La “coincidentia oppositorum”

La "Coincidentia oppositorum"

Acciaio e vetro istoriato: questi i materiali di cui si compone la nuova porta del Santuario di San Gabriele sul Gran Sasso, realizzata da Guido Strazza. Alta 5 metri e mezzo e larga 4, è stata chiamata "Porta del Paradiso", riprendendo il tema che individua anche la porta disegnata dal Ghiberti per il Battistero di Firenze. Ne viene uno spunto per riflettere su iconocità e aniconicità, espressioni di epoche diverse.

Nell’arte cultuale la “porta” è segno architettonico ed è luogo cultuale, in quanto trasforma l’affermazione di Cristo “Io sono la porta delle pecore” (Gv 10,9) in spazio liturgico. Tale elemento assume valore sacramentale indicando Cristo, buon pastore, che accoglie le sue pecorelle. Si tratta di immagini atte a scandire l’itinerario spirituale dei credenti, per
cui quanto espresso nelle forme artistiche deve indicare Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Si tratta dunque di dare visibilità ad un mistero così che risulta insufficiente, tanto il linguaggio iconico, quanto quello aniconico. Se con il primo viene maggiormente metaforizzata la vicenda terrena di Cristo, con il secondo la sua trascendenza divina. In entrambi è la bellezza ad indicare lo sforamento oltre la contingenza, così da porre in coincidentia oppositorum le derivanti soluzioni espressive. Questo comporta il superamento del “formale estrinseco” e dell’“informale intrinseco”, prospettando un ritorno alla forma sostanziale intrisa di accidentazioni congiunturate nel genius loci di ogni epoca. Occorre infatti “dire Dio” con i linguaggi artistici contemporanei. L’impegno delicato di gettare un “ponte” tra forma estetica e contenuto ideologico viene evaso mostrando che non vi è alcun fiume da oltrepassare. Infatti, tanto le opzioni aniconiche quanto quelle iconiche rientrano appieno tra i significanti linguistici che riportano a significati concettuali atti a descrivere o, perlomeno, ad indicare il divino. Di conseguenza, Ghiberti e Strazza, con linguaggi diversissimi, ma con analoga bellezza di “forme”, raggiungono il fine di indicare Cristo-porta quale varco di accesso e segno di accoglienza. Lo splendore di “forme contenutistiche” può dunque generare una fruizione all’insegna della sublimazione estetica e, congiuntamente, dell’ascesi mistica. Il fruitore può così intuire, tanto la trascendenza di Dio, quanto la sua presenza nella storia.Viene in tal senso riproposta la metodologia biblica. Nell’Antico Testamento, Dio fa comprendere all’uomo la sua totale alterità, trascendenza e, conseguentemente, irrappresentabilità, per cui non lo si può figurare se non con una metafora aniconica o con un oracolo divino. Nel Nuovo Testamento, Cristo incarnandosi compie gesti e pronuncia parole, per cui lo si può rievocare come memoria storica e come memoriale eucaristico. Si tratta di un iter ascensionale che muove dall’indistinto sacrale all’identificato cristiano, così che è possibile “di-segnare Dio” per via apofantica e per via apofantica. Per via aniconica si tratta di conferire ai significanti estetici significati religiosi, dando forza oggettiva alla sacralità. Per via iconica si tratta di esprimere contenuti oggettivamente teologici, non rinunciando ad un’empatia sacrale. Viene in tal modo superata l’incoerenza, volta in metafora nichilista, di creare “forme” per significare “non-forme”. Si accettano invece, nei parametri dell’analogia entis, studiate “forme contingenti” per indicare “forme trascendenti”. Queste in Ghiberti hanno rivestito un tessuto narratologico, mentre in Strazza uno simbolico. Reminiscenze umanistiche Tali considerazioni hanno permesso la realizzazione della sezione centrale del portale per la facciata sud del Nuovo Santuario di San Gabriele dell’Addolorata, in provincia di Teramo. Si tratta di un’opera monumentale del Maestro Strazza eseguita in acciaio pannellato con fusioni di vetro. Ad incorniciare le due ante è un fregio continuo di citazione cosmatesca che solca la poderosa struttura metallica di stipiti e architrave. Il “maestro del segno e della luce” ha svolto un tema intimamente passionista ed essenzialmente pasquale. L’antico allievo del futurismo marinettiano si è così cimentato nell’escatologia cristiana. Il complesso santuariale di San Gabriele viene così ad iniziare le “Porte del Paradiso”. Con questa enfatica titolatura non si vuole certo entrare in concorrenza con quella introdotta da Michelangelo per le porte del Ghiberti al Battistero di Firenze. Si vogliono invece scoprire analogie e diversità, facendo riferimento al tema del “paradiso”, di cui le porte sono metafora cultuale. Anziché discutere sugli artefici – ogni paragone risulterebbe, del resto, inadeguato – è d’uopo analizzare gli artifici.
L’insolito accostamento va riferito al significato cristologico dei due portali. Entrambi infatti indicano Cristo-porta, così che l’ingresso dei pellegrini nel sacro edificio prelude quello degli “uomini di buona volontà” nella celeste Gerusalemme. Del resto, a Firenze, tale varco rappresenta la rinascita in Cristo mediante il sacramento del battesimo e, a San
Gabriele, la riconciliazione in Cristo mediante il sacramento della penitenza.

La porta di Ghiberti per il
Battistero di Firenze, 1429-36.
La porta di Guido Strazza per San Gabriele, 2004.

