La chiesa edificio: una «fabbrica» interdisciplinare

Diretto da: Carlo Chenis
Periodico allegato a Chiesa Oggi architettura e comunicazione

La chiesa edificio: una "fabbrica" interdisciplinare

La chiesa edificio è una fabbriceria che richiede competenze interdisciplinari. Le chiese si sono fatte brutte per molteplici motivi, tra cui il palese scollamento di quanti operano nella loro edificazione, unitamente alla non triangolazione tra èquipe costruttiva, committenza ecclesiastica, comunità usufruttuaria. Alla condivisione interpersonale e all’esperienza liturgica, vanno perciò associate competenze differenziate in misura della complessità insita nell’oggetto da costruire. È innaturale configurare un edificio chiesastico nel proprio studio, estrapolandosi dal territorio e dalla collettività. È altresì innaturale che nel progetto intervenga anzitutto l’architetto e post factum gli artisti. Costoro, infatti, non sono professionalmente competenti delle istanze che vanno al di là dell’assetto
volumetrico ed estetico, per cui si lasciano trasportare da un sentore spirituale e sociale abitualmente assai povero di rigore scientifico e di informazioni religiose. Le chiese continueranno ad essere soprammobili più o meno eleganti, stravaganti, amorfi, poiché sovrastrutture estrinseche al fatto religioso. Per opporsi a tale tendenza occorre avviare studi interdisciplinari e progetti complessivi in grado di concrescere in una comunità differenziata e diveniente. Si
devono perciò riaprire forme di fabbricerie al fine di impostare un palinsesto cognitivo unitamente ad un invenzione unitaria. All’informazione va dunque coniugata la creazione. Questo al fine di rendere la chiesa edificio immagine dinamica e manifesto eloquente della comunità cristiana. A livello teoretico occorre affrontare il problema da un punto di vista teologico e antropologico. Sotto l’aspetto teologico-liturgico si devono prendere in considerazione aspetti biblici, dogmatici, liturgici, spirituali. Il liturgista assolve ad un compito di coordinamento, poiché deve fornire i criteri celebrativi, secondo modelli ecclesiologici correnti, nel rispetto delle molteplici tradizioni rituali, tenendo conto della spiritualità liturgica. Sotto l’aspetto antropologico-culturale si devono prendere in considerazione aspetti metafisici, estetici, culturali, psicologici, sociologici, etici. Non si può rinunciare ad una riflessione sul fondamento ultimo della realtà, poiché lo spazio sacro apre alla trascendenza e, pertanto, deve fondarsi ontologicamente e teologicamente. In quest’ambito teoretico occorre aprire la vertenza estetica per non ridurre la concezione della bellezza ad un dato accidentale e formalistico. In termini cristiani la bellezza dell’arte è ordinata alla maggiore evidenza dei contenuti.
Non possono essere sottaciute, specie nell’attuale contesto in cui è enfatizzato l’aspetto multietnico, le questioni in ordine all’inculturazione e all’acculturazione; né si può rinunciare ad una considerazione sociografica e sociologica per valutare l’impatto sulla comunità di determinati complessi cultuali; tanto meno si può prescindere da un esame di carattere psicologico, che ponderi la reazione di singoli su un particolare sistema celebrativo all’interno di uno
specifico complesso cultuale. Queste analisi aprono poi la vertenza sociale poiché l’insieme delle procedure intentate va subordinato al bene collettivo. A livello tecnico-artistico l’impegno esecutivo esige la risoluzione del fronte tecnico e di quello artistico. Tecnicamente sono da affrontare anzitutto le questioni urbanistiche, o più genericamente ambientali, al fine di valutare gli interventi sull’habitat cultuale in relazione al territorio. In ordine agli aspetti costruttivi bisogna riflettere attentamente su materiali, acustica, illuminotecnica, termica. Non si possono dimenticare i problemi di
manutenzione, restauro, ristrutturazione che sono alla base della «tutela vitale» dello spazio sacro. Artisticamente si deve dare splendore ad architetture, luci, pitture, sculture, vetrate, arredi, suppellettili, vestiario, canti, musiche, riti e quant’altro, in modo da configurare un programma iconografico unitario e dinamico.Tutto deve essere progettato affinché le singole parti siano integrabili e si dimensionino sulla comunità dei fedeli. Anche sotto l’aspetto artistico
non si può pensare ad uno spazio immobile ed assoluto, ma ad uno spazio correlato alle persone che lo animano. Per questo è anche opportuna la presenza dello scenografo e del cerimoniere. Il primo, al fine di verificare l’aspetto estetico dello spazio complessivo nell’ingombro delle persone in movimento e in stasi. Il secondo, onde verificare le
effettive possibilità di movimento e di stasi in riferimento al sistema rituale.Troppe chiese sono immaginate, o «vuote», o solamente dall’esterno, o disattendendo la ritualità. A livello pastorale e gestionale si deve creare nei
singoli fedeli il senso di appartenenza e di tutela. Pertanto, la comunità va educata alla fruizione dell’arte cultuale ai fini dell’attiva partecipazione liturgica. Con la progettazione di una chiesa si apre una fabbrica che viene affidata alla comunità nell’avvicendarsi dei pastori e delle generazioni. Ab imis s’avvia il senso della memoria che va trasmesso
attivando il rispetto progettuale e gli interventi integrativi. Vanno infatti favoriti interventi adeguati, così che ogni generazione possa firmare la propria presenza. Questa visione dell’habitat cultuale conduce alla corresponsabilizzazione dei ruoli attraverso gruppi di lavoro che interagiscano e si alternino nelle varie fasi progettuali e conservative. Si tratta di un impegno che supporta l’«actuosa partecipatio» voluta dalla riforma liturgica. Esso porta ad un proficuo lavoro interdisciplinare, favorisce un’esaltante esperienza interpersonale, promuove l’intera comunità
dei fedeli. L’architetto non può dunque progettare da solo. Deve pensare cum ecclesia, con la gente, con i diversi
esperti del settore; deve progettare con creatività, con preparazione, con buon senso. Il buon senso richiede umiltà e quindi disponibilità ad ascoltare e collaborare. La creatività non si confonde con l’esibizionismo compositivo ed è mossa pensando tanto al fine quanto ai destinatari.

Rev. Prof. Carlo Chenis, SDB

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