La città ritrovata

Illuminazione a Napoli, ma non solo
La tecnologia, sapientemente adattata alle necessità correnti dalla Valerio Maioli Impianti di Ravenna, valorizza gli spazi pubblici del centro di Napoli come l’abito di uno stilista esalta la bellezza della persona. Il nuovo sistema impiantistico consente di ricreare l’atmosfera di socialità tipica del passato e di rigenerare il rapporto tra cittadino e monumenti storici.

Una piazza, un monumento, una chiesa possono essere autenticamente vissuti dalla popolazione solo se, oltre che opportunamente conservati, sono anche godibili nelle diverse ore del giorno. Valerio Maioli spiega come, con l’attenta osservazione dell’architettura e della vita che si svolge nella piazza, egli è arrivato a formulare il progetto illuminotecnico che permette di ritrovare le potenzialità di PIazza del Plebiscito e delle zone circostanti nel centro di Napoli. Il sistema usato, DIGILUX VM3000, già installato nel Duomo di Amalfi e in diverse altre basiliche quali San Vitale e Sant’Apollinare N. a Ravenna, San Gaudenzio a Novara, e altre, consente di controllare le strumentazioni tecniche capaci di valorizzare la visione dei monumenti e la fruizione dei luoghi.

“Ho un grosso problema da risolvere: vorrei che Piazza del Plebiscito fosse illuminata correttamente, ripulendola da tutti gli orpelli che, via via nel tempo, sono stati inseriti. Venga a vedere. Si affacci”. La prima volta che incontrai il Soprintendente ai Beni Ambientali ed Architettonici di Napoli, l’architetto Giuseppe Zampino, fu nel suo ufficio a Palazzo Reale. Ci eravamo sentiti qualche mese prima per telefono dopo una sua visita a Ravenna perché aveva espresso il desiderio di incontrarmi per discutere di lavoro. Presi, così, appuntamento e lo andai a trovare a Napoli.
Ci affacciammo sul terrazzo del suo studio e, in un attimo, mi si presentò per la prima volta Piazza del Plebiscito in tutta la sua grandezza e maestosità. Al centro la Chiesa di San Francesco di Paola con il suo colonnato imponente che sembrava invitarmi tra le sue braccia, ai lati i due palazzi, sedi del Presidio Militare a sinistra, e della Prefettura, a destra. Immediatamente mi resi conto dello scempio che, in termini illuminotecnici, era stato fatto fino ad allora e della difficoltà del lavoro che mi attendeva se avessi accettato l’incarico.
I grandi candelabri ai lati della Piazza erano stati appesantiti da grosse strutture in ferro per sostenere i proiettori di illuminazione. Attorno alle due statue equestri del Canova erano stati posti otto candelabri minori con false lanterne ottocentesche che avevano trasformato le statue in due catafalchi. Sulla cupola della Chiesa di San Francesco erano stati installati numerosi proiettori di colore nero che parevano tanti scarafaggi in lotta per raggiungere la croce in cima alla cupola stessa. Presi tempo dicendo che ci avrei pensato, che avrei cercato qualche soluzione. Mi congedai da lui un po’ frastornato ed intimorito, ma anche molto stimolato e mi recai immediatamente nella piazza per cominciare a viverla più da vicino. Dopo due anni da quell’incontro non riesco proprio a ricordare quante ore e quanti giorni ho trascorso nella piazza. Forse mesi interi. Di giorno e di notte per capire cosa vi succedeva veramente. Come la piazza viveva le misure del suo tempo e dei suoi spazi. D’estate e d’inverno. Con il sole e con il freddo e con il vento che spesso soffia impetuoso dal mare passando gelido tra gli alberi di Via Console, piccolo meraviglioso scorcio sul golfo. Ho passato ore a guardare le finestre dei palazzi dietro la Chiesa. Veri e propri fondali urbani naturali di un altrettanto naturale e maestoso palcoscenico costituito dalla Chiesa e dal suo Colonnato.
