La liturgia nel momento della transizioneSettecento tridentino

Settecento tridentino

Nel corso del ‘700 la relazione tra organizazzione liturgica dello spazio e architettura è rigida
e stabilita dalle normative che Carlo Borromeo scrisse a seguito del Concilio di Trento. Ne
parla Mons. Marco Navoni, della Biblioteca Ambrosiana.
G. B. Piranesi, S. Maria del Priorato a
Roma (1764-66).

«In quanto liturgista non mi occupo dell’alzato di una chiesa, non cioè dell’architettura esteticamente intesa. Mi occupo della sistemazione del presbiterio. Che non è variata per tutto il tempo in cui ha avuto vigore la riforma tridentina. Oggi gli architetti godono di un certo grado di libertà nell’interpretare lo spazio liturgico, non era così nel ‘700. Ma tra allora e oggi
molte cose sono cambiate. C’è stato di mezzo un cambiamento fondamentale, quello intervenuto con il Concilio Vaticano II. Nel ‘700 vige la continuità con la riforma tridentina, che determina in modo rigido l’organizzazione funzionale del centro celebrativo». Si può riassumere così il pensiero di Mons. Marco Navoni, dottore della Biblioteca Ambrosiana di Milano, esperto in liturgia, a cui abbiamo chiesto di commentare l’evoluzione della liturgia nel ‘700. Eppure vi sono elementi specifici, in ogni epoca…
«Muratori, nelle sue opere liturgiche, mette in evidenza la forte scollatura che si era venuta a creare tra musica e azione liturgica nel ‘700. Con spirito teatrale, l’espressione musicale veniva talvolta intesa come una rappresentazione primariamente artistica, invece che come un elemento di sostegno per la liturgia. Al punto che si correva il rischio che molti si recassero in chiesa non per partecipare alla messa ma per ascoltare la musica. Questa insomma cessava di avere una funzione liturgica per assumere una vita a sé. Al punto che Papa Benedetto XIV, quando era ancora vescovo di Bologna,
ebbe l’esperienza, nel corso di una funzione, di dover dare ordine alla cappella di cessare il canto che si sovrapponeva alla celebrazione mettendola in secondo piano. Naturalmente troviamo caratteristiche particolari in aspetti secondari per
quanto rilevanti della liturgia. Le vesti, per esempio e gli oggetti per il culto, quali il calice e la pisside, sono confezionati secondo il gusto dell’orificeria del momento. Ma questo non ha influsso sullo svolgimento dell’azione liturgica, la quale è
dettata dalle regole che s. Carlo Borromeo mise nero su bianco dopo il Concilio di Trento. Queste regole erano stringenti. Non c’era libertà per gli architetti nel definire l’organizzazione del presbiterio. Oggi c’è una libertà notevole del progettista, per esempio nel definire il disegno dell’altare. Questo alle volte causa problemi. Per esempio, un altare eseguito in un blocco pieno fa sì che quando il celebrante si inginocchi debba prestare molta attenzione per non urtarvi contro. La liturgia ha bisogno anche di elementi funzionali, non solo di luoghi esteticamente e simbolicamente validi».
In breve, che cosa implicò la riforma tridentina? «In primo luogo mirò a rimettere ordine in una situazione di anarchia. Carlo Borromeo ebbe l’idea di scrivere per la diocesi di Milano una normativa che interpretava le decisioni emerse a Trento: le Instructiones, pubblicate nel 1577. Per grandissime linee si può mettere in evidenza come si creasse una
netta separazione tra clerici e laici: emblematico che la balaustra a definizione del presbiterio fosse obbligatoria.
Veniva ribadita la centralità dell’altare, ma a differenza di quel che avviene oggi, e di quel che era avvenuto prima, si collocava il tabernacolo sopra la mensa: era una chiara risposta al negazionismo protestante. Il luogo della parola mancava sul presbiterio, perché il pulpito era collocato al lato della navata. Allora capitava infatti che sul presbiterio un
sacerdote celebrasse, mentre un altro predicava dal pulpito. La celebrazione aveva una valenza anche spettacolare, accentuata dalla ricchezza dell’ornamentazione barocca posta sul presbiterio, che era opportunamente rialzato
rispetto al piano dell’aula». Si è diffusa rapidamente la riorganizzazione dello spazio liturgico tridentino?
«Piuttosto rapidamente. Nella Chiesa ambrosiana il Borromeo applicò con puntiglio la riforma e convocò una serie di sinodi
diocesani per la sua attuazione. Altre chiese la assunsero con più lentezza. Ma le Instructiones ne furono l’importante veicolo di diffusione: furono riprese in molte diocesi in tutta Italia, tradotte e riutilizzate anche all’estero, per esempio in Polonia. Direi che nel giro di un secolo la riforma tridentina venne portata a compimento».

(L.S.)

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