La chiesa “ipogea”


L’edificio del Seminario è una immagine viva, un segno simbolico unico, non confondibile, integrato nel tessuto urbanistico. La chiesa “ipogea”, ricca di opere d’arte, rappresenta il cuore del Seminario.

I lavori di costruzione della chiesa avvengono tra il 27 settembre 1966, con la cerimonia di posa della prima pietra, e il 27 ottobre del 1967, con la consacrazione e la dedicazione a “Cristo sommo ed eterno Pastore”.
Su una area di mq 1.600 circa, con una pianta centrale a croce greca della dimensione di m 40×40 si erge la chiesa detta “ipogea” con una altezza di m 10.
La forma del presbiterio è semicircolare, con una ampiezza di m 22, elevato dall’aula di quattro gradini.
L’altare maggiore è imponente con le sue dimensioni di m 5 di lunghezza, per m 1,75 di larghezza e si erge su di un gradino; nel coro trovano posto 21 stalli, sovrastati dalla composizione lignea con il crocifisso su tavole dell’artista Erminio Maffioletti; due amboni laterali all’altare, distanti da esso, completano la distribuzione dei poli liturgici.
A sinistra del presbiterio, alla stessa altezza dall’aula, in una cappella laterale, è posto l’altare del Santissimo con il tabernacolo di Papa Giovanni; non distante l’organo, che era della chiesa di S.Giovanni, ripristinato e completato con tremila canne, mentre a sinistra trova posto l’altare dedicato alla Madonna.
A un piano intermedio sono disposti i matronei, accessibili dal piano alto del seminario. La luce naturale penetra nello spazio esclusivamente dall’ampia vetrata dell’ingresso, contornata da vetri opalini nella parte sottostante e lucidi sopra; l’apporto di illuminazione nelle ore serali è gestito invece dall’unico gruppo di fari posto in alto, al centro dell’aula, su una ruota.
Il portale d’ingresso di bronzo è dell’artista Piero Brolis: l’anta di destra reca l’immagine paterna di Papa Giovanni che simboleggia il seminario e l’anta di sinistra reca l’immagine di una donna con un bambino in braccio, simbolo della diocesi in atto di tendere la mano per dare la sua offerta al Seminario.
Il 5 novembre 1967, dopo dodici anni di lavoro, di progetti, di sacrifici e difficoltà, viene inaugurata la restante parte del Seminario vescovile.
Il seminario viene dedicato a Giovanni XXIII, il Papa buono, originario della città di Bergamo, ed è ubicato sul Colle di San Giovanni, su di un’area che occupa 20.500 metri quadrati, con un insieme di costruzioni che occupano una superficie coperta di mq16.300 e superfici scoperte di mq 11.072 , oltre ad una volumetria edificata di 240.000 metri cubi .


La struttura odierna del seminario

La costruzione del seminario ha del miracoloso; è l’imma-gine di un edificio che ha segnato profondamente una par-te della storia della città lasciando una traccia inconfondi-bile e indelebile negli avvenimenti del periodo e nello sky-line di città alta. L’edificio del seminario, come ricorda nel-le sue memorie l’avvocato Tino Simoncini, che fu sindaco a quei tempi, “rappresenta forse l’unico intervento di rilie-vo, nel dopoguerras, inteso a rivitalizzare una grossa struttura di interesse pubblico in città alta dopo che molte pubbliche istituzioni, tribunale e municipio, si erano già trasferite nel centro moderno”, oltre la cinta muraria.
Il Seminario vescovile oggi è un’efficiente struttura che purtroppo ha subito l’effetto di una carenza di vocazioni, comune a molte diocesi italiane.
Il numero di allievi presenti nell’ultimo decennio ha infatti subito un certo calo sia nella scuola media inferiore, sia nel liceo, sia nella facoltà di teologia, passando da una fre-quenza globale di 408 presenze nell’anno scolastico 1989- 1990 a 247 allievi nel 1999 anche se la diocesi di Bergamo, rispetto alle altre realtà italiane, registra una costante presenza sia di sacerdoti sia di allievi.