Mi divertivo ad osservare la successione dell’accensione delle finestre e cercavo di immaginarmi la vita che poteva viversi là dietro. Le gioie, i pianti, i drammi. La Piazza, ora come nel ‘600, rappresenta il luogo deputato, direi naturale, per raccogliere gli umori ed i malumori, le gioie di tutta la città. Non avrei potuto realizzare compiutamente il Progetto senza vivere globalmente la Piazza in tutti i suoi aspetti. Nel Maggio del 1998 ho conosciuto l’altro personaggio indimenticabile della mia esperienza napoletana: Antonio Bassolino.Mi sono subito lasciato conquistare dal calore diretto della sua umanità e dal suo coraggioso e lungimirante pragmatismo. Una notte, dopo le prove dell’impianto di illuminazione della “Torre Belvedere” e dopo una cena con gli imprenditori modenesi venuti con Luca Cordero di Montezemolo per sondare le opportunità di investimento in area Napoli, il Sindaco passeggiando per la Piazza mi espresse alcuni suoi desideri. “Vede – mi disse – come è bella questa Piazza. Nel 1994 fu difficile prendere la decisione di togliere le macchine. Questo era tutto un parcheggio. Adesso, vorrei che ci fossero panchine, cestini per la carta straccia. Vorrei, insomma, che la Piazza tornasse completamente alla gente. Che diventasse come il loro salotto buono di casa. Lei, però, mi deve illuminare anche via Roma.” È stato, così, che mi è venuta l’idea di creare tutto un sistema integrato che, partendo da Palazzo San Giacomo, collega Via Roma e, passando da Piazza Trieste e Trento, finisce a Piazza del Plebiscito. Tutto in fibra ottica. Integrando telecamere per il controllo ambientale, suono, effetti speciali, regolazione dell’illuminazione, invio di messaggi turistici, controllo dei semafori, delle fontane. Ma, soprattutto, divertimento! Dovevo riempire la Piazza di divertimento.
Affascinare e sbalordire la gente, i passanti. Farli fermare. Creare in loro quella curiosità sufficiente a farli sorridere. Sentivo che dovevo fare qualcosa di diverso, di inusuale, di grande, giocando con la luce e con gli effetti per fermarli ed obbligarli a vivere e ad amare ancora di più la loro Piazza. Presi contatto con lo staff del Sindaco. Professionisti seri, appassionati del loro lavoro da esserne addirittura coinvolti come fossero essi stessi un tutt’uno con il Sindaco. Ma chi ha detto che a Napoli non si lavora!? Massimo Paolucci, Andrea Perrella, Dario Scalabrini, Giuseppe D’Amore, Mario Bologna, Gennaro Esposito. Amici con i quali condivido fraternamente il piacere e l’orgoglio dell’intera realizzazione. Dello stesso livello il contributo competente e generoso dei dirigenti della Soprintendenza fra cui mi preme ricordare lo stesso soprintendente Giuseppe Zampino, Ermanno Bellucci, Tommaso Russo e Mario Grassia tutti validi professionisti così innamorati del loro lavoro e della loro città. Devopoi ringraziare per la loro sensibilità i dirigenti della SO.L.E. S.p.A. (Società Luce Elettrica) del Gruppo ENEL che, dall’Amministratore Delegato, Giuseppe Nucci, al Direttore Commerciale, Bruno Ianni, hanno immediatamente capito come, a volte, le piccole aziende private possono dare un valido e stimolante contributo anche ad una grande azienda come la loro. E come non ricordare Massimo De Cristofaro, da pochi mesi in pensione dall’ENEL, ma da tanti anni attento e preparato responsabile della illuminazione pubblica della città di Napoli. I suoi uomini sono stati bravissimi nel collaborare con le nostre maestranze. In un tempo incredibilmente breve (meno di un mese!) abbiamo potuto concludere i lavori della Piazza. E ciò è stato possibile grazie allo spirito di collaborazione nato tra oltre sessanta lavoratori napoletani ed una quindicina di romagnoli. È stato questo uno dei risultati più importanti: la massima integrazione tra modi e culture diverse, tra tecniche innovative e sistemi tradizionali, tra Sud e Nord, tra una grossa impresa pubblica ed una piccola impresa privata. Da oltre 25 anni lavoro insieme ad uomini come Roberto Randi, Ivano Azzuni, Gianni Soprani, Saturno Carnoli, Nico Attademo, Luca Ravaglia, PierGiorgio Graziani, Marco Conti, Luigi Noardo, Alessandro Novelli, Alberto Palazzi, Mirco Pantoli, Giovanni Rusticali, Gianfranco Perazzini, Francesco Mazzanti, Gabriele Coatti, Sergio Berti, Simona Nicolucci, Vincenzo Baselice, Daniela Consiglio, Paolo Fabbrini, Alberto Rosetti, Alex Babini, Davide Manuzzi, Pasquale Azzuni. Sono questi i veri artefici di tale opera che soffrono con me l’ideazione, la preparazione, la progettazione e la realizzazione di ogni nuovo lavoro. Assieme a tutti questi amici ho avuto la fortuna di costruire l’impianto che rappresenta una reale svolta nella tecnica dell’illuminazione dei Centri Antichi italiani.

