programma di eventi espositivi che negli ultimi anni hanno interessato città come Milano, Bergamo, Cremona, Brescia e Mantova. Due rassegne hanno attirato in modo particolare la nostra attenzione: “Il Cinquecento lombardo. Da Leonardo a Caravaggio” mostra ideata e curata da Flavio Caroli e “Caravaggio, La Tour, Rembrandt, Zurbaràn. La luce del vero”. Dalla visita di queste due mostre è emersa una riflessione: le opere esposte non catturano solo lo sguardo ma suscitano profonde emozioni, specialmente attraverso il sapiente uso della luce. E proprio la luce della fiamma, uno dei valori più emozionanti di un camino acceso, capace di suscitare il coinvolgimento percettivo del guardante, svelando non senza mistero con il suo sfavillio l’ambiente e le persone che la circondano.
“Palpiti luminosi che “precedono” il luminismo caravaggesco… e parlano di un’umanità difficile e agra che espone alla luce le ombre della propria interiorità” (Flavio Caroli) 1. Girolamo di Romano, detto il Romanino (Brescia 1484-1487, Brescia, 1560 c.a.), San Matteo e l’angelo, particolare, Brescia, Chiesa di San Giovanni Evangelista. I raffinati giochi di luce generano un violento farsi e disfarsi delle luci e delle ombre percepiti in dinamico antagonismo, nella forma che tende a disfarsi nell’andamento inquieto delle gore che si formano ora sulle pieghe profonde della veste, ora, e con effetto quasi fantasmatico, sul dolcissimo viso levigato dell’angelo. Cinquecento lombardo: record di visitatori Dopo aver battuto il record di visitatori (oltre 240 mila), si è chiusa la mostra Il Cinquecento lombardo, ideata e curata dal Prof. Flavio Caroli e ospitata a Palazzo Reale di Milano. Il catalogo rimane come corposa e ben dettagliata testimonianza, infatti attraverso oltre duecento straordinari dipinti, anche inediti, di grandi maestri (Foppa, Lotto, Moroni, Arcimboldo, Leonardo, Luini, Boltraffio, Giampietrino, Lomazzo, Savoldo, Romanino, Bramantino, Moretto, Giulio Romano, Caravaggio…), il volume si propone di documentare come la ricerca di verità si sviluppi in Lombardia nell’arco del Cinquecento, per giungere, con il Caravaggio, a influenzare tutta la cultura artistica dell’Occidente e segnare così il passaggio verso la pittura moderna. Dal naturalismo riflessivo di Leonardo nei primi decenni del secolo al dominio della luce di Caravaggio nel confine con il Seicento, attraverso la scuola bergamasca di Lorenzo Lotto e la Milano spagnola, le sale di Palazzo Reale hanno accolto i capolavori della pittura lombarda e il suo processo di maturazione verso la modernità. Il punto di partenza è stato individuato nel magico incontro tra il naturalismo luministico, “ottico” ed esteriore di Vincenzo Foppa e il naturalismo riflessivo, “psicologico” e interiore di Leonardo da Vinci, che proprio a Milano inizia a studiare i “moti dell’animo”, imprimendo a tutta la ricerca figurativa occidentale quell’attenzione introspettiva che ne segna la peculiarità. Lungo il secolo, quindi, Savoldo, Moretto, Romanino, Moroni, i Campi, Sofonisba Anguissola spingeranno la pittura lombarda in una direzione “realistica” che non ha riscontri nella cultura figurativa europea, lontanissima ad esempio da classicismo idealizzato che si sviluppa contemporaneamente a Roma, Firenze, Venezia. Poche righe del grande critico Roberto Longhi spiegano tutto di questi artisti lombardi: “Con la loro umanità più accostante, religiosità più umile, colorito più vero e attento, ombre più descritte e curiose fin negli effetti di notte o di lume artificiale, avevano tenuto in serbo una disposizione a meglio capire la natura degli uomini e del le cose”.
5. Georges de La Tour (Vic-sue-Seille, 1593 – Luneville, 1652), Il Sogno di San Giuseppe, particolare. Nantes, Musèe des Beaux-Arts. “Nei notturni La Tour, utilizza spesso una candela, una lanterna o un braciere in modo che il colore obbedisca alla luce. La luce, semplificando e rendendo geometriche le forme, elimina ogni movimento e l’opera acquisisce una pace e una tenerezza indimenticabili. In quest’opera il volto dell’angelo illuminato da una fiamma in parte invisibile è esso stesso fonte di luce. La fiamma della candela, mette vigorosamente in evidenza il lembo della sua cintura ricamata, e il dorso della sua mano sinistra, di cui si è spesso sottolineata la grazia tipicamente orientale” (Bruno Ferté).
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