Le strutture
La sede del Seminario Giovanni XXIII è ogni anno affollata da seminaristi del biennio, del triennio e di teologia che riempiono le aule del padiglione scolastico (la Torre del Gatta) e dagli alunni delle medie che occupano le aule del seminario Sant’Alessandro. Un piano della facoltà di teologia per tre giorni la settimana è occupato da giovani preti del primo e secondo anno dopo l’ordinazione. L’ex sala udienze, ora trasformata in auditorium è stata usata come scuola serale di teologia per laici, come aula per l’Istituto Superiore di Scienze Religiose e come aula per l’università. La piscina coperta è gestita dall’Associazione sportiva nuoto Bergamo con un contratto che prevede la sua utilizzazione per gli allievi del seminario e, a tempo determinato anche ad esterni, oltre ad un servizio di accoglienza per portatori di handicap. La chiesa “ipogea” accoglie invece ogni mese circa un migliaio di giovani fedeli per la scuola di preghiera .

Il Rettore: “Il Seminario è autentico strumento della preghiera”

N ella preparazione dei giovani seminaristi del cor-so di teologia a diventare futuri parroci responsabili, il Seminario prevede l’insegnamento di specifiche discipline entro le quali non è però contemplato l’apprendimento obbligatorio di materie quali la storia dell’ar te contemporanea e l’architettura moderna, che disciplinano l’acquisizione di conoscenze che potrebbero rivelarsi d’aiuto in un ipotetico rapporto tra il futuro (parroco) committente di opere d’arte e di architettura sacra e l’artista o l’architetto.

“Nel programma di studio, non esiste una materia specifica d’insegnamento sulla storia dell’arte e l’architettura “, afferma Mons. Giovanni Cazzaniga, rettore del Seminario di Bergamo, “ma continui richiami lungo il cammino dello studente, che vanno da momenti di riflessione nelle varie materie, a veri e propri esperimenti di contemplazione, ad esempio direttamente in luoghi sacri, dove lo studente è invitato ad esprimere le proprie emozioni e i propri sentimenti di fronte ad un opera d’arte o nello spazio di una chiesa.

Queste occasioni di incontro, che sono state curate con alcuni allievi da don Giacomo Invernizzi , (Vicerettore del Biennio Teologico del Seminario) che ha organizzato visite ad esempio alle chiese di Sant’Antonio e di Longuelo in città, sono stati momenti di silenzio e di contemplazione che sono serviti da stimolo per esplorare le direzioni spirituali dello spazio sacro moderno e la conseguente possibilità e attuabilità della preghiera e dell’incontro con il Signore anche in questi luoghi, a volte molto distanti dallo schema che ha introdotto e tuttora conduce ‘l’abitabilità’ (nel senso più pieno del termine) nostra dello spazio chiesa.

Nel corso di studio di Teologia, ciclicamente, viene proposto tra i corsi complementari un corso di Arte Sacra. Nell’anno 1999-2000 si è svolto il corso tenuto dal prof. don Giuseppe Sala, (consulente diocesano di Arte Sacra Nuova e delegato vescovile per i rapporti con le Soprintendenze per i Beni Culturali), dedicato al luogo di culto cristiano nella storia con uno studio dell’evoluzione architettonica dell’edificio chiesa e del rapporto arte-liturgia dagli inizi ai nostri giorni. Alcuni passi si stanno facendo quindi , pur senza la presenza di una materia di insegnamento specifica “.

Il corso di don Sala è un segnale positivo che dovrebbe però assumere una veste più istituzionale anziché di materia complementare, alla quale aderiscono solo pochi interessati sensibili all’arte.
Altri segnali di stimolo verso una comprensione del sentimento spirituale nelle espressioni dell’arte moderna che il seminario ha voluto incoraggiare viene da altri esperimenti attuati con alcuni artisti e studenti, dove si è cercato dapprima di stimolare gli artisti ad una produzione moderna di arredi sacri , facendo eseguire ad esempio alcuni ostensori, per poi adottarli come strumento di preghiera e di riflessione sulla potenzialità del linguaggio moderno nell’arte sacra.

“I tempi stanno pian piano maturando”, afferma don Giacomo, “i giovani seminaristi, tendenzialmente, preferiscono dialogare con le opere tradizionali. La ricchezza della tradizion, vissuta come sicurezza e traguardo ‘insuperabile’ della ricerca, rischia di diventare ostacolo alla fatica di entrare in relazione con il linguaggio moderno, e conseguentemente di promuoverlo (rischiando la deriva del riferimento alla ‘produzione di serie’)”.

La strada in questo senso è ancora lunga, anche se più di prima il prete comincia ad abituarsi agli stimoli del moderno, ad esempio celebrando in nuove chiese . Esiste pertanto una grande speranza che fortificherà con il maturarsi della sensibilità dei futuri parroci .

 

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