Ancora oggi, infatti, perdurano, sul tema dell’illuminazione urbana e monumentale, equivoci e dilettantismi pericolosi che, in nome di un funzionalismo esasperato puntano esclusivamente sulla quantità, contraddicendo profondamente il significato simbolico e metaforico della luce e compromettendo gravemente, di conseguenza, i risultati e gli effetti prodotti sulla città. Spesso nelle città, la luce artificiale è utilizzata esclusivamente in funzione soltanto di alcune esigenze come la viabilità o la sicurezza senza porsi il problema più complessivo della vivibilità generale, del fascino e delle suggestioni della città d’arte. Tracciati urbani antichi e zone monumentali non possono essere illuminati allo stesso modo delle autostrade o delle zone industriali. Non solo: oltre al giusto colore della luce bisogna tener presente la giusta quantità di illuminamento. Occorre, cioè, fare in modo che il passaggio dalla luce del sole a quella artificiale avvenga gradualmente ed in modo discreto, dolce e soffuso. Anzi, a questo riguardo, è bene precisare che un eccesso di luce è peggiore dell’oscurità. Nei più recenti interventi di illuminazione urbana e monumentale di frequente registriamo uno smodato esercizio di potenza (di onnipotenza) tecnologica, fortemente invasiva e spettacolarizzante, che finisce per decontestualizzare gravemente il monumento che, appiattito e alterato, viene obbligatoriamente sbattuto in faccia a chiunque, volente o nolente, provocando sazietà ed estenuazione. Nel nostro caso abbiamo cercato di rispettare le forme architettoniche esaltando la penombra e lasciando quindi le ombre per rendere plastiche le forme degli oggetti che abbiamo illuminato. Abbiamo ridato loro quel colore naturale fatto di tonalità diverse, a volte vive, a volte dolci, ma sempre diverse e non appiattite dal giallo delle lampade industriali a vapori di sodio adatte ad illuminare le tangenziali. Ed abbiamo voluto integrare tutto in unico sistema in grado di gestire automaticamente le diverse funzioni necessarie.”

“Chi attraversa oggi Piazza del Plebiscito difficilmente potrà ricordare o potrebbe immaginare che quella Piazza straordinaria fino ad appena qualche anno fa altro non era che un enorme parcheggio che contendeva lo spazio ad un cantiere infinito. Poi quella Piazza, insieme a tanti altri luoghi della città, è stata liberata ed è tornata a respirare, a vivere, recuperando il suo antico splendore. È stata così il grande scenario per concerti straordinari e la suggestiva cornice per le installazioni di tanti artisti contemporanei, da Paladino a Merz, da Kounellis a Rauschenberg. Diventava però evidente la necessità di sottolineare, di “illuminare” il cambiamento di quello spazio che rappresentava il simbolo della voglia di cambiare dell’intera città. Per realizzare questo obbiettivo era necessario lo sforzo intelligente e generoso di quanti avevano a cuore le sorti della città, che in quella Piazza trovava la sua rappresentazione. Hanno voluto concretizzare questo “sogno” la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici, la SO.L.E. del gruppo ENEL, i funzionari del Comune di Napoli e poi Valerio Maioli. Perché se è vero che in poco più di un mese sono stati eseguiti i lavori di illuminazione di Piazza del Plebiscito, Valerio Maioli ha trascorso giorni, forse mesi nella piazza, l’ha studiata, per conoscerla, poi ha incominciato a viverla ed amarla, fino a farla diventare appunto la “sua” piazza. E insieme con i suoi straordinari collaboratori ha sapientemente adattato i più sofisticati e moderni sistemi all’antica grandiosità della Piazza, che è tornata ad essere animata non solo dalle persone che ammirano la bellezza, ma dagli straordinari effetti di luce che la esaltano”.
Antonio Bassolino, Sindaco di Napoli

“Piazza del Plebiscito… chiusa tra la facciata di Palazzo Reale e il colonnato di San Francesco di Paola è stata riofferta ai napoletani nella sua integrità fisica anche per restituire alla città lo spazio dell’attuale spettacolarismo effimero sia per la gestione di manifestazioni artistiche “mobili” sia per quel bisogno naturale di aggregazione intorno alla festa di oggi che se non sempre ha un diretto rapporto di consanguineità con la coeva arte figurativa, e più che un architetto di scena richiede un ingegnere dei suoni e delle luci, è in sintonia con una inveterata tradizione di manifestazioni collettive negli spazi aperti che questa città ha sempre avuto… Nel segno di questa tradizione e del recupero urbano che li ha sottratti alla morsa della sopraffazione automobilistica, Piazza del Plebiscito, il Largo di Palazzo e la Reggia si pongono al centro del rinnovamento di Napoli e del suo ormai consolidato “momento magico”, proponendo il recupero della tradizione di quei valori ambientali che costituiscono uno dei più significativi e costruttivi impegni delle forze culturali della città”.
Giuseppe Zampino Soprintendente per i Beni Ambientali e Architettonici di Napoli e Provincia

La Piazza del Plebiscito Fino al 1994, la Piazza del Plebiscito era invasa dalla presenza delle automobisi La Piazza del Plebiscito

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