Pur avendo di mira il medesimo assunto, la concezione espressiva è tuttavia opposta. Se Ghiberti dà il senso del paradiso con il trionfo della forma iconica; Strazza lo dà con quello della forma aniconica. Ghiberti con compostezza plastica racconta il paradiso riflesso nella vicenda storica di Cristo; Strazza con luminescenze stratificate apre al paradiso aurorato oltre la passione di Cristo. Ghiberti imprime nel bronzo la forza dell’incarnazione divina; Strazza svolge nel vetro il fascino della divina redenzione. Entrambi, con il bronzo dorato e con il vetro fuso, sconfinano la contingenza per suggerire al viandante del tempo un percorso verso “il Signore che viene”. Declinate congiuntamente, le due porte commentano ai credenti la triplice venuta di Cristo. Quella di Firenze indica la prima venuta nel tempo, per cui l’artista racconta la vicenda storica di Gesù nazareno. Quella di San Gabriele indica l’ultima venuta alla fine dei tempi, per cui l’artista apre a
lla dimensione metastorica di Gesù giudice. Ghiberti, guardando al passato, ha potuto descrivere quanto è già capitato nell’eventum salutis; Strazza, al contrario, intuendo il futuro non può descrivere ciò che non è ancora capitato in vista della definitiva salvezza. In entrambe però si capta il senso dell’ineffabile, data l’aura sacrale espressa in forme artistiche, per cui le porte indicano all’unisono la seconda venuta di Gesù nel cuore di ogni credente, dal momento che “il Regno di Dio è già nei nostri cuori”. Pertanto al fruitore si offre un’ascesi continuativa, così che dalla meditazione del Verbo incarnato si passa alla contemplazione di Cristo giudice attraverso la conversione a Cristo e la dedizione ai fratelli. Il diverso riferimento teologico è riscontrabile anche nell’architettura dei portali. Ghiberti plasma formelle eguali entro cui racconta la vita di Cristo. Si tratta di evidenziare il continuum storico in una sequenza unitaria scandita dal succedersi degli eventi. Strazza fonde specchi diversi che si aureolano all’intorno della croce. Si tratta di ostentare il segno salvifico nel glorioso enigma della crocifissione. Da una parte, si intensifica dunque il racconto affinché il credente possa modellarsi a Cristo; dall’altra, si esalta invece il significato affinché il credente sappia rivolgersi al Signore. Entrambi annunciano un paradiso che è «già e non ancora».

Fascino passionista

Con questo “primo frammento di paradiso” Strazza entra nel profondo della spiritualità passionista e del carisma gabrieliano. La passione di Cristo s’inonda infatti di luce pasquale, così che gli strumenti di tortura incisi nell’acciaio e il disegno della croce emergente dall’ordito sono immersi tra vetri il cui azzurro intenso si risolve in bianco bagliore. Il tutto è circonfuso di gloria, come annuncia il caleidoscopico geometrismo di tessere policrome che perimetra i portali. Dinanzi al pellegrino si staglia dunque la croce gloriosa , segno di salvezza per coloro che la contemplano con “cuore contrito e spirito risoluto”. Strazza svolge il suo componimento coniugando nel segno crocifisso il sistema figurativo a quello non figurativo. Figurativamente viene descritto l’obbrobrio, così da rappresentare l’esperienza del dolore umano. Non-figurativamente viene indicata la salvezza, così da registrare il desiderio dell’umano riscatto. L’acciaio, nella sua severità materica, è metafora dei gravami contingenti; il vetro, nella sua levità traslucida, è metafora della liberazione trascendente. È addossandosi la croce quotidiana che il credente può raggiungere “i nuovi cieli e la terra nuova” simboleggiati dai cosmati iridescenti. Il “paradiso” è dunque accessibile oltre ogni croce.
Il portale, pur separando lo spazio esterno da quello interno non genera divisione. Sulle specchiature azzurre e bianche riflette e passa la luce diurna creando all’interno suggestive atmosfere. Con fascino estetico e pertinenza teologica Strazza ha unito il tema della morte di Cristo a quello della sua resurrezione, poiché per i credenti la croce è anzitutto fonte di eterna salvezza, anche se permane icona di umana iniquità. La stessa apertura del portale ha una sua connotazione simbolica. La croce bipartisce come offerta sacrificale, mentre in mezzo ad essa passa il “popolo dei redenti” che raggiunge così l’agognato “paradiso”. Alla contemplazione visiva non si può allora non associare l’invocazione salmica: “Apritevi porte eterne, avanzi il re della gloria. Gerusalemme, accogli il tuo re!”. Invero Cristo oltre ad essere vittima è anche sacerdote ed è buon pastore che custodisce l’ingresso dell’ovile accogliendo ogni pecorella smarrita.
Giustamente anche le porte di Strazza possono essere denominate “Porte del Paradiso”, così come fece Michelangelo per quelle del Ghiberti. Si tratta di un paradiso aniconico, simboleggiato dal cielo azzurro e dalla luce sfolgorante che sublima il tormento della croce e ricapitola la bellezza della natura.
Il primo frammento di tale “Paradiso” è dunque posto in opera. Ne mancano ancora altri. A fianco dei portali va realizzato un sistema di vetrate che, all’interno, espandano la luce solare e, all’esterno, riflettano il paesaggio montano. In analogia con la porta sud andranno poi eseguite la porta ovest, dedicata a San Gabriele, e la porta est, offerta alla Mater dolorosa . Verrà allora a determinarsi la trilogia delle “Porte del Paradiso” che Guido Strazza sta configurando con struggente fascino passionista, profondo gaudio pasquale e nobile semplicità artistica.

Rev. Prof. Carlo Chenis, Segretario,
Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